V.

In Venezia Sarpi discute con Galilei intorno alle nuove applicazioni delle matematiche, ed in Venezia Bruno era prigioniero della Inquisizione. [223] Come!... nella repubblica del rinascimento è carcerato - proprio in quel tempo - il più gran filosofo del rinascimento? Signori, ricordate che l'Inquisizione di Venezia non voleva consegnarlo a quella di Roma; ricordate che la consegna avvenne nell'assenza di Sarpi; e ricordate pure che anche le repubbliche più indipendenti sottostanno all'ora della ragion di Stato. Potete fingere la scoperta di un'isola introvabile, ma non la fingerete separata dal mondo.

Ciò che tra Sarpi e Galilei era un dialogo, in Bruno era già un sistema; e ciò che tra que' due si discorreva sommesso l'altro aveva già divulgato nel mondo.

Lunga e crudele fu l'espiazione, e grande dovè essere il peccato. Certo, quando avete affermato che i mondi sono innumerabili e che l'assoluto è nell'universo, avete detto l'ultima bestemmia.

Ne uscì la natura divinizzata e l'uomo, sciolto dalle contemplazioni monastiche, restituito alle virtù civili. Mai forse, da Lucrezio in fuori, la natura fu celebrata con versi così belli, fusione mirabile di filosofia e poesia; mai forse come in lui si avverò che la filosofia è una poesia sistemata e la poesia è una filosofia intuita; mai l'universalità del genio fu così contemperata coll'indole meridionale, che è di filosofi poeti. L'indicazione istessa della filosofia è in lui una poesia [224] che sgara qualunque poema filosofico antico. Bisogna udirlo: Nuda è la divina Sofia, e nuda irradia luce da tutto il corpo.... Deh! non la velate, chè gran peccato è velare questo santo corpo. Essa fa fede di sè.

Nuda est illa, nublis circumque stipula maniplis,

Nudaque de toto jaculatur corpore lucem,

Magna est velari sanctum hoc injuria corpus.

Ipsa fidem facit ipsa sibi. . . . . . . . . . . .

De Univer. et Immen.

La sua spiccata natura di filosofo poeta dovea dargli una qualità che dicono esclusiva della gente nordica, specialmente dell'anglo-sassone; l'umore. Non credo che in Italia ve ne siano due, vedo che in lui questa facoltà scintilla quando ei si mette di fronte al pedante. Quali motti e quanta finezza! Ciò che in Socrate era ironia di fronte al sofista, in Bruno è umore in faccia al pedante. La brevità non mi consente allargarmi in questo esame, che non è senza importanza.

Pur non manca in lui la contraddizione del suo tempo: non sono le due correnti di Campanella, ma è un dissidio intimo tra l'uomo nuovo e molte vecchie reminiscenze, attraverso le quali il morto soprannaturale tenta miracoli di resurrezione. I ricordi tomistici, la difficoltà di certe [225] soluzioni, l'oscurità di certi problemi, e que' freni che qualunque età impone anche ai fortissimi più d'una volta insidiano la trama della ragione.

Il dissidio però in Bruno è raro e più alla superficie che nella cosa. Il monismo in lui è sostanziale e questa forte unità dell'intelletto in contrasto coi poteri costituisce il suo carattere eroico.

Il carattere, signori, non è qualcosa di sovrapposto alla mente, è la mente istessa, e nel filosofo è il testimonio della sua filosofia. Se oscilla, se volta qua e là la faccia, se sale per la via men buona, se gonfia o supplica, sarà erudito, abile, avveduto, sarà politico pure, filosofo no. Le opere di Bruno sono filosofia e poesia, e sono un autobiografia: vi si legge l'universo e l'uomo. In quella autobiografia è il suo destino, i trionfi, il carcere, la sentenza. Prima che i giudici la firmassero, ei l'aveva scritta, e quella de' giudici ei poteva sprezzarla.

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