I

I Longobardi, divenuti padroni di quasi tutta l'Italia, che oppressero duramente e lungamente, posero, come è noto, un duca in ciascuna delle città principali che occuparono. Roma restò libera da essi, perché v'era il Papa; Ravenna, perché ben presto vi fu l'Esarca, e quasi tutte le città poste sulla riva del mare furono preservate del pari, perché i Longobardi non erano navigatori, e avevano bisogno di chi facesse per loro il commercio marittimo. Questa è anzi la ragione per la quale le repubbliche come Venezia, Amalfi, Pisa, Napoli, Gaeta, sorsero prima delle altre. I duchi ebbero molta autorità e indipendenza; alcuni dei Ducati, massime ai confini, divennero cosí grossi, che somigliarono a piccoli regni, come furono quelli del Friuli, di Spoleto, di Benevento. Tutto questo contribuí non poco alla decomposizione del regno, ed alla caduta del dominio dei Longobardi, i quali non seppero mai all'ardire ed alla forza unire alcuna grande qualità politica.

Venuti i Franchi, posero invece dei duchi, i conti, i quali ebbero però minore importanza e piú piccolo territorio. Carlo Magno, uomo di grande ingegno politico, non voleva nel suo impero mantenere signori, che, per la voglia di rendersi indipendenti, ne potessero mettere a pericolo l'esistenza. Ma ai confini era pur necessario avere piú forte difesa; vi costituí quindi le Marche, che somigliarono ai piú grossi Ducati longobardi, e venero affidate a margravî o marchesi (Mark-grafen, conti di confine, marchesi o margravî). Cosí si formò anche il Marchesato di Toscana, la cui sede principale fu in Lucca, città che fin dal tempo dei Longobardi aveva, con un proprio duca, avuto non poca importanza, mentre che, come già ricordammo, Firenze era allora caduta in tanta oscurità da essere, nei documenti del tempo, ricordata come se fosse un borgo di Fiesole. Questi margravî divennero quasi da per tutto potentissimi, ed aspirarono a sempre maggiore grandezza. Da essi sorsero infatti uomini come Berengario, Arduino, che mirarono a costruire un regno d'Italia, s'opposero vigorosamente all'Impero, cui recarono spesso gravissimi danni, e mossero guerre sanguinose.

Non v'è quindi da maravigliarsi se la politica degl'Imperatori tedeschi fu piú tardi costantemente diretta ad indebolire in Italia i margravi ed i conti maggiori, dando esenzioni e benefizî ai vescovi, ai minori feudatarî, dichiarando ereditarî i benefizî concessi a questi ultimi, per renderli indipendenti dai maggiori e piú pericolosi. Ne crebbe quindi, specialmente in Lombardia, la loro importanza e cosí pure l'autorità politica dei vescovi, che divennero anch'essi veri e proprî conti. Ma in Toscana le cose andarono diversamente. Sia che la minor forza ed espansione, che ivi ebbe il feudalismo, lo rendesse meno temibile all'Impero; sia che, per la maggiore lontananza, riuscisse meno agevole governare il paese; sia pel bisogno d'avere nel centro d'Italia uno Stato forte, che facesse argine alla potenza crescente dei Papi; sia che questi ne favorissero la formazione, vedendovi un argine contro l'Impero; sia, come è probabile, per tutte queste ragioni insieme riunite, certo è che i duchi o marchesi di Toscana (giacché portavano l'uno o l'altro titolo) crebbero di forza e di potenza, e piú tardi divennero anch'essi minacciosi all'Impero. Ma ne rimase, al paragone della Lombardia, assai abbassata la potenza dei vescovi e dei conti, sotto il peso crescente dei margravî, che s'andavano d'ogni parte allargando, e sembravano qualche volta veri sovrani dell'Italia centrale. Per le stesse ragioni ne fu ritardato anche il sorgere delle città, massime di Firenze.

Già fin dalla seconda metà del decimo secolo, il marchese Ugo, di origine salica, chiamato il Grande, dominava la Toscana, il ducato di Spoleto, la Marca di Camerino; teneva, quasi come sovrano indipendente, la sua sede in Lucca, ed era favorito dagli Ottoni. I suoi successori continuarono a governare con autorità poco diversa dei duchi di Benevento, e Bonifazio III allargò il suo Stato anche nell'Italia superiore, tanto da dar ombra ad Enrico III, col quale seppe spesso lottare d'astuzia. Bonifazio, assai avido di potere, e d'indole dispotica, privò molti vescovi, conti e conventi de' loro beni, sia per impadronirsene, sia per darli a piú fidi vassalli. Aggravò la sua mano anche su quelle città, che, per la cresciuta loro importanza, aspiravano a qualche maggiore indipendenza. Fra queste erano principalmente Lucca e Pisa. La prima aveva prosperato per essere stata lungamente la sede principale del Ducato, la seconda dovette invece la sua prosperità al mare, su cui era, secondo la felice espressione dell'Amari, già libera, quando in terra rimaneva ancora soggetta. Firenze però viveva allora sempre modesta ed oscura, col suo piccolo commercio, circondata per tutto da castelli feudali.

L'anno 1037 Bonifazio aveva sposato Beatrice di Lorena, da cui ebbe nel 1046 la figlia Matilde, la celebre Contessa o Comitissa, come la chiamano i cronisti. Morto Bonifazio, assassinato nel 1052, Matilde si trovò ben presto a governare la Toscana e tutto il Ducato, insieme con la madre; piú tardi, alla morte di lei nel 1076, fu sola signora dei vasti dominî. Beatrice, donna assai religiosa, aveva, in seconde nozze, sposato Goffredo di Lorena, il cui fratello fu papa Stefano IX, e ciò li spinse sempre piú a favorire la politica papale, che fu poi da Matilde seguíta con passionato ardore. Questa donna d'alto animo e di energico carattere, quando si trovò sola, assunse subito con fermezza le redini del governo, e spesso la vediamo, colla spada al fianco, sui campi di battaglia. La sua politica condizione fu piena di pericoli, perché essa venne trascinata nell'aspra lotta, che scoppiò allora tra l'Impero e la Chiesa. Il grande e fiero Ildebrando condusse questa lotta dapprima come ispiratore di varî Papi; piú tardi, salito sulla cattedra di S. Pietro col nome di Gregorio VII, si trovò egli stesso a dirigerla di fronte ad Arrigo IV, ed ebbe in Matilde il piú franco e valido sostegno. In questo conflitto, che divise ed agitò l'intera Europa, molte furono, come era naturale, le opposte passioni che s'accesero in Italia. Le città che, come Pisa e Lucca, si tenevano oltraggiate dal duca Bonifazio, si dichiararono per l'Impero, che subito le favorí contro Matilde. Lo stesso fecero tutti i feudatarî scontenti, massime quelli che da Bonifazio erano stati spogliati dei loro beni. Matilde, è vero, piú di una volta li tolse a coloro cui erano stati arbitrariamente donati; ma di rado li restituí poi agli antichi possessori, preferendo concederli invece a chiese, a conventi, a suoi fedeli. E ciò dette nuova esca al fuoco. Ne nacque cosí un viluppo sempre piú intricato di opposte passioni, d'interessi in conflitto, fra i quali Firenze cominciò finalmente a cavarne vantaggio. Il suo spirito guelfo e la sua posizione commerciale, sulla via che conduce a Roma, l'avevano, sin dal principio, fatta inclinare verso la Chiesa, e la facevano adesso parteggiare apertamente per Beatrice e per Matilde, che perciò molto la favorirono.

Share on Twitter Share on Facebook