V

Questo Primo Popolo o Popolo Vecchio, come lo chiamarono, perché era infatti il popolo la prima volta politicamente e militarmente costituito, fece subito sentir la propria forza. Per dare alle crescenti mercatanzie fiorentine libero accesso al mare, senza ancora combattere Pisa, concluse il 30 d'aprile 1251 un trattato coi conti Aldobrandeschi, possenti signori della Maremma, mediante il quale la Repubblica ebbe facoltà di passare liberamente per le loro terre, e cosí arrivare a Porto Talamone ed a Port'Ercole, facendone libero uso pel suo commercio. Tutto ciò non poteva certo piacere ai Pisani, che subito strinsero alleanza con Siena, cui aderí anche Pistoia. Cosí le tre città ghibelline si unirono a danno della guelfa Firenze. Ma non bastava. Il 24 luglio 1251 i Ghibellini della Città, mediante un segreto accordo con Siena, aderirono alla lega, con promessa vicendevole d'aiutarsi al conseguimento del fine comune, al trionfo cioè della parte in tutta Toscana. A questo accordo, come era naturale, parteciparono poi i Ghibellini delle vicine terre, che si trovarono cosí tutti collegati a danno di Firenze.

I Fiorentini allora, trovandosi circondati da tanti nemici, cominciarono a difendersi coll'assalir subito Pistoia; ma i Ghibellini della Città ricusarono di pigliar parte ad una guerra, manifestamente diretta a loro danno. E però, quando l'esercito tornò vittorioso dalla scorreria fatta, molti dei piú autorevoli di essi, fra cui gli Uberti ed i Lamberti, furono cacciati in esilio. La cosa dovette avere un'importanza maggiore assai che non pare, perché gli esuli innalzarono la bandiera della Repubblica, la quale s'indusse a mutare la propria, ed invece del giglio bianco in campo rosso, ebbe d'allora in poi il giglio rosso in campo bianco. La bandiera del popolo rimase sempre la stessa, cioè, dimezzata, bianca e rossa. Nella state di quel medesimo anno si sollevarono in Mugello gli Ubaldini, rinforzati dagli esuli, ma furono sconfitti. I Fiorentini s'avvidero adesso che dovevano seriamente pensare ai proprî casi. E però, mediante i Lucchesi già loro amici, strinsero alleanza (agosto 1251) con S. Miniato al Tedesco, dove non era in quel momento vicario imperiale; rinnovarono (settembre) quella che già avevano con Orvieto, e un'altra ne strinsero con Genova (novembre), sempre nemica di Pisa.

Cosí tutta Toscana si trovò divisa in guelfa e ghibellina. Gli esuli, insieme con alcuni soldati tedeschi delle bande di Federico II, si chiusero nel castello di Montaia, nel Val d'Arno di sopra, che era del conte Guido Novello. I Fiorentini corsero ad assalirlo verso la fine dell'anno, ma ne furono con vergogna respinti. Tornati a casa, sonarono la campana, raccolsero un grosso esercito, ed uscirono di nuovo, armati a Popolo ed a Comune, proseguendo nel gennaio con ardore la guerra, non ostante il freddo e la neve. Le condizioni generali delle cose in Toscana allargarono le proporzioni di questa guerra, da un lato essendosi all'esercito fiorentino uniti i soldati lucchesi, e dall'altro movendosi i Pisani ed i Senesi in aiuto degli esuli. Il Primo Popolo si mostrò ora degno di se stesso. I nemici furono respinti, il Castello di Montaia fu preso e demolito, i difensori vennero menati prigionieri a Firenze (gennaio 1252).

Andarono poi i Fiorentini a dare il guasto nel Pistoiese, e si fermarono nel ritorno ad assediare il Castello di Tizzano. Ma saputo colà, che i Pisani, dopo aver disfatto i Lucchesi, se ne tornavano a casa con i prigionieri e la preda, lasciarono l'assedio, per correre loro incontro. Li raggiunsero, infatti, e dettero loro una totale sconfitta a Pontedera, il dí 1 luglio 1852. Fu preso prigioniero lo stesso podestà di Pisa, e si vide anche un altro fatto assai singolare. I prigionieri lucchesi, che erano stati legati e venivano trascinati a Pisa, non solo furono liberati, ma poterono, coll'aiuto dei Fiorentini, menare a Lucca que' medesimi Pisani, dai quali erano stati presi e legati.

