IV.

Ma i codici de' mercanti, chi li cerchi e li legga tra la polvere degli archivi e delle librerie, paiono disdegnare simili imbrogli. In quelle carte che cominciano tutte “al nome di Dio amen,„ piene di “buoni asempri e buoni chostumi e buoni proverbi e buoni amaestramenti„, troviamo precetti teorici ispirati alla più rigida e severa moralità. Scrive un di cotesti savi: “Tieni a mente quando ài a dare alchuna sentenzia di darla diritta, e leale, e giusta, e di questo non ti rivolgere mai nè per prezzo, nè per amore, nè per paura, nè per parentado, nè per amistà, nè per compagnia....„, perchè la persona “contro cui la darai fia tuo nemico e quei cui tu servirai non t'avrà nè per leale, nè per diritto, anzi si guarderà sempre di te e vitupereratti sempre.„ Ma subito, più sotto, leggiamo: “S'hai bisogno in piato o in altro tuo [58] fatto dell'amistà d'alcuno signore o di rettore di terra, - ti dico che co' presenti s'acquista molto agevolmente. Guata chi è di sua famiglia, più suo segretario e con quel cotale prima ti domestica, e dona a lui alcuna cosa, e poi a lui chiedi aiuto e consiglio ed e' t'insegnerà a venire in amore del suo signore e presentargli quella cosa di che e' sentirà che sia più vago„.

E non basta; la morale pratica porge ancora più opportuni consigli: “Quando comperi biada, guarda che non ti sia empiuta la misura a un tratto, che sempre ti calerà 2 o 3 per cento; e quando vendi il fa', e cresceratti la tua biada„. - “Di' sempre bene di quelli che reggono il Comune. Sta' sempre bene co' tuoi vicini, però che de' tuoi fatti e' sono sempre domandati prima di te, e negli onori e ne' disonori e' póssonti molto nuocere e giovare.„ E così consigliavano e ammaestravano i figliuoli, che crescevano destri ed esperti e consumati nell'arte del saper vivere, fra mezzo a gente che della vita conosceva le malizie e gl'inganni. Nè è meraviglia che un predicatore, per far gente e non parlare al deserto, annunziasse voler proclamare dal pergamo che l'usura non è peccato, anzi “è sovvenimento„, e così avesse tutta la quaresima “infino a Domenica dell'olivo„, attento e affollato uditorio.

La famiglia che allargavasi e alleavasi nella consorteria, aveva unico fondamento la proprietà, guarentita da una selva di leggi e privilegi. Il padre era padrone dispotico de' beni personali: poteva lasciarli a chi meglio volesse, anche a' nipoti o ad alcun luogo pio , anche ai figli dell'amore cresciutigli in casa. Così per testamento: e si comprende di colpo l'importanza che aveano allora [59] i notari ed i chierici. Le donne, succedendo ab intestato, avean soltanto diritto al quarto de' beni dei loro figliuoli: in ogni caso, ai semplici alimenti. Tutto cospirava a preservare l'integrità del patrimonio, ad impedire che uscisse fuori della famiglia, della consorteria, del comune.

Giova ripeterlo: l'interesse, in quella società di mercanti, avidi di far la roba, era d'ogni azione legge suprema. Sarebbe ingiustizia cercarvi le sentimentalità della famiglia moderna, in cui alla donna è riserbato così larga e così nobile parte, così degni e teneri uffici.

Quelle povere madri fiorentine dovevano starsi contente alle modeste ingerenze consentite loro dalla tirannia de' mariti, e vivere, o menar la vita, nell'uggia delle sordide case, allevando i figliuoli, “vicitando„ la chiesa, e confessando a' frati i molti peccati di desiderio.

Le fanciulle, le ragazze che oggi ci dan tanta pena, nemmeno dovevano imparare a leggere: “S'ella è fanciulla femmina, ponla a cuscire e none a leggere, che non ista troppo bene a una femmina saper leggere, se già non la volessi far monaca„. I monasteri erano, come furono molti secoli, il rifugio di coteste meschine, com'eran la provvidenza delle troppo numerose famiglie. Aver venti e più figliuoli, parea la cosa più naturale del mondo; se campavano: “Iddio n'abbi lode e grazie„; se morivano: “Di tutto sia lodato Iddio, amen„. I libri di ricordanze, le cronache domestiche, al tempo delle grandi morie, registrano così le morti come le nascite con una serenità che oggi, alle trepide madri, sembrerebbe cinismo. E anche ci porgono testimonianze preziose di fatti più singolari, dell'intrusione nelle famiglie [60] d'un nuovo elemento, che ne offusca la vantata purezza. I critici più benevoli ne trovano la ragione nel “gran vuoto fatto dalla mortalità nelle plebi cittadine e nei campagnuoli„, onde non bastando “la lusinga del poco salario„ a cavare dal popolo i domestici e le fantesche, “fu d'uopo cercare nel commercio esterno la maniera di supplire alla loro rarità„. Ma piuttosto i commerci con l'oriente, e la vita randagia de' mercatanti e la cresciuta ricchezza, furono eccitamento a quel traffico degli schiavi e delle schiave, che durò in Firenze per ben due secoli dopo il XIV. È un tasto doloroso che pur dobbiamo toccare, a rischio di cavarne alcuna nota stridente; ma anche in un quadro son necessarie le ombre per concedere maggior risalto alle figure cui si vuol dare evidenza e rilievo. - Ma non temete! anche un artefice inesperto non dimentica il “fren dell'arte„; nè vorrei io, dinanzi a voi, empir la breve mia tela con una mostra impudica di nudità.

