II

Per lungo tempo si credette che sin dal 1102 la città avesse avuto i suoi Consoli, cioè la sua indipendenza, perché essi sono ricordati in un trattato, che ha questa data, col quale gli abitanti di Pogna le si sottomettevano. Ma riusciva difficile mettere in armonia un tal fatto con la dipendenza allora chiaramente manifesta di Firenze da Matilde. Piú tardi fu provato che la data del documento era sbagliata, e doveva mutarsi in 1182, quando realmente era avvenuta la sottomissione di Pogna. L'indipendenza della Città fu perciò portata a dopo del 1115, anno in cui morí la Contessa. Ma non riusciva poi facile spiegare le guerre che già prima la Città aveva mosse, per suo proprio conto, ed altri eventi di simile natura. La verità è che non si può assegnare un anno determinato alla nascita del Comune fiorentino, il quale s'andò lentamente formando e svolgendo dalle condizioni in cui Firenze s'era trovata sotto gli ultimi duchi o marchesi. Riassumiamo un momento il già detto. Noi abbiamo ricordato i tumulti popolari, degli anni 1063-68, contro il vescovo Mezzabarba, accusato di simonia, ed abbiamo narrato come finissero con la prova del fuoco, sostenuta da Pietro Igneo nel 1068. Citammo, a questo proposito, le lettere di S. Pier Damiano, indirizzate: civibus florentinis. Citammo pure un documento in cui il clerus et populus florentinus si rivolgevano al Papa, e, narrando ciò che era accaduto, parlavano di un municipale praesidium, di un Praeses della Città, e di una superiore Potestas. Questo ci provò che la cittadinanza allora già sentiva la sua propria personalità, e che dentro le mura v'era già l'embrione d'un governo locale. La suprema Potestas era senza dubbio il duca Goffredo, marito di Beatrice: il Praeses era il loro rappresentante in Firenze. Dinanzi ad esso il Vescovo aveva minacciato di far trascinare, come vedemmo, i suoi avversarî, i cui beni sarebbero stati confiscati, egli diceva, se persistevano nella disubbidienza. Questo Preside comandava il praesidium, al quale si dava nome di municipale prima ancora che il municipio veramente esistesse, ed un tal nome ci prova che, almeno in massima parte, il presidio doveva essere composto di cittadini. Ma tutto ciò dimostra del pari che, quando Firenze faceva ancora parte integrante del Margraviato, le forme, le tradizioni, le idee romane prevalevano già tanto in essa, da far dare nomi romani ad istituzioni di origine feudale. Questo è un fatto sul quale dobbiamo ora fermarci, perché ne sorge una questione, che non è solo di forma, ma ha una vera importanza storica.

Un tale linguaggio non deve recare gran meraviglia, se pensiamo che lo studio degli elementi del diritto romano, unito a quello della retorica, dell'ars dictandi, faceva allora parte del Trivium, e s'insegnava perciò largamente in Italia. Nella prima metà del secolo xi, uno studio anche piú elevato del diritto era già fiorente nella scuola di Ravenna, di dove faceva sentire la sua crescente azione in tutta la Romagna, e di là in Toscana. Pareva che questo diritto rifiorisse spontaneamente dal seno stesso delle popolazioni latine, in mezzo alle quali non s'era mai interamente perduto: nel suo nuovo vigore esso modificava, alterava le istituzioni, le legislazioni diverse con cui veniva a contatto. Infatti nelle sentenze di Beatrice e di Matilde troviamo qualche volta citato il Digesto, che secondo la procedura del tempo, era portato nei tribunali da coloro che su di esso fondavano i loro diritti. Che anche i Fiorentini attendessero a questo studio, e tenessero in gran pregio il diritto romano, ne abbiamo una prova abbastanza manifesta nelle opere di S. Pier Damiano. Egli ci narra d'una loro disputa giuridica, per la quale, verso la metà di quel secolo, avevano chiesto il parere dei sapientes di Ravenna, che, a suo grande disdegno, presumevano, coll'autorità del Digesto, alterare le prescrizioni del diritto canonico. E fra tali sapienti, egli dice, il piú impetuoso e sottile, era appunto un Fiorentino. Un'altra prova se ne potrebbe vedere nella osservazione già fatta dal Ficker, che cioè nei tribunali tenuti in Firenze e nel suo contado, assai di rado si trovarono presenti quegli assessori o causidici romagnoli, che abbondavano invece nei tribunali d'altre parti della Toscana. Questo vorrebbe dire, ci sembra, che i Fiorentini non avevano per ciò bisogno di ricorrere alla Romagna. Piú tardi, cioè verso la fine del secolo, cominciò a fiorire in Bologna la scuola d'Irnerio, che mirava all'esatta riproduzione, e promosse un vero rinascimento del diritto romano. Ma la scuola di Ravenna, nel tempo di cui qui parliamo, rappresentava invece una continuazione dell'antica sapienza, in parte decaduta, in parte alterata dai diversi elementi di civiltà, in mezzo ai quali sopravviveva, e che a sua volta andava profondamente modificando. Una di queste alterazioni, assai notevole per le sue conseguenze, non solo giuridiche, ma anche politiche, seguí nella formazione e nell'indole del tribunale margraviale.

