III.

Studente di medicina, e già male accetto ai Peripatetici dello Studio di Pisa, de' quali se esemplava fedelmente (in un latino tutt'altro che aureo) il dettato dalla cattedra, non si asteneva tuttavia dall'opporre ai loro assiomi le evidenze de' fatti, Galileo non da quelle scuole fallaci, sibbene nel silenzio delle segrete comunicazioni fra l'anima e l'infinito, ha, sotto le vôlte austere del duomo, la prima vocazione alla scienza vera; e misura ai battiti del polso le oscillazioni isòcrone della lampada sacra. E pochi anni dopo, fatta prova di sè in attuazioni diritte e ingegnose de' principii di Archimede, del suo “divino„ Archimede, torna in Pisa lettore di Matematiche: è collega non meglio accetto, di quel che fosse discepolo; [243] e mentre quei barbassori strascicano pe' loro atrii la toga professorale, egli motteggia loro dietro giovenilmente in versi bernieschi, e a cotesta scienza umbratile sostituisce la scienza interrogatrice delle cose in piena luce solare, e aspirante a larghi polmoni la libertà, fra le bellezze della natura, le meraviglie dell'arte, le realtà della vita. Inventa la cicloide; e dimostra a dito, pel disegno del nuovo ponte sull'Arno, com'ella sia da applicarsi nel dar forma agli archi dei ponti: espone il trattato del moto, di Aristotile; e dopo averne dalla cattedra, con la reverenza dovutagli, combattuto le conchiusioni, lascia il libro in iscuola, e, seguito dagli scolari e dagli stessi attoniti cattedranti, sperimenta dall'alto del campanile pendente la caduta de' gravi: séguita a conversare amichevolmente con gli studiosi, e discendendo lungo le rive del fiume sino a Bocca d'Arno, là dinanzi al mare immenso e raggiante, traccia con platonica genialità le prime linee di quelli che fra cinquant'anni, nello sconsolato tramonto della sua vita, saranno i Dialoghi di Scienza Nuova, il primo codice legislativo della dinamica.

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