IX

Noi siamo però ancora assai lontani dall'aver dato un concetto adeguato e chiaro della Costituzione e della società fiorentina, nella seconda metà del secolo xiii. Ancora non abbiamo parlato abbastanza della parte piú importante delle nuove riforme, l'ordinamento cioè delle Arti. Le proposte che a tal fine i Trentasei, radunati nella Corte di Calimala, avevano fatte sin dal principio, quelle contro cui i Grandi piú s'eran sollevati, furono subito accettate dal popolo, e divennero d'ora in poi la base principale degli Statuti fiorentini. Le associazioni d'arti e mestieri erano antichissime in tutta Italia, ed a Firenze avevano ben presto fatto maggiore progresso che negli altri Comuni. In esse s'era, come vedemmo, concentrata tutta la vita del popolo, quando la tirannia dei Ghibellini, protetti da Manfredi, lo aveva escluso da ogni partecipazione al governo. Ed ora non si fece altro, che dar forma piú ordinata e legale a ciò che naturalmente era sorto e progredito. Le Arti maggiori, le sole che furono nel '60 sollevate a vera e grande importanza politica, eran sette; le altre solamente piú tardi poterono, al pari delle prime, ricostituirsi. Che cosa dunque divennero adesso le sette Arti maggiori? Pigliamone ad esaminare minutamente una sola, quella che prima e piú di tutte divenne importante; essa ci servirà di guida e modello a comprendere le altre.

Nel tempo di cui noi ragioniamo, insieme con le industrie, fiorivano in Italia le arti belle, e questo non solo giovava alla cultura nazionale, ma cominciava già a portare alle nostre manifatture il vantaggio di dar la legge del gusto in Europa. La moda partiva allora da Firenze, da Milano e Venezia, come oggi viene da Parigi. Ed al buon gusto italiano l'arte di Calimala dovette in parte la sua origine ed il suo rapido incremento. Essa consisteva nel raffinare e tingere, con colori di cui i Fiorentini soli possedevano il segreto, panni forestieri, che venivano di Fiandra, di Francia o d'Inghilterra, per poi, cosí perfezionati, tornare in tutti i mercati d'Europa, col bollo dell'Arte. E questo bollo aveva una riputazione grandissima, giacché assicurava della buona qualità, e che nessuna contraffazione vi era, che la misura delle pezze era scrupolosamente esatta e verificata in Firenze. Egli è facile comprendere come i mercanti di Calimala si trovassero in molteplici relazioni con tutta l'Europa, e come i loro interessi s'estendessero ovunque era qualche progresso di civiltà e di agiato vivere. Nacque quindi, sin da antico, il bisogno di scegliere capi dell'Arte, fare Statuti, avere Consoli non solo in Città, ma anche fuori, per tutelare questi interessi. Ma ora, per le nuove riforme, essa, al pari d'ogni altra delle Arti maggiori, fu costituita addirittura come una piccola repubblica.

Ogni sei mesi, adunque, in giugno cioè e dicembre, si radunavano i capi di fondachi o botteghe, e questa Unione dell'Arte, che, in qualche modo, potrebbe paragonarsi a ciò che nella Repubblica era il Parlamento, sceglieva gli elettori, cui era commesso di nominare i magistrati. Primi erano i 4 Consoli, che rendevano giustizia secondo gli Statuti; rappresentavano l'Arte, e la governavano con l'aiuto di due Consigli, uno speciale, non minore di 12 membri, e l'altro generale, che andò spesso variando di numero, e si restrinse anche fino a 18. Con l'approvazione di questi Consigli, potevano i Consoli anche riformare gli Statuti. Essi portavano la bandiera dell'Arte, e sotto i loro ordini si radunavano, all'occorrenza, gli artigiani armati. V'era poi il Camarlingo che durava in officio un anno, ed amministrava le uscite e le entrate dell'associazione. E come la Repubblica aveva un magistrato forestiero nel Podestà, cosí l'ebbe anche l'Arte nel suo Notaio, il quale durava anch'esso in ufficio un anno; era eletto dal Consiglio generale, e doveva arringare nei Consigli, a nome dei Consoli; spesso andava nelle ambascerie per l'Arte, e soprattutto vegliava continuamente alla scrupolosa osservanza degli Statuti, con la facoltà di punir severamente chiunque li violasse, non esclusi i Consoli stessi. Tutti questi magistrati dovevano essere fedeli a Parte guelfa. Il salario del Notaio era fissato d'anno in anno. I Consoli, che non potevano ricusare l'ufficio, ed avevano poi per un anno divieto d'essere rieletti, ricevevano un salario che fu prima di 10 lire, e qualche multa a loro favore riscossa; ma si ridusse piú tardi ad alcune libbre di pepe e zafferano, ad alcune paniere e scodelle di legno. Non molto diversamente, ed anche meno, era pagato il Camarlingo o Camerario. Ogni anno venivano eletti tre ragionieri, per sindacare l'operato dei Consoli, del Camerario e degli altri magistrati usciti d'ufficio. E cosí pure s'eleggevano dodici mercanti statutarî, con arbitrio di correggere e migliorar lo Statuto; ma le loro riforme dovevano essere approvate prima dai due Consigli, poi dal Capitano del Popolo. I Consoli che, col nome di Capitudini, pigliavan parte ai Consigli del Capitano e del Podestà, dovevano in essi curare gl'interessi dell'Arte, e promuovere leggi in suo favore.