Noi sappiamo che Matilde, al pari de' suoi antecessori, amministrava, in nome dell'Impero, la giustizia, solennemente presiedendo i tribunali. Questo era anzi uno de' suoi principalissimi ufficî. Abbiamo parecchie delle sue decisioni, dalle quali possiamo vedere come era composto il tribunale. Accanto a lei sedevano alcuni grandi feudatarî; poi v'erano giudici, assessori, causidici e testimoni; poi il notaio. Già il Lami aveva osservato, che i giudici e specialmente gli assessori mutavano, secondo che la Contessa andava da città a città, il che gli dimostrava che non pochi di essi erano abitanti di quelle città in cui giudicavano. Ed invero chi sono costoro in Firenze? Noi vi troviamo i Gherardi, i Caponsacchi, gli Uberti, i Donati, gli Ughi ed alcuni altri. Questi erano sin d'allora i principali e piú autorevoli cittadini, i Bomi Homines, i Sapientes, gli stessi che piú tardi vedremo Consoli. È un piccolo numero di famiglie, che prima entrarono a far parte del tribunale margraviale, e poi si trovarono alla testa del Comune. Il mutamento politico venne agevolato, apparecchiato da un mutamento giuridico, seguito per la crescente azione del rinnovato diritto romano. Quale fu questo mutamento? La distinzione precisa delle diverse funzioni che, secondo il diritto germanico, spettavano al presidente del tribunale, il quale pronunziava la sentenza, o ai giudici, che l'apparecchiavano, applicando la legge, s'era andata perdendo. Qualche volta la Contessa sentenziava senza i giudici; piú spesso erano essi che facevano il processo, applicavano la legge, formulavano la sentenza, la quale veniva semplicemente sanzionata da lei, che si riduceva cosí ad essere, secondo dice il Ficker, un presidente inattivo. Ciò vien confermato dal vedere come piú di una volta manchi nel tribunale la presenza stessa di Matilde, ed il processo rimanga interamente affidato ai giudici. Entrata che fu per questa via, le sue molte e gravi occupazioni politiche, le continue guerre in cui si trovava impegnata, dovettero aumentare il numero dei giudizî abbandonati a giudici cittadini. Ed il fatto doveva avere una grande importanza in un tempo nel quale l'amministrazione della giustizia era uno dei principali attributi della politica sovranità. Questi tribunali cittadini sono quindi un segno precursore della indipendenza comunale, prima che il Comune abbia ancora acquistato la sua vera autonomia, la sua piena personalità. La notevole mancanza di documenti, i quali provino la esistenza di giudizî presieduti da Matilde in Firenze, negli ultimi quindici anni della sua vita, è una conferma di quanto diciamo. Un fatto simile si riscontra ancora in quelle città toscane che erano rimaste fedeli all'Impero, giacché vi troviamo del pari esempi di tribunali, nei quali la giustizia non veniva amministrata da potestà feudali, ma da cittadini investiti dell'autorità giudiziaria dall'Imperatore. Anch'essi sono un apparecchio all'indipendenza comunale, quantunque non ne siano veramente il principio, come alcuni pretesero.

Certo è che per questa e per altre vie, durante la lotta fra Matilde ed Arrigo IV, molte delle città toscane, parteggiando per la Chiesa o per l'Impero, venendone perciò efficacemente favorite, iniziarono cosí la propria indipendenza. Dopo la sconfitta data a Matilde nel Mantovano, l'anno 1081, Arrigo IV fece larghe concessioni a Pisa ed a Lucca, dimostratesi a lui amiche. In un diploma dato a Roma, il 23 giugno 1081, egli non solo garantiva a Lucca la integrità delle sue mura, ma le concedeva facoltà di non permettere ad alcuno di costruire castelli dentro le Città o nel contado, a sei miglia d'intorno, e le assicurava che non sarebbe costretta a edificare palazzo imperiale. Dichiarava inoltre che non manderebbe messo imperiale a pronunziar sentenze nella Città, riservando però il caso che fossero presenti l'Imperatore stesso, il suo figlio o il cancelliere. Finalmente annullava le perverse consuetudini imposte da Bonifazio III a danno di Lucca, a cui dava libera facoltà di esercitare il proprio commercio nei mercati di S. Donnino e di Capannori, dai quali espressamente escludeva i Fiorentini. Quest'ultima clausola ci prova ad un tempo l'avversione dell'Impero contro Firenze, e l'importanza che doveva allora avere già preso il commercio di questa città. Nel medesimo anno, con un altro diploma, furono a Pisa garantite le sue antiche consuetudini, ed Arrigo le dichiarava, che non avrebbe nelle mura o territorio di essa mandato a far placiti alcun messo imperiale, appartenente ad altro contado. Ma, quello che è piú ancora, dichiarava che non manderebbe in Toscana alcun marchese, senza il consentimento di dodici Buoni Uomini, eletti dall'assemblea popolare, radunata in Pisa al suono della campana. Qui, se noi ancora non vediamo apparire i Consoli, abbiamo però in questi Buoni Uomini o Sapientes eletti dal popolo, i loro precursori, ed abbiamo già una popolare assemblea. Se il Comune non è ancora nato, lo vediamo, si può dire, nascere sotto i nostri occhi. Notevolissimo è poi (se non v'è qualche interpolazione) il trovare sottomesso all'approvazione del popolo l'invio di un margravio imperiale. Questo accennerebbe anche al bisogno (inattuabile finché viveva Matilde) di assumere direttamente il governo del Margraviato, cosa che, dopo la morte di lei, fu davvero tentata, ma che anche allora solo in piccola parte e per breve tempo poté, come vedremo, riuscire.

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