I.

Vittorio Alfiori è troppo gran tema per un breve discorso; ond'è naturale (a tacere anche degli altri motivi) che io sia tutt'altro che fiducioso di me stesso intraprendendo dinanzi a voi l'odierna conferenza. Ma nello stesso tempo io vi dico, o signore, che il parlare d'Alfieri a Firenze è cosa che mi attrae e, in qualche modo, mi affida.

Qui la figura del grande astigiano non ci appare subito funestata dal terribile pugnale “onde Melpomene Lui tra gl'itali vati unico armò„ come lo dipinse Parini e come egli amava talvolta di rappresentare sè stesso. Qui la sua accigliata figura si spiana alquanto e quasi ci sorride con domestica benevolenza. E voi sapete il perchè, o signore. Firenze, fra tutte le città del mondo, fu quella ove Vittorio Alfieri amò meglio di vivere [312] e ove fu contento di morire. Questo amore al bel paese e alla bella città si manifestò molto per tempo nella sua vita. Circa a ventisette anni egli intraprese il suo primo viaggio in Italia. Era irrequieto, scontento, malinconico. Si sentiva ignorantissimo e nell'animo suo si alternavano ora un desiderio disperato di sapere, ora un insuperabile disprezzo di ciò che non sapeva; e andava e passava, tra curioso e sdegnoso, per le varie città d'Italia. Milano, paragonata alla sua Torino, gli parve addirittura spiacevole. Quando gli presentarono nella biblioteca Ambrosiana alcuni codici preziosi, torse il viso sprezzante e disse che preferiva assai la vista d'un bel cavallo. Passò da Parma, Piacenza, Modena, quasi appena degnandosi di guardare dagli sportelli della vettura. Bologna coi suoi quadri non l'interessò; con le sue strade tortuose e co' suoi portici pieni di frati e di preti lo riempì di malumore. Ma giunge a Firenze e, a un tratto, ecco che tutto cangia! Firenze conquista l'Alfieri come una bella donna; e comincia allora in lui ad agitarsi il proposito di rifare la sua vita, di ricostituire la sua educazione; e determinando poi meglio il suo obiettivo, egli non fa che ripetere ne' suoi discorsi e nelle sue lettere: vivere, pensare, sognare anche, in toscano! Aggiungete che questa città, in mezzo alle tante traversie [313] della vita burrascosa, diventò il porto tranquillo, al quale sempre agognava. Nel 1792 ebbe a passare in Francia gravissime molestie. Egli e la sua donna per poco non furono soprafatti ed uccisi dalla plebaglia dei sanculotti, mentre uscivano di Parigi, essendo presi per dei nobili francesi emigranti. Aggiungete la perdita di denari, la perdita di libri; e immaginate voi quale dovette essere l'umore di quell'uomo tanto facilmente irritabile. Il furore “misogallico„ che già gli bolliva dentro da un pezzo, scoppiò addirittura. Ma appena giunge in Toscana, appena vede le cupole e le torri di Firenze, l'animo suo mirabilmente si rischiara e si rasserena, e va ripetendo un suo verso composto fino dal 1783: “Deh che non è tutto Toscana il mondo!„ Narra egli inoltre nella sua vita “che l'aver ritrovato questo vivo tesoro della favella nella voce del popolo fiorentino lo compensò nell'animo suo di tutto ciò che aveva perduto; i suoi libri, i suoi manoscritti, i suoi stessi denari confiscatigli e rubatigli dai rivoluzionari francesi.„ Ricordate infine che Vittorio Alfieri condusse qui gli ultimi anni della sua vita abbastanza tranquillo; qui, accanto a Galileo e a Michelangelo, ebbe degno sepolcro erettogli dalla pietà della sua donna e col consenso della cittadinanza. Intorno a quel sepolcro veglia la pietà riverente del popolo fiorentino.

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