Ma che cosa volevano, nell'interesse proprio dell'Arte, questi Statuti alla cui osservanza tanti magistrati vegliavano? Essi stabilivano tutte le regole e i modi con cui l'Arte doveva essere esercitata. Le contraffazioni o la cattiva qualità della mercanzia erano severissimamente punite. Una macchia, uno strappo non rivelato sulla scritta che ogni pezza doveva portare, venivano del pari puniti. Piú di tutto poi si era severissimi sulla esattezza della misura. Gli ufficiali dell'Arte spesso andavano ad esaminare le pezze, ed ogni due mesi riscontravano, in ogni bottega, le canne e passetti con cui si misurava, e ne dovevano tener modelli esposti al pubblico, in alcuni punti della Città. Né ciò era tutto. I Consoli mandavano in ogni fondaco a visitare se i libri e le scritture dei mercanti erano in regola, e punivano coloro che deviavano dalle norme stabilite. Componevano fra i mercanti dell'Arte loro, o fra di essi e quelli di un'altra, tutte le liti che nascevano per ragione dell'Arte stessa, ed era severamente punito chi, in queste liti commerciali, avesse voluto ricorrere ai tribunali ordinarî. Ma in qual modo si rendevano efficaci le condanne dei Consoli? Quasi tutte le pene erano in danaro, e chi non le pagava, dopo essere stato piú volte ammonito e piú gravemente tassato, era, se non si sottoponeva alla condanna, escluso dall'Arte, il che voleva dir la rovina totale del suo commercio. Non solamente la sua mercanzia non aveva piú il bollo, e quindi perdeva la guarentigia dell'Arte; ma egli perdeva ancora molti altri grandissimi vantaggi, e finiva col non potere piú esercitar la sua industria in Firenze, spesso anche neppure fuori. Infatti, i Consoli eletti in Firenze vegliavano, come vedemmo, sull'interesse dell'Arte anche fuori della Repubblica, eleggendo a ciò Consoli in diverse parti d'Italia e d'Europa, i quali crebbero di numero a misura che il commercio si estese. Due specialmente di maggiore importanza, ne eleggevano in Francia. E tutti questi s'occupavano perfino degli alberghi destinati ad accogliere i mercatanti dell'Arte. Quando poi, secondo l'uso di quei tempi, uno Stato concedeva rappresaglie su i beni di essi, dovevano i Consoli aiutarli e difenderli. Cosí, in qualunque modo e dovunque un mercante veniva ingiuriato o danneggiato, trovava subito valida protezione. L'Arte era gelosa custode di tutti gl'interessi de' suoi membri, ed a difenderli in paese straniero, e far rendere giustizia contro le ingiurie o i danni ricevuti, mandava spesso suoi ambasciatori ai rispettivi governi. Questo era un aiuto incalcolabile, quando gli stranieri non avevano alcuna efficace protezione per diritto internazionale, e continue erano le rappresaglie. Ad un mercante conveniva perciò sottomettersi a qualunque pena, piuttosto che essere cancellato dall'Arte; né vi era bisogno d'altra minaccia per costringerlo a rispettare gli Statuti. E come veniva governata l'arte di Calimala, cosí erano anche le altre sei. I loro Consoli riuniti formavano le Capitudini, le quali ebbero piú tardi alla loro testa un Proconsolo, che fu un magistrato tenuto in grandissimo onore.

