I.

Del secolo nel quale visse il Goldoni parecchi hanno discorso qui e troppo meglio che io non saprei; i propri casi egli raccontò nelle Memorie che non possono compendiarsi, senza toglier loro quanto hanno di arguta gaiezza e di bonaria semplicità; a esaminare particolarmente l'opera sua o, peggio, a toccare, soltanto a toccare, argomenti de' quali alcuni non abbastanza, altri non furono fino ad oggi per nulla studiati, la breve ora di una conferenza non basterebbe: a ricercare, per esempio, le fonti popolari o letterarie di qualche sua commedia: a esaminare l'opera de' numerosi e pedissequi imitatori ch'egli ebbe in Francia verso la fine del secolo scorso, [212] quando appunto sulle nostre scene non rimaneva più se non l'eco, di rado destata, de' suoi lontani trionfi: e quei Medebac ch'egli aveva già nutriti col proprio lavoro, illuminati co' riflessi della propria gloria, ora, pezzenti impersuasi o dimentichi, in Pisa dove il Goldoni parlò la prima volta col Darbes; in Livorno ove col Medebac sottoscrisse il primo contratto, riaprivano il teatro agli sconci personaggi del vecchio repertorio, alle Gertrudi martiri, ai Re d'Aragona, agli Eroi di Belgrado.

Se questo avesse ad essere il quadro, converrebbe, e di molto, allargare la cornice: io me ne starò dunque a raffigurare, se sia possibile, la immagine intellettuale e morale del Goldoni che si rispecchia in tutta l'opera sua; a ricercare frettolosamente i pregi intrinseci di quest'opera, le ragioni per le quali essa è giunta sino a noi, per le quali essa dura fresca, rigogliosa, immortale.

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