III.

Questi i drammi, i “fatti diversi„ d'allora, che turbavano la pace della semplice vita di quei nostri bisavoli. Perchè, la novella borghese, che tenea l'ufficio delle odierne gazzette, rare volte ci narra queste scene crudeli. Piuttosto si piace di raccontarci le beffe, le burle, onde allegravasi il popolo motteggevole; perenne argomento di queti ragionari, al canto del fuoco, presso gli alari dei grandi camini, sotto la cui cappa annerita raccoglievansi le famiglie, prima che sonasse l'ora di spegnere i lumi, quando chi andava a letto “il sezzaio erasi accertato fossero ben turate le botti„ e “l'uscio e le finestre serrate„.

Non parea vero di ridere, di scordare le paure dell'oltremondano, onde gli spiriti erano stati depressi: e già l'incredulità de' nuovi tempi cominciava a metter fuori le corna, burlandosi de' cherici, e un tantino de' miracoli e di molte altre imposture. I motteggiatori, i burlevoli, che d'altrui si prendevan sollazzo e cercavano gabbare il prossimo e il mondo, si dicevano “nuovi uomini„ e “nuove cose„ le loro malizie. I deschi e le botteghe di Mercato Vecchio, i fondachi di Calimala, le loggie che sorgevano allora presso i palagi, dove la gente stava sui banchi a conversare, echeggiavano di fresche risate argentine; cui rispondevano i crocchi femminili, bisbiglianti sulle porte di casa. Gli artisti, o come li chiamavan gli artefici, erano i più sottili architettori di coteste burle ingegnose, immaginate fra una pennellata e un colpo di stecca. E ne durò la memoria molti anni, tanto che il Vasari parecchie ne raccolse nelle sue Vite, [56] di quelle che i novellieri non avevan consegnate alle lor cronache cittadine.

“Sempre fu che tra' dipintori si son trovati di nuovi uomeni„ scrive il Sacchetti; e Bonamico Buffalmacco immortalato nel Decameron, e Bartolo Gioggi, e Bruno di Giovanni, e Filippo di Ser Brunellesco e Paolo Uccello e Donatello, ci fan tornare a mente le burle fatte a Calandrino, al Grasso legnaiuolo, e a tanti altri che furon vittime di così spietati begliumori. Ma la voglia matta di ridere e sollazzarsi, s'appiccicava anche alla gente più grave; e dalle botteghe degli artefici entrava in quelle degli speziali, e attaccavasi a' medici, a' giudici, a' procuratori, e saliva in Palagio a rallegrare i Priori della malinconia di star chiusi, lontani dalla moglie e dalla famiglia. - Semplici uomini e semplici costumi, che ancor sapevano della rozzezza antica: la Signoria dormiva in una camera sola, e ciò era incentivo e occasione agli scherzi; e il proposto dei Priori poteva andare in persona alla cucina a cuocersi sulla brace una fetta di carne. La burla, lo scherzo rasentava talora la truffa; ma una buona risata dava torto a chi aveva avuto colle beffe anche il danno, e tutti pari. Perchè a quegli anni, quand'ognuno pensava a sè, a' casi proprii, al proprio interesse, la gente non aveva pietà o compassione pei gonzi. Le più sottili malizie erano anche permesse ai mercanti, e quei di Firenze eran famosi per la gran furberia.

Racconta il Sacchetti quel che intervenne ad un Friulano, che aveva nome Soccebonel, e che andò a comprare panno da un di costoro. Ne misuran quattro canne, [57] e il fiorentino glie ne mangia una mezza. Poi, per ricoprire l'inganno, gli dice: “Vuo' tu far bene? attuffalo in una bigoncia d'acqua, e lascialo stare tutta la notte, sì che bea bene, e vedrai poi panno ch'el fia.„ - Soccebonel così fa, e poi manda il panno al cimatore. “Soccebonel va per esso e dice: Che dei tu avere? Dice il cimatore: E' mi par nove braccia: da' nove soldi. Dice costui: Come nove braccia? oimè! che di' tu?„ Lo rimisurano; ma il panno non cresce. Soccebonel va dal ritagliatore, va di qua, va di là. E uno gli dice: “Questi panni fiorentini non tornan nulla all'acqua.„ “Uno comprò un braccio di panno fiorentino, e la sera l'attuffò, come tu facesti questo, in un bigonciuolo d'acqua, e lasciovvelo stare tutta notte; la mattina, lo trovò tanto rientrato, che non c'era più nulla„.

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