Se ora mettiamo da un lato gl'immensi vantaggi industriali e commerciali, che nel secolo xiii doveva portare alla Repubblica un tale ordinamento delle Arti, e le esaminiamo solo dal lato politico, vedremo vantaggi non punto minori. Tutti questi mercanti, che costituivano la grandissima maggioranza dei cittadini fiorentini, si trovavano continuamente ad amministrare grandi interessi, a giudicar liti commerciali, a discutere leggi e Statuti; avevano relazioni in tutte le parti del mondo conosciuto, e vi andavano in ambascerie, per difendere i comuni interessi. Si vede una continua, febbrile partecipazione di tutti alla vita politica, giacché ognuna di queste Arti era una istituzione autonoma, che si reggeva da sé, con magistrati, leggi, Statuti e Consigli suoi proprî, ed ognuna di esse diveniva un centro di vita intellettuale, politica, industriale. Cosí le forze del popolo fiorentino, liberamente circolando, si moltiplicavano con raddoppiato vigore, e tutte le facoltà dello spirito umano, tutta l'energia morale e politica di cui l'uomo è capace, sorsero d'un tratto in Firenze, ad una prodigiosa altezza. Bastava quasi mettere alla ventura la mano fra quei mercanti, e il primo che si toccava, riusciva capace di governare la Repubblica; gli si poteva affidare la piú gelosa missione diplomatica, ché egli avrebbe saputo cavarsene con onore, farsi ricevere con decoro da papi, re o imperatori, senza lasciarsi aggirare, senza mancare neppure alle forme convenzionali delle Corti. La sottigliezza dell'ingegno dei Fiorentini poté cosí acquistare quella grande reputazione, che li rese celebri in tutta Europa, ed in mezzo a quella straordinaria attività industriale e politica si andarono formando anche l'arte, la letteratura italiana, e la piccola repubblica di mercanti divenne ben presto come un punto di luce che illuminava il mondo.

Un altro vantaggio ancora portarono a Firenze le Arti maggiori. Nel tempo in cui l'ordinamento politico teneva come divisa in due la Città; quando i partiti dovevano di nuovo fieramente combattersi, e i Capitani di Parte eccitavano le passioni, mantenendo sempre accesa la discordia, ed il supremo magistrato dei Dodici, mutando di continuo portava cittadini sempre diversi e sempre passionati a reggere la cosa pubblica; in tempi siffatti riusciva d'un benefizio incalcolabile l'avere dicentrato il governo in un numero infinito di piccole associazioni. Se il popolo o i nobili si ribellavano contro i reggitori per mutare i Dodici o il Podestà o il Capitano o anche lo Statuto, la sospensione degli affari che doveva necessariamente seguirne, produceva un disordine assai piú apparente che reale. La Repubblica, divisa in tante piccole associazioni, poteva restare anche piú mesi senza governo, perché le Arti armate, disciplinate e costituite cosí fortemente, bastavano, assai meglio che nel passato, a reggerla, ed impedivano quei danni, che altrimenti sarebbero stati inevitabili in una città abbandonata a sé stessa. Cosí la costituzione delle Arti, quale fu formata nel 1266, ci spiega nello stesso tempo come la poesia, la pittura, la scultura, l'architettura, potessero sorgere in mezzo a un popolo di mercanti; come, in mezzo a tanto apparente disordine, fosse possibile tanto progresso, e come la democrazia riuscisse in Firenze a distruggere del tutto ogni avanzo di feudalismo, arrivando ad una assoluta eguaglianza, a tutte quante le libertà di cui il Medio Evo era capace. Il Comune di Firenze fu il centro di una cosí grande cultura, perché fu la sede delle maggiori libertà che erano allora possibili. Il piú bello e splendido fiore di quella cultura si deve alla democrazia, che lasciò la sua impronta, dette il proprio carattere alle chiese e ai palazzi di Arnolfo, ai quadri di Cimabue e di Giotto, alla poesia di Dante. Nella letteratura provenzale, francese, tedesca, inglese del Medio Evo, non pochi furono i nobili signori che acquistarono fama, anzi la piú parte di quei poeti furono nobili. Le arti e le lettere fiorentine, che costituirono il germe piú fecondo delle arti e delle lettere italiane, furono essenzialmente repubblicane; molti degli scrittori, moltissimi degli artisti furono figli di mercanti o di semplici artigiani.

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