II

E cosí, fra tutte queste guerre, nelle quali l'azione del Papa e dell'Imperatore si faceva da un lato o dall'altro sentire, noi possiamo vedere come s'andassero costituendo i partiti in Toscana, e come andasse cominciando il predominio politico e commerciale di Firenze. Le sue rivali sono ora Pisa e Siena, che aderiscono all'Impero; essa invece aderisce sempre di piú alla Chiesa. Pisa le chiudeva la via del mare, onde l'origine della loro rivalità, e delle guerre continue, rese inevitabili quando la potenza commerciale di Firenze le fece sentire piú che mai insistente il bisogno d'uno sbocco al mare. Siena da un altro lato rivaleggiava con Firenze, per porre in mano dei proprî banchieri tutti gli affari della curia romana, i quali erano tali e tanti che bastavano ad arricchire coloro che li trattavano. Queste gelosie continue spingevano costantemente Pisa e Siena a favorire l'Impero. Lucca, invece, per la rivalità che aveva con Pisa, s'accostò a Firenze, e fu guelfa. Pistoia si trovava fra due città guelfe, che sempre la minacciavano, e divenne perciò ghibellina. Cosí dunque si divisero i partiti in Toscana, e reagirono poi sulla formazione dei partiti in Firenze, i quali, a cagione del carattere piú generale che andavano ora assumendo, per la crescente azione dell'Imperatore Federico II in Italia, presero il nome germanico di Guelfi e di Ghibellini. Firenze, avendo umiliato Pisa, Siena e Pistoia, si trovò di fatto alla testa della Toscana; ma c'era il pericolo che aumentasse la potenza di Federico II, nemico del Papa, che lo aveva scomunicato, e dei Guelfi. Egli s'era prima allontanato, per andare alla Crociata in Asia; ora si trovava in Germania a lottare contro il proprio figlio, che gli s'era ribellato, e tutto ciò aveva molto contribuito alla buona fortuna dei Fiorentini. Ma doveva ben presto tornare, e ciò poteva far rialzare la testa a tutti i loro nemici.

Intanto, sotto la signoria dei varî Podestà, che s'erano in questo tempo seguiti, Firenze prosperava nella guerra, s'ordinava ed abbelliva nella pace. Per opera del podestà Torello da Strada (1233) furono chiamati a scriversi presso i pubblici notai tutti gli uomini del contado, secondo la loro condizione di liberi, servi, o dipendenti, perché si potesse cosí conoscere lo stato vero della popolazione, e meglio amministrare. Il podestà Rubaconte da Mandello (1237 e 38) fece costruire un nuovo ponte sull'Arno, che da lui si disse a Rubaconte, e piú tardi, alle Grazie, dalla vicina chiesa. Furon del pari, per opera sua, lastricate la prima volta tutte le vie di Firenze, ed eseguite altre opere pubbliche, utili alla salute dei cittadini, o di ornamento alla Città. Cosí un magistrato che, secondo i cronisti, aveva cominciato con l'ufficio di semplice giudice, lo vediamo sempre piú operare come capo della Repubblica. E l'aristocrazia sotto di esso cresceva ogni giorno piú d'ardire e di potenza, massime quando la venuta di Federico II cominciò a sollevare il partito ghibellino in tutta Italia. All'assedio che questi pose a Brescia nel 1237, vediamo pigliar parte molti nobili Fiorentini. Le amicizie e gli aiuti che l'Imperatore trovava nella loro Città andavano ogni giorno crescendo, il che fu causa di molti tumulti, per la viva opposizione che a tutto ciò faceva la nobiltà guelfa, unita al popolo, che era guelfo anch'esso. Nel 1240 noi troviamo che furono nominati tre cittadini, per raccoglier danari in aiuto dell'esercito imperiale, cosa strana veramente in una repubblica dove il popolo era tutto guelfo. Non è però strano, che tali fatti portassero l'inevitabile conseguenza, d'una reazione.

