XII.

Tutti hanno primordi e vicende pressochè eguali anche gli altri che ho nominati e che formano il gruppo dei letterati avventurieri (siccome avventurieri letterati sono il Casanova e il Gorani) vale a dire: il Baretti, che coll'Alfieri divide la gloria d'essere uno dei primi introduttori del Piemonte nella vita letteraria italiana, e acerrimo nemico d'Arcadia e degli arcadeggianti si tira addosso persecuzioni così straordinarie per parte degli Inquisitori di Stato di Venezia e dei preti di Roma da far parere la sua non una ribellione [125] letteraria ma una ribellione politica, sicchè, dopo aver errato per mezz'Europa, non trova riparo se non all'ombra delle libertà inglesi, in questo, e forse per altre parti ancora, precursore del Foscolo e del Mazzini; l'Algarotti, che, scrittore enciclopedico, viaggiatore perpetuo, amico intimo di tutte le celebrità, a cominciare dal Voltaire e da Federico il Grande, divulgatore galante di scienza ad uso delle dame, gran dilettante di cose d'arte, raggiunge al suo tempo una notorietà e una gloria, di cui ai giorni nostri ci rendono più ragione le testimonianze dei contemporanei ed il suo epistolario, che non le sue opere, scritte bensì con disinvoltura d'uomo mondano, ma in quel gergo gallicizzante, allora di moda, ed oggi più che stucchevole; il Galiani, che, Napoletano, ed uomo e scrittore di vario e molto ingegno (tanto da poter passare agevolmente dalla collaborazione ad un libretto d'opera buffa a trattati d'economia politica) tiene a Parigi nelle riunioni più battagliere della filosofia demolitrice lo scettro dello spirito, si fa intitolare dall'amabilità francese: anima di Platone e Machiavelli nel corpo d'Arlecchino, e tutti lo festeggiano a gara e le dame se lo strappano, ed i filosofi dittatori si lasciano dire da lui, mentre egli incrocia le gambe su una poltrona e giuoca a palla colla propria parrucca: “voi sragionate per lo meno quanto i teologi;„ [126] il Gamerra, che di abate livornese si trasforma in ufficiale austriaco, in poeta lirico, epico, drammatico, si posa a Vienna continuatore del Metastasio e rivale del Casti, precorre in Italia col dramma lagrimoso gli eccessi del romanticismo più scapigliato, scrive un poema di novantatrè mila dugento trentadue versi sulle infedeltà coniugali (il tema è vasto, ma anche i versi son molti), dissotterra nottetempo il cadavere dell'amante e se lo tiene per anni imbalsamato nello scrittoio; il Calsabigi, che, letterato, viaggiatore, affarista, uomo di Stato, autore d'un Alceste, in cui entrano Morte, Inferno, Paradiso, “tutti i novissimi, come diceva il Metastasio, tranne il Giudizio„ introduce in Francia (di balla col Casanova) il giuoco del lotto; il Coltellini, che, figlio d'un bargello, e prima tipografo a Livorno, poi anch'esso poeta melodrammatico a Vienna, gran protetto del principe di Kaunitz, cacciato da Vienna per aver osato scrivere una satira contro Maria Teresa, si rifugia a Pietroburgo e, non rinsavito per la trista esperienza, è ivi autore d'un'altra satira contro Caterina II, di cui, secondo alcuni, avrebbe pagato il fio colla vita, dopo però d'aver procreato, oltre ai melodrammi e alle satire, una dinastia di commedianti, che, per via di donna, finirà nient'altro che in Carlotta Marchionni: e come questi, ai quali ho in breve accennato, [127] così tanti e tanti altri letterati avventurieri e tipi complicati e originali, dei quali sarebbe lungo profilare anche solo con pochi tratti la fisonomia e le strane vicende.

V'ha diversità grandi fra tutti questi uomini, ma tutti più o meno appartengono alla stessa famiglia. Non v'è fra i tanti nomi, che ho ricordati, se non un solo nome veramente grande, il Goldoni. Ma negli altri l'instabilità della mente, la precarietà dell'esistenza, la variabilità dei gusti, e insieme l'eccitabilità, la febbre, la sensibilità indisciplinata del temperamento sciupano, consumano la miglior parte della loro energia intellettuale e morale, ed essi non danno forse tutto quello che avrebbero potuto. Ciò non ostante, se voi considerate solo quel tanto che gli avventurieri o semi avventurieri italiani del secolo XVIII fanno o tentano, per esempio, nei maneggi politici o negli spettacoli teatrali di tutte le capitali d'Europa, vedrete che essi riassumono tutto quel po' d'influenza, sia pur umile e indiretta, che l'ingegno italiano potè ancora esercitare fuori d'Italia, in un tempo che l'interna vita della nazione era quasi spenta del tutto. Poco o molto che sia, di alcuni almeno questo di bene si può dire. Gli altri, anzichè ammirazione e simpatia, destano piuttosto pietà. Cronologicamente (se avete osservato) sono quasi tutti a cavaliere dei due secoli, [128] fra la fine della frolla e tarlata società del secolo XVIII e la Rivoluzione Francese, da cui bene o male uscirà la società odierna, e sono perciò tipi storici, rappresentativi d'una transizione violenta e dolorosa; sono insomma le povere foglie secche, agitate, sbalestrate già qua e là dal vento impetuoso, che annunzia l'uragano vicino a scoppiare.[129]

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