X.

Conchiudiamo.

Nel comico impareggiato, fecondo come pochi, se pur è vero ciò che si narra del De Vega e del Calderon; de' più felici osservatori, de' più sagaci imitatori della natura, salutatelo con simpatia reverente il Goldoni e passate. Non gli chiedete la dipintura di affetti forti e profondi, non li provò nè seppe descrivere; fin gli onesti spasimi di Pamela lo turbano; quando la passione, rarissimamente, sbotta in alcuno de' suoi personaggi egli crede darle linguaggio adeguato, scontorcendo il periodo e mettendoci il verbo in fondo. Non gli chiedete che s'avventi contro al corrotto costume col flagello della satira: a tentare le fustigazioni pariniane nè l'animo suo fu inclinato, nè la cura del queto vivere gliele avrebbe, se mai, consentite. Tutti i personaggi della satira pariniana sfilano e più volte nelle sue commedie, ma indistinti, lievi come ombre. Non gli chiedete neanche la compiuta cronaca morale della sua Venezia: non vi trovereste tutto quanto ne videro il De Brosses, il Casanova, il Rousseau; se alle molte lodi che desiderò e [239] meritò, una vi piaccia aggiungerne ch'e' non curò meritare, dite ch'ei creò nel tempo della cipria e de' guardinfanti una commedia democratica, e ai miseri splendori delle ultime baldorie del patriziato contrappose sulla scena la vita lietamente povera de' navalestri ruvidi e de' pescatori, delle loro donne festose ma pudiche, modeste ma altere. Alla casa ov'ei nacque, là tra il ponte di Nomboli e il ponte di Donna Onesta, sull'angolo di via Cà Cent'anni (fatidico nome), se vi piaccia appendere ghirlande, inframmischiate al lauro le rose; e il simbolo della sua gloria si congiunga col simbolo della non mai turbata serenità dell'animo suo, onde parte di quella gloria gli venne.

Non corone di quercia. Questa smania innovatrice che ci travaglia e onde si sfigurano oggi le più limpide fisonomie, non oltre ci tenti a far del Goldoni un educatore morale o civile. Egli non sognò neppure le presunzioni didattiche della commedia; credè che all'arte bastasse il proporsi di ritrar la natura, come credè l'istesso Molière, non ostante le turpitudini del suo tempo gli strappassero dal labbro gli amari giudizî, e l'occhio suo divinatore scrutasse ne' decadimenti morali e politici dell'avvenire.

“Arcadia„ dicono. O beata colonia, dove il grande arcade Polisseno Flegeio siede tra le commosse [240] creature della sua fantasia. Là ancora Zelinda, più che centenaria oramai e tuttavia giovine della giovinezza perpetua degli Dei e de' capolavori, acuisce con affettuose malizie la gelosia di Lindoro: là ancora Lelio s'impiglia nelle proprie spiritose invenzioni: là il marchese di Forlimpopoli si conforta delle cresciute strettezze, pensando che un altro secolo crebbe la muffa agli orli degli aviti diplomi: là il Goldoni, fra quelle personificazioni delle immortali debolezze dello spirito umano, le contempla e sorride d'un sorriso immortale.

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