XIII.

Lorenzo de' Medici (mediocre marito), anche in mezzo alle grandezze della sua condizione d'ottimate e quasi di principe, seppe conservare una certa bonarietà tutta casalinga e fiorentina; nè gli dispiacque incanagliarsi col volgo, all'osteria della Porta a San Gallo, e celebrar [93] le bellezze della Nencia rusticana, e serbare nel fasto una sobrietà cittadina.

Racconta il Borghini che Franceschetto Cibo, cui dava in isposa la figliuola, fu da Lorenzo trattato con grande semplicità e parsimonia, mentre i suoi compagni, cavalieri e baroni romani, ebbero sontuose accoglienze. E a lui, impensierito per la figura che avrebbe fatta con loro, rispose rassicurandolo: “Onorai que' signori come ospiti e forestieri; te invece accolsi come uno di mia famiglia.„ A' clienti dava udienza per istrada, o al canto del fuoco, o passeggiando amichevolmente per le vie di Firenze. Fiorentino nell'anima, non gli dispiaceva d'essere e di mostrarsi faceto. Vedendo a Pisa uno scolare guercio, disse che e' sarebbe il più valente di quello Studio. E domandato perchè, rispose: “perchè e' leggerà a un tratto le due facce del libro, e così potrà imparare a doppio„.

Ma sotto coteste semplici apparenze covavano i disegni del politico astuto che, come scrive il Vettori, “non istudiò in altro se non in ridurre gli uomini alle arti e ai piaceri„, e la protezione alle arti e agli artisti volle strumento a futura dominazione. Col denaro mediceo si alzavano palazzi e conventi, e dentro vi si raccoglievano antichità e libri; ne' giardini si radunavano gli artisti; alle cene accorrevano i poeti; si bandivano giostre e giuochi del calcio, concorsi poetici e feste religiose: la clientela politica del palazzo era resa più gagliarda da quella dei sommi artisti delle umili botteghe. Il Savonarola che del tiranno aveva indovinato i segreti pensieri, diceva: “occupa il popolo in spettacoli e feste, acciocchè pensi a sè, non a lui„. Firenze a' suoi tempi [94] vide nascere, o crescere più rigogliose, molte forme di costume e molti generi di poesia; dai trionfi e dalle mascherate per le vie ai simposj platonici di Careggi; dal canto carnascialesco e dalle ballate a rigoletto, alle Sacre Rappresentazioni. La gaiezza spensierata e il facile appagamento dei desiderj, così negli ordini dello spirito come in quelli della materia, servirono a compensare la diminuzione delle pubbliche libertà.

La città gaudente, che da un pezzo risonava di clamori festivi, accolse lieta il gran carnevale mediceo, que' sontuosi apparati, quelle processioni ordinate dalle confraternite de' vari quartieri e dirette da artisti. La paganità rinascente invadeva le feste religiose e le trasformava a' suoi fini. In carnevale si facevan carri e trionfi “per parere (dice mestamente il Cambi) che la città fussi in festa e in buono stato„. In Mercato Nuovo si danzava, nella Piazza de' Signori si facevano combattimenti d'animali, e fra essi si sguinzagliarono i leoni sperando ne seguissero terribili scene. Ma il leone fiorentino era così mansuefatto, che “come fosse un agnel si stava cheto„. In via Larga, dinanzi al palazzo de' Medici, correvano a gara gli armeggiatori e si celebrava il trionfo d'amore. Per la venuta di Franceschetto Cibo, novamente maritato alla Maddalena di Lorenzo il Magnifico, si fecero in tutte le botteghe “mostre di cose gentili e ricche e drappi, e broccati, e gioie di perle e argenterie, che è stato cosa stupenda e miranda bellezza„. Per San Giovanni, s'apparecchiò “una bella festa di nugoli e di spiritelli e carri ed altri festivi edifici e ingegni popolari da passar tempo, e con tutte l'altre cose festive, ordinarie altre volte„. Si correvano palii di sfoggiata magnificenza, e la torre del [95] Palagio rosseggiava tra i fuochi delle scoppiettanti girandole.

Nel far cavalieri e ricevere oratori, l'eccelsa Signoria, usava cerimonie solenni di cui troviamo ricordo nel libro di Francesco Filarete, araldo della Repubblica.

Nel 1491, per la festa di San Giovanni, Lorenzo fece fare 15 edifizi o trionfi, rappresentanti il trionfo di Paolo Emilio, reduce dalla Macedonia, quando tornò con tanto tesoro che i Romani per molti e molti anni non pagarono nessuna gravezza.

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