Gli esuli intanto, profittando della lontananza dell'esercito fiorentino, s'erano col conte Guido Novello chiusi in Figline, di dove facevano scorrerie continue. E quindi fu necessario affrettarsi ad assalirli. La terra s'arrese, a condizione però che i forestieri, i quali l'avevano difesa, venissero lasciati liberi, e gli esuli riammessi, il che fu fatto; ma essa fu poi, contro i patti, corsa ed arsa (agosto 1252). Ed intanto i Senesi, profittando della occasione, avevano assediato Montalcino, forte castello ai confini dei Fiorentini, i quali perciò corsero subito a liberarlo. Respinti i Senesi, fornito il castello d'ogni cosa necessaria alla difesa, se ne tornarono a casa.

Questi fortunati eventi non furono senza le loro conseguenze. Infatti, essendo nel 1253 i Fiorentini andati di nuovo contro Pistoia, questa, senza molta resistenza, s'arrese, obbligandosi (1 febbraio 1254) ad uscire dalla Lega ghibellina, a rimettere nella città i Guelfi, ad essere in tutto a disposizione di Firenze. La quale andò subito a difendere Montalcino, di nuovo assalito dai Senesi, e cosí la guerra contro di essi, cominciata alla fine del 1253, fu ripresa vigorosamente nel 1254, e finita con la sottomissione di Siena, che perdette un gran numero di castelli (giugno 1254), venuti in mano dei Fiorentini, che altri ancora ne presero colla forza o ne ebbero per danaro dai conti Guidi. Tornando poi a casa, sottomisero la grossa terra di Poggibonsi, assai importante, che aderiva ai Ghibellini ed a Siena. Portarono il guasto a Volterra, la quale per la fortezza del luogo pareva addirittura inespugnabile; ma i Volterrani, preso animo, uscirono arditamente a battaglia, e furono vinti ed inseguiti con tanto impeto, che i Fiorentini si trovarono dentro la città prima ancora che avessero pensato di poterla conquistare. Lo spavento fu cosí generale, che vecchi, donne, bimbi, una moltitudine grandissima, con alla testa il vescovo, si presentarono supplichevoli, per arrendersi ai Fiorentini, i quali si dimostrarono assai generosi, proibendo il saccheggio, contentandosi di riformare il governo della città, che ridussero a parte guelfa. E Pisa, trovandosi isolata, fini coll'arrendersi anch'essa a patti, che vennero sottoscritti il 4 di agosto 1254. In conseguenza di essi i Fiorentini poterono entrare ed uscire di Pisa, insieme con le loro mercatanzie, liberi per terra e per mare, da ogni tassa, dazio o gabella. Dovettero inoltre i Pisani, nel contrattar con loro, adoperare il peso, la misura, ed in parte anche la moneta fiorentina. Cedettero varie terre e castella, fra cui Ripafratta. Per sicurtà di questi patti e dell'amicizia che avevano giurata, furono costretti a dare 150 ostaggi. E dopo di ciò si sottomise (25 agosto) anche Arezzo, che accettò un podestà dai Fiorentini.

Questi furono chiamati gli anni delle vittorie del Primo Popolo, di cui i cronisti tanto esaltano il valore e la bontà. Il Villani, copiato al solito dal Malespini, ci dice che esso fu «molto superbo d'alte e grandi imprese», e i suoi rettori «furono molto leali e diritti a Comune». E poco dopo aggiunge: «I cittadini di Firenze viveano sobrî e di grosse vivande, e con piccole spese, e di molti (buoni?) costumi e leggiadrie, grossi e ruddi, e di grossi drappi vestiano loro e le loro donne. E molti portavano le pelli scoperte senza panno, e colle berrette in capo, tutti con gli usatti in piede, e le donne fiorentine co' calzari senza ornamenti, e passavansi le maggiori d'una gonnella assai stretta di grosso scarlatto d'Ipro o di Camo, cinta ivi su d'uno scaggiale all'antica, e uno mantello foderato di vaio, col tassello di sopra, e portavanlo in capo; e le comuni donne vestite d'uno grosso verde di Cambragio per lo simile modo. E lire cento era comune dota di moglie, e lire dugento o trecento era a quegli tempi tenuta isfolgorata; e le piú belle pulcelle avevano venti o piú anni, anzi ch'andassono a marito». Anche la Divina Commedia, come è noto, dà ampia conferma a questi giudizi sul buono e leale popolo vecchio di Firenze, giudizio di cui i fatti rendono testimonianza continua.

E la prosperità cittadina cresceva non solo nella guerra, ma anche nella pace, fuori e dentro le mura. Alle molte opere di pubblico interesse già piú sopra accennate, e che furono ora compiute, altre non poche se ne aggiunsero, avendo gli Anziani a questo fine comperato terreni in piú parti della Città. Ed essi, insieme col Capitano del Popolo, Lambertino di Guido Lambertini, ordinarono (1252-3) che si ricopiasse e continuasse regolarmente il registro di tutti gl'instrumenti del Comune, acciò, dicevano, iura et rationes Communis non restino ignoti né deperiscano, ma si possano in piú luoghi vedere. Questi sono i Capitoli cosí bene conservati fino ad oggi, e tanto utili alla storia di Firenze.

Ma ora lo stato delle cose doveva nuovamente mutare. Per la morte di Corrado, a Federico II succedeva nel Reame l'altro figlio, Manfredi, ardito, ambizioso, di molto ingegno, che s'adoperava a tutt'uomo, per sollevare la fortuna del partito ghibellino in Italia, ed i Fiorentini, sempre accortissimi, cominciarono subito a procedere piú cauti. Nel 1255 fecero alleanza coi Senesi, nell'anno seguente fecero lo stesso con Arezzo, disapprovando severamente il conte Guido Guerra, loro capitano, che aveva di là cacciati i Ghibellini, ed obbligandolo a rimetterli. Anche coi propri esuli si dimostrarono piú benigni assai e piú larghi, facendone via via rientrare alcuni. Ma erano, cosí da una parte, come dall'altra, lustre che non menavano a nulla. Ognuno temporeggiava, per vedere che piega pigliavano gli affari generali d'Italia.

Se la fortuna di Manfredi fosse risorta davvero, i Fiorentini dovevano aspettarsene gravi danni, e lo sapevan bene. Un primo segno, se ne vide infatti nel 1256, quando i Pisani, dimenticati tutti i patti e le promesse giurate, assalirono Ponte a Serchio, castello dei Lucchesi, amici de' Fiorentini, che perciò corsero subito a difenderli, e sconfissero i nemici, molti dei quali, fuggendo, affogarono in quel fiume. Dopo questa vittoria, i Fiorentini andarono sotto le mura di Pisa, a battere moneta, segno allora di grande umiliazione al nemico. I Pisani, inoltre, furono costretti (23 Settembre 1256) non solo a rinnovare la pace umiliante del 1254, ma a cedere molti castelli ai Fiorentini, qualcuno anche ai Lucchesi. E fra i patti della pace v'era adesso aggiunto ancora, che il castello del Mutrone, importantissimo per la sua posizione cosí ai Lucchesi, come ai Fiorentini, fosse reso a questi con la facoltà di distruggerlo o conservarlo, secondo che i loro magistrati avessero deliberato. Fu quindi tenuto a Firenze un Consiglio d'Anziani, fra i quali Aldobrandino Ottobuoni, popolano e povero, ma pel suo amor patrio assai autorevole, sostenne che il castello dovesse distruggersi. E la sua proposta fu vinta, con la condizione però che dovesse essere sottomessa a giudizio del Parlamento. Ma in questo mezzo, i Pisani, ignari della presa deliberazione, e della opinione sostenuta dall'Ottobuoni, sapendo però quanto pericoloso quel castello poteva ad essi riuscire, una volta venuto in mano de' Lucchesi, mandarono ad offerirgli la somma, a que' tempi assai ingente, di 4,000 fiorini, perché sostenesse, fra gli Anziani, quella opinione appunto, che egli aveva già difesa e vinta. Ma questo giovò, invece, a fargli aprire gli occhi, e conoscere il suo errore. Tornato quindi fra gli Anziani, fece in contrario senso mutare la presa deliberazione. La buona fama delle virtú d'Aldobrandino ne crebbe perciò tanto che, dopo la sua morte, gli fu, a pubbliche spese, decretato un monumento in Duomo, che stesse in luogo piú alto di tutti gli altri. Molti furono gli uomini celebrati per le loro virtú, al tempo del Primo Popolo; ma questo governo durò solo dieci anni, e noi siamo già vicini a nuove riforme, a nuove rivoluzioni, che ricominciano ben presto a travagliar la Repubblica.

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