II.

La primavera del 1721 un barcone veleggiava fra Rimini e Chioggia. Dentro, “dodici fra attori ed attrici, un suggeritore, un macchinista, un guardaroba, otto servitori, quattro cameriere, due balie, ragazzi d'ogni età, cani, gatti, scimmie, pappagalli, piccioni, persino un agnello: pareva Parca di Noè.„ Giuochi, canti, suoni e fra tutti i suoni prediletto quello d'una campanella che chiamava frequente a refettorio i giovanili appetiti insaziabili. Fra quell'allegra baraonda un ragazzo di quattordici anni, scappato convalescente, col solo bagaglio di due camice e un berretto da notte, alle lezioni di filosofia di un frate illustre e noioso. A Chioggia, dove la madre dimora, lo aspettano forse i rimproveri e le sgridate di lei. Non ci pensiamo. Ci sarà tempo a pensarci, quando la servetta avrà finito di cantare, quando l'amorosa avrà smesso di far ridere, gemendo sulla morte immatura del gatto suo trastullo e delizia, precipitato dall'albero maestro nei gorghi adriatici. E poi.... e poi non ci saranno nè rimproveri, nè sgridate. Alla madre, prima, si presenterà il capo-comico.

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- Vengo da Rimini e le porto notizie del suo figliuolo.

- Oh! grazie, grazie. E come sta?

- Di salute, benone.

- Non è contento?

- Così così.... Soffre.

- Oh! poverino! perchè?

- Perchè è lontano da sua madre.

- Oh! caro!

- Eh! io gli avevo proposto di condurlo con me.

- E perchè non lo ha condotto?

- Ma.... e lei che cos'avrebbe detto?

- Che aveva fatto benissimo.

- Ma e gli studi?

- Gli studi.... capisco.... ma non poteva tornare a Rimini? E non ci son maestri dappertutto?

- Sicchè lei lo rivedrebbe volentieri?

- Eh! si figuri!

- E allora.... eccolo.

La porta s'apre, il ragazzo entra, s'inginocchia. Piange la mamma, piange il figliuolo, lacrime alternate di abbracci, di sorrisi, di baci. Arriva una zia, altri pianti, altri baci, altri sorrisi, altri abbracci. Che giova a quattordici anni prevedere e paventare guai che forse non accadranno? Tutto va bene quanto finisce bene.

Nel 1787 a Parigi un vecchio più che ottantenne [215] e già celebre stava scrivendo l'ultimo capitolo delle proprie memorie. Da quand'egli si accingeva a ordinarle ed a compierle, eventi gravissimi s'erano succeduti, lui spettatore. Fallito per la caduta del Turgot il tentativo di mutare la costituzione amministrativa della Francia, pur serbando intatto il suo organamento politico; inappagato, per la caduta del Necker, il più modesto desiderio di un assetto della finanza, i ministri cadevano l'un dopo l'altro, l'uno sull'altro: il Jouy de Fleury sul D'Ormesson, il D'Ormesson sul Calonne. La miseria, ottenuto qualche sollievo dai portentosi raccolti dell'ottantacinque e e dell'ottantasei, si faceva ora più aspra: e le plebi prima accasciate in lamentose rassegnazioni, si drizzavano col pallore delle collere risolute, aiutate dai parlamenti che si negavano ad approvare i nuovi balzelli. Quel di Besançon portava a Versailles insieme co' propri registri un pezzo di pane di avena, documento dell'inopia a cui era ridotto il popolo delle campagne. La monarchia spendereccia tornava agli errori d'un tempo; chiuso da una parte l'adito agli zeffiri delle riforme, mugghiava dall'altra il libeccio della sedizione. Il dramma rivoluzionario stava oramai per incominciare: il Calonne, convocando in quell'anno l'assemblea de' notabili, non vi aggiunse che un prologo breve.

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Nessuno s'illudeva più oramai; nè i ministri giubilati di Luigi XV come il Maupeou, nè i nuovi cortigiani di Maria Antonietta come il Besenval, nè gli apostoli della rivoluzione come il Mirabeau, il quale scriveva da Berlino: i notabili son la vanguardia dell'Assemblea nazionale. L'ilare vecchio invece intitolando al Re la propria autobiografia: “in mezzo ai notabili, diceva, e in faccia all'universo, Vostra Maestà ha manifestato propositi che guarentiscono il bene dello Stato e il sollievo del popolo. Oh! quanti salutari provvedimenti! Oh! quanti presagi di felice avvenire!„

E diceva così, non perchè adulatore d'altrui ma perchè lusingator di sè stesso: non corto di vista, volontariamente bendato. Che giova a ottanta anni prevedere e paventare sciagure che forse accadranno? A fasciarsi la testa c'è sempre tempo, quand'uno se la è rotta davvero.

Tale il Goldoni a quattordici anni, tale ad ottanta. In lui una intima, continua letizia, una naturale proclività, aiutata dalla educazione e dall'indole de' suoi di famiglia, a scorgere della vita gli aspetti ridenti soltanto; ad aspettarsi il bene, e a sopportare il male, quando giungesse, con pacata filosofia.

Ancor giovinotto, bisognoso di pane e perciò [217] di lavoro, s'accomoda con insperata fortuna, segretario del Residente di Venezia in Milano: un bel giorno per certa scappata costui, credendola peggiore, lo redarguisce aspro; poi ricredutosi e dolente dell'aver trasmodato, lo richiama, si scusa. Niente. Non volevo, dice il Goldoni, aver più di questi disturbi. Pianta l'impiego, e parte per Modena. A Parma s'impiglia in un movimento degli eserciti tedesco e francese; vede la battaglia assai da vicino, e il giorno dopo le migliaia di cadaveri rimasti sul campo. “Dappertutto, scrive, gambe, braccia, crani, sangue. Che eccidio!„ Orribili cose: ma che ci poteva egli fare? - E per passare il tempo legge il suo Belisario a un abate. Le strade rifatte libere, noleggia un calesse e parte con l'abate per Brescia: a un tratto, quattro malfattori mascherati assalgono il calesse, intimano ai viaggiatori che scendano, a lui tolgono la borsa, l'oriolo, la tabacchiera. Il calesse fugge al galoppo, il compagno si smarrisce, e lui.... Lasciamo che racconti da sè.

“Trovai un viale di alberi e mi riposai tranquillamente presso un ruscello; col concavo della mano ne attinsi un po' d'acqua che mi parve deliziosa.... Più innanzi sulla via, alcuni contadini mi offrirono i resti della loro merenda, che nonostante il guaio toccatomi, mangiai con eccellente appetito. Il capo della famiglia mi avvertì [218] che in casa loro non c'era da offrirmi per letto che un po' di fieno: meglio per me andare a Casalpusterlengo dove il curato, uomo garbatissimo, si sarebbe fatto un piacere di darmi ospitalità. Tutti gli altri approvarono: un ragazzo ebbe la compiacenza di farmi strada; ed io lo seguii benedicendo il cielo che se tollera da una parte i malvagi, anima dall'altra i cuori sensibili e virtuosi.„

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