I

Dopo che l'ufficio del Podestà era stato nel 1207 stabilmente costituito, l'aristocrazia, che piú di tutti lo aveva desiderato e promosso, crebbe di ardire, s'ordinò sotto di esso militarmente, e prese parte sempre maggiore a tutte le guerre esterne. Le cose pareva che dovessero perciò procedere con rapida fortuna, quando invece nel 1215 il fatto del Buondelmonti fece scoppiare la guerra civile. Per pacificare i mali umori, che già serpeggiavano fra alcuni dei nobili, specialmente fra i Buondelmonti da una parte, gli Uberti e i Fifanti dall'altra, con molti aderenti di qua e di là, s'era concluso un matrimonio fra Buondelmonte Buondelmonti ed una giovane degli Amidei. Ma quando tutto era fissato, la moglie di Forese Donati, chiamò il Buondelmonti, e gli disse: «Oh! cavaliere vituperato, che prendi in moglie una donna degli Uberti e dei Fifanti, meglio faresti e piú saresti onorato, se togliessi questa». Ed in cosí dire gli mostrò la propria figliuola, che il Buondelmonti accettò e sposò ben presto, abbandonando l'Amidei. I parenti e gli amici della giovane tradita s'unirono in casa Amidei, ove giurarono di vendicare l'ingiuria. Fu allora che Mosca Lamberti, rivolgendosi a chi doveva eseguir la vendetta, disse: «Chi batte o ferisce solamente, s'apparecchi la sepoltura». E poi a significare che bisognava farla finita, aggiunse le memorabili parole: «Cosa fatta, capo ha». E si venne al sangue.

Il giorno di Pasqua, del 1215, Buondelmonte Buondelmonti, che era bellissimo giovane, venendo d'Oltrarno, sopra un bianco cavallo, elegantemente vestito, con una ghirlanda in testa, passò il Ponte Vecchio, e appena che giunse ivi ai piedi della statua di Marte, fu aggredito. Schiatta degli Uberti, con un colpo di mazza lo gettò a terra, gli altri congiurati gli corsero subito addosso, e con un coltello gli segarono le vene. Allora il cadavere fu messo nella bara, e con la sposa che gli teneva il capo, vennero portati in giro per la Città, ad eccitare nuovi odî, nuove vendette. E cosí ebbe origine una serie di guerre intestine, con le quali molti cronisti fanno cominciare in Firenze la divisione dei Guelfi e dei Ghibellini. Ma nessuno storico moderno vorrà dare cosí grande importanza ad un fatto d'indole privata, e credere che la mancata promessa alla giovane Amidei, fosse la vera causa di due partiti, i quali già dal 1177 noi abbiamo visto insanguinare piú volte la Città. Lo stesso Villani, che pure al fatto del Buondelmonti attribuisce l'origine dei Guelfi e dei Ghibellini, aggiunge: «Con tuttoché dinanzi assai erano le sette tra nobili cittadini e le dette parti, per cagione delle brighe e questioni dalla Chiesa allo 'mperio». Il fatto del Buondelmonti venne di certo, con gli odî privati, ad infiammare sempre piú le passioni politiche di due partiti, che già esistevano, ma che a tempo di Federico II acquistarono una importanza politica assai piú generale, connettendosi con tutta quanta la storia d'Italia, e solo allora presero in Firenze il nome tedesco di Guelfi e di Ghibellini. Ed è da notarsi, che appunto nel luglio del 1215, Federico II entrò solennemente in Aix-la-Chapelle, e prese la corona di Re di Germania, il che non è senza importanza, per la storia dei partiti in Italia. Tutto ciò può spiegar facilmente perché i cronisti attribuissero al fatto del Buondelmonte, seguíto in quello stesso anno, l'origine dei Guelfi e dei Ghibellini. Ma i nomi, non i partiti cominciarono allora.

Il Villani, nella sua cronica, (V. 39) ci dà ora la lista delle principali famiglie ghibelline e guelfe, dalla quale si cava già che quelle di piú antica nobiltà erano quasi sempre ghibelline, mentre che tra i Guelfi v'erano molti «non di grande antichità», ma che pure «già cominciavano a divenire possenti». Piú tardi, quando i Ghibellini saranno distrutti, i nobili guelfi formeranno il partito del popolo grasso. Per ora essi sono nobili avversi agli Uberti, e cominciano perciò ad avvicinarsi alle famiglie dei nuovi ricchi, ed anche al popolo, parteggiando per la Chiesa. Fortunatamente, in questo medesimo tempo, papa Innocenzo III iniziava una Crociata, e molti dei potenti fiorentini andarono in Oriente, a portare in servizio d'una causa piú nobile, il loro ardore bellicoso. Nella presa di Damiata infatti si fecero grande onore, e Bonaguisa dei Bonaguisi fu primo a salir sulle mura, piantandovi, insieme con la bandiera cristiana, quella della Repubblica. Fino ai tempi di Giovanni Villani si conservava e teneva in grandissimo onore questa bandiera.

Nel 1218 si ricominciò la guerra nel contado, e fino al '20 si conquistarono altre terre e castelli, facendo giurare fedeltà a tutti quelli che venivano sottomessi. Ma poi si venne subito ad una guerra assai piú grossa coi Pisani. La gelosia fra queste due repubbliche rivali andava sempre crescendo, gareggiando esse già da un pezzo fra loro, per avere l'assoluto predominio commerciale in Toscana. L'una era padrona del mare, l'altra comandava sul continente, e però l'una aveva bisogno dell'altra. Facevano quindi sempre accordi e trattati, ma erano pur sempre in continua gelosia. Firenze si manteneva costantemente amica della Chiesa; Pisa, invece, dell'Impero. Ma le cose erano a poco a poco giunte a tale, che la piú piccola occasione poteva bastare a promuover la guerra, anzi a cominciare una serie di guerre interminabili, che dovevano dar nuovo carattere ai partiti in Toscana.

Infatti, il primo pretesto alla guerra, quale almeno lo narra il Villani (VI. 2), è cosí futile da sembrare assolutamente ridicolo. Alla incoronazione dell'imperatore Federico II in Roma (1220), assistevano, secondo il cronista, molti ambasciatori, e fra gli altri quelli di Pisa e di Firenze, che da un pezzo si guardavano in cagnesco. Avvenne che uno degli ambasciatori fiorentini, andato a convito da un cardinale, gli chiese in dono un bellissimo canino, che il cardinale promise. Il giorno di poi questi invitò i Pisani, uno dei quali chiese lo stesso canino, che il cardinale promise del pari. Il Fiorentino però mandava prima del Pisano a prenderlo, e l'ebbe. Da ciò nacquero ire e ferite, non solo tra gli ambasciatori e tra i loro seguaci; ma anche tra i Pisani e i Fiorentini che si trovavano a Roma. È difficile dare a questo racconto un valore storico: esso vale però a dimostrare che gli animi erano allora concitati in modo, che ogni occasione bastava per far venire alle mani. Il fatto vero è, come si ritrae anche dal Sanzanome, che Fiorentini e Pisani s'azzuffarono tra loro in Roma. I Pisani furono primi ad assalire, ma ebbero poi la peggio. Giunta a Pisa la notizia della contesa, vi destò grandissimo sdegno: si voleva una pronta riparazione, e furono perciò sequestrate colà le mercatanzie dei Fiorentini. Questi pare che allora facessero di tutto per evitare un conflitto, ma invano. Gli apparecchi continuarono un pezzo da una parte e dall'altra, fino a che, nel 1222, essendo scoppiata la guerra tra i Lucchesi ed i Pisani, i Fiorentini presero la occasione, per assalire i secondi presso Castel del Bosco, e li disfecero, facendo, secondo i cronisti, 1,300 prigionieri. Seguirono poi altri assalti e conquiste di piccoli castelli fino al 1228, quando vediamo i Fiorentini in guerra piú grossa coi Pistoiesi, che dovettero con essi venire a patti. In questo anno si trova per la prima volta, nelle guerre dei Fiorentini menzionato il carroccio. Iniziato già da piú tempo a Milano, era stato a poco a poco, con leggiere modificazioni, adottato dalle altre città italiane, quando le guerre e gli eserciti ingrossando, avevano sentito il bisogno d'un centro intorno a cui far testa. Tirato da buoi coperti di scarlatto, portava due grosse antenne dalle quali sventolava il grande stendardo, bianco e rosso, della Repubblica. Seguiva, sopra un altro piccolo carro, una campana detta la Martinella, la quale serviva a dare ordini militari. Qualche tempo prima che si dichiarasse la guerra, la Martinella veniva attaccata alla porta della chiesa di S. Maria in Mercato Nuovo, e colà sonando, avvisava i cittadini ed i nemici che si tenessero pronti alle armi. Intorno al carroccio stavano a guardia i piú valorosi cittadini; la sua resa era tenuta come l'ultima disfatta ed umiliazione dell'esercito.

Si cominciò ancora una lunga e sanguinosa guerra coi Senesi, che fu continuata quasi ogni anno dal 1227 sino al 1235. I Senesi soffrirono gravissimi danni, ma presero Montepulciano, di cui disfecero le mura e le torri, e danneggiarono Montalcino, che era in lega coi Fiorentini. Questi però, non solamente guastarono molte volte il contado senese, e fecero numero grande di prigionieri; ma posero l'assedio alla stessa città nemica, e, sebbene non potessero pigliarla, pure vi si avvicinarono tanto da manganarvi dentro degli asini, in segno di disprezzo. Finalmente, per la mediazione del Papa, si concluse la pace, che fu fatta a grande vantaggio dei Fiorentini. I Senesi dovettero pagare grossa somma di danaro, per far ricostruire le mura e le torri di Montepulciano, terra che non dovevano piú disturbare, e si obbligarono anche a rifornire il castello di Montalcino, a richiesta dei Fiorentini, che restarono padroni di Poggibonsi.

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