Le schiave orientali, comprate, come carne da traffico, quasi sempre a mezzo di sensali genovesi, veneziani, pisani e napoletani, e per lo più tartare, greche, turche, schiavone e circasse, non erano - rassicuratevi - archetipi di bellezza. I registri dove i nostri segnavano, insieme coi nomi, con l'età e con il prezzo, i connotati del volto e della persona, ce ne fan fede. Quasi tutte avean pelle olivastra, sebbene si trovassero anche schiave di carnagione rossa, sanguigna, rubiconda e qualche volta fin bianca. E sul viso non mancava mai alcun segno particolare: chi era butterata, chi l'avea sparso di moltissimi nèi, chi sfregiato da qualche cicatrice. I nasi eran generalmente schiacciati, i labbri grossi e sporgenti, [61] gli occhi scerpellini, le fronti basse e lentigginose. E a questi tocchi in penna de' notai pedanti e minuziosi, corrispondono alcuni ritratti che ne rimangono. Un curioso libro, il Memoriale del Baldovinetti, dove codesto antenato del famoso pittore usava illustrar con figure le sue ricordanze, ci ha conservato i profili delle tre schiave da lui comprate negli anni 1377, 1380 e 1388; la “Tiratea overo Doratea tartara da Rossia, giovane di 18 anni o più„, la “Domenica, è de pelle bianca ed è de proxima de Tartaria„, e la “Veronica giovane di 16 anni„, “comperála quasi ignuda da Bonarota di Simone di Bonarota,„ un antenato di Michelangiolo; ma la Dorotea, la Domenica e la Veronica avrebber potuto benissimo - un po' invecchiate - servir di modello al futuro Buonarroti per le Tre Parche.

Coteste donne, o brutte o belle che fossero, entravano nelle famiglie de' Fiorentini ricchi per attendere ai più umili uffici, e badare ai bambini: e davano un gran pensiero, per ogni conto, alle povere massaie. Il sonetto del Pucci “le schiave ànno vantaggio in ciascun atto. E sopra tutte l'altre buon partito,„ ce ne spiega maliziosamente alcuna ragione, e ci dice che spesso sapean dare alle padrone “scacco matto„. Le quali, come confessava parecchi anni appresso l'Alessandra Macinghi, si vendicavano col metter loro “le mani addosso„. Pure anche allora non potean farne a meno: erano le bambinaie e le bonnes di quei tempi; e la Strozzi scriveva al suo Filippo in Napoli: “E pertanto ti ricordo el bisogno; che avendo attitudine averne una, se ti pare, tu dia ordine d'averla: qualche tartera di nazione, che sono, per durar fatica, vantaggiate e rustiche. Le rôsse, cioè quelle di Rossia, sono più gentili di compressione e più belle; ma a mio parere sarebbon meglio tartere„. [62] Nè per questa scelta potea Madonna Lessandra trovar chi più di Filippo avesse la mano felice: il quale presso di sè tenea da vario tempo una schiava “che sapeva così ben fare„, di cui essa il 7 aprile 1469 aveagli scritto: “Avete costì Andrea e massime Tommaso Ginori, che venne el dì della Pasqua e me n'ha detto molte cose.... e così della Marina, dei vezzi che ella ti fa„. E un anno appresso, con accento piuttosto ironico: “Mandávi gli sciugatoi.... fatene masserizia che non si perdino; che madama Marina no' gli mandi a male„. Dove vediamo che con i vezzi e le astuzie sapevan coteste donne cattivarsi i padroni e diventar madame, e meritarsi, come appunto cotesta Marina, la libertà e per “le buone fatiche et buoni portamenti„, alcun'assai liberale disposizione testamentaria.

Meno male: peggio quando, come accadde a Francesco Datini, le cui beneficenze verso i Pratesi non fan dimenticare le gravi colpe ch'egli ebbe verso la moglie, - peggio, quando cotesto trafficato sangue di tartare e di russe si mescolava con quelli, sin allora schietti, delle antiche e libere stirpi!

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