Sin dal 1246 Federico II aveva mandato vicario generale in Toscana, il suo figlio naturale Federico d'Antiochia, e pose ancora in Firenze suoi vicarî a tenere l'ufficio di Podestà. Questo suscitò il malumore dei nobili guelfi, che volevano invece ricondurre la Città alla loro parte. Allora Federico II, che l'anno 1247 trovavasi nella Lombardia, in guerra sempre piú aperta col Papa, il quale ripeteva le scomuniche, gli toglieva il titolo d'Imperatore, e gli suscitava nemici per tutto, mandò suoi messi agli Uberti in Firenze, avvisandoli ch'era venuto per essi il momento d'impadronirsi del governo della Repubblica. Osassero pur di pigliare le armi, che i suoi aiuti non sarebbero fra poco mancati. E gli Uberti non furono sordi. Raccolti i capi delle piú potenti famiglie ghibelline, decisero di venire senz'altro alla prova delle armi. La Città si trovò subito divisa: da un lato era l'aristocrazia ghibellina, dall'altro tutto il popolo coi nobili guelfi, e fu levato il rumore. Si combatteva da una contrada all'altra, continuando di giorno e di notte, dai serragli, dalle torri, con manganelle e con altri strumenti di guerra. A poco a poco gli animi si riscaldarono per modo, che la lotta divenne generale. I Ghibellini, sicuri nella speranza dei vicini aiuti, e piú destri nelle arti di guerra, avevano unità di comando, e fecero testa alle case degli Uberti, donde partivano gli ordini. Il popolo, invece, che si batteva senza alcun ordine, si vide ben presto circondato. Pure vi fu un momento, in cui pareva che ciò appunto dovesse assicurargli la vittoria. Stretto da ogni lato, si trovò poco a poco forzato a raccogliersi intorno al serraglio dei Bagnesi e dei Guidalotti, di dove, facendo testa con gran vigore, sembrava che fosse per ripigliare il terreno perduto. Ma in quel punto arrivarono gli aiuti imperiali, e allora tutto fu perduto. Federico, figlio e vicario generale dell'Imperatore, entrò in Firenze conducendo 1,600 cavalieri tedeschi, i quali con molto impeto assalirono il popolo, che per tre giorni ancora si difese con grande ostinazione d'animo. Ma era una resistenza vana del tutto. I Ghibellini da per ogni dove soverchiavano, e l'Imperatore avrebbe, all'occorrenza, potuto mandar loro sempre nuovi aiuti. Rustico Marignolli, uno dei piú valorosi Guelfi, che aveva fino allora tenuto nella mischia la bandiera del popolo, venne ferito e morto d'un quadrello nel viso. I capi della parte perciò decisero finalmente di cedere, e di esulare la notte della Candelora (2 febbraio 1249). Radunatisi in armi tutti quelli che erano decisi a partire, andarono a pigliare il corpo del Marignolli, e con grandissima pompa di popolo, di armi e di fiaccole, lo seppellirono di notte in S. Lorenzo, portando la bara sulle spalle i piú onorati cavalieri, e trascinando per terra la bandiera vinta, ma non umiliata. Tutto aveva somiglianza piú d'un giuramento di futura vendetta, fatto sul cadavere del morto guerriero, che d'un funebre convoglio.

Dopo di ciò i capi de' Guelfi partirono, e si rifugiarono nei vicini castelli, quei medesimi castelli, da cui con tanto sangue avevano snidata la nobiltà feudale, che, venuta poi in Città, ripagava ora in tal modo le sofferte ingiurie. Trentasei case di Guelfi furono disfatte, fra cui il palazzo Tosinghi in Mercato Nuovo, alto novanta braccia, tutto a colonnini di marmo. L'odio andò tanto oltre, che si poté dire e credere da molti avere i Ghibellini meditato perfino la distruzione del tempio di S. Giovanni, perché ivi solevano radunarsi i Guelfi. Avevano, si affermava, scavato le fondamenta della vicina torre del Guardamorto, acciò, cadendovi sopra, lo rovinasse. Il tentativo non sarebbe riuscito, perché, nel cadere, la torre prese miracolosamente altra direzione. Ma assai piú credibile è il racconto del Vasari, il quale scrive, invece, che la torre fu abbattuta per sgomberare la piazza, e che Nicolò Pisano, il quale ne ebbe commissione, la tagliò e fece cadere in modo da non danneggiare la chiesa né le case vicine.

Comunque sia, fu questa la prima volta, in cui cominciò veramente la storia funesta delle crudeli vendette cittadine, non solo col disfare le case dei vinti, ma esiliandoli in massa. I Ghibellini restaron padroni di tutto, e per maggior sicurezza ritennero 800 soldati tedeschi, comandati dal conte Giordano Lancia. Si direbbe che il partito il quale traeva la sua origine di Germania, dove riteneva sempre forti aderenze, non potesse neppure ora pigliare in mano le redini del governo fiorentino, senza essere sostenuto dal braccio del soldato tedesco, e potesse nella Repubblica comandar solo in nome dell'Imperatore. Tali furono dunque le ultime conseguenze dell'aver lasciato entrare in Firenze l'aristocrazia feudale-imperiale, e dell'averle permesso di trovare nel Podestà non solamente un giudice, ma ancora un capo politico e militare.

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