I

È certo che non si potrà mai scrivere una vera storia nazionale d'Italia, se prima non saranno pubblicati, esaminati, studiati, con dottrina storica e giuridica ad un tempo, gli Statuti e le leggi dei nostri Comuni. Questo fu un desiderio espresso prima dall'illustre Savigny, e dopo di lui da molti Italiani, senza essere stato ancora pienamente soddisfatto. Lo studio degli Statuti e delle leggi ci farebbe conoscere il diritto pubblico dei Comuni, e porrebbe sotto i nostri occhi un quadro chiaro e preciso delle loro politiche istituzioni, che noi ancora intendiamo assai poco.

Ma, quello che non è di certo meno importante, ci farebbe conoscere del pari il nostro antico diritto civile, nel quale, secondo la opinione di molti dotti, fra cui citerò Francesco Forti, si trovano le origini del moderno diritto, i germi di molte disposizioni giuridiche, che noi accettammo piú tardi dal Codice francese, come cosa nuova.

Il diritto pubblico e privato hanno fra loro un'attinenza maggiore assai di quel che molti sembrano credere; l'uno ci apre a vicenda la piú chiara e precisa intelligenza dell'altro. La società, lo Stato nascono dalla famiglia, e a lor volta agiscono su di essa e la modificano. Chi vuol trovare adunque la vera chiave delle istituzioni politiche, quando esse spontaneamente si svolgono in un paese, non deve dimenticare la costituzione della famiglia, nella quale sono le prime origini del diritto civile, a cui si collega piú o meno anche il diritto pubblico. Spesso, è vero, noi vediamo un popolo accettar da un altro le leggi civili, senza mutare le proprie istituzioni politiche, o viceversa; spesso anche la forza straniera impone d'un tratto le une o le altre. Ciò ha fatto credere a molti che esse non abbiano fra loro il legame che veramente hanno. Ma questi casi non risguardano quello svolgimento naturale e spontaneo del diritto, del quale ora parliamo. In esso la politica e la giurisprudenza, lo Stato e la famiglia sono strettamente connessi.

Piú volte noi vediamo nella storia fiorentina scoppiare ad un tratto rivoluzioni politiche, che sembrano inaspettate; studiandole però da vicino, ci accorgiamo che esse accusano profondi mutamenti sociali, già di lunga mano apparecchiati, i quali, invisibili dapprima, sono poi divenuti cosí generali, da apparire come improvvisi agli occhi di tutti, ed esser causa di riforme politiche. Cosí è che il diritto privato, il quale accompagna sempre i movimenti sociali, e muta con essi, ci fa non di rado scoprire le origini, spiegare l'indole propria e la necessità inesorabile delle rivoluzioni, prima ancora che avvengano. L'averne generalmente trascurato lo studio nella storia d'Italia, è stato perciò un gran danno. Niuno crederebbe oggi di poter fare la storia politica di Roma, senza punto occuparsi della sua giurisprudenza. Eppure abbiamo mille volte scritto e riscritto la storia delle nostre repubbliche, senza occuparci della loro legislazione civile e penale.

Un tale lavoro presenta, in vero, grandissime difficoltà, perché la nostra storia è soggetta, nel Medio Evo, ad una serie di vicende sempre rapide, sempre diverse. Le repubbliche sono per numero infinite; ogni provincia italiana, ogni brano di terra si divide e suddivide in Comuni, ciascuno dei quali ha la sua propria storia, ed una forma politica che di continuo muta. E gli Statuti rendono fedele immagine di questa perenne mutazione. Nei loro margini troviamo le varianti e correzioni d'anno in anno registrate, spesso formulate dopo che furon prima insanguinate le strade della città. Quando le postille o correzioni sono arrivate ad un certo numero, si fa una nuova compilazione dello Statuto, e anche di queste se ne trova un gran numero. Gli ufficiali statutarî hanno incarico di apparecchiare, di tempo in tempo, le nuove e continue modificazioni, che vengono poi approvate nei Consigli del popolo. Cosí ci segue qualche volta, che apriamo lo Statuto compilato in un dato anno, e vi troviamo minutissimamente descritte le attribuzioni d'uno dei primi magistrati della Repubblica; guardiamo alle postille, e queste attribuzioni sono già mutate; pigliamo la nuova compilazione dello Statuto, ed il magistrato stesso piú non esiste. Come fare allora, per dare una giusta idea della forma politica d'un tal municipio? Non v'è altro modo che raccogliere da tutti i suoi Statuti, la storia della costituzione nelle sue forme successive. Bisogna, in una parola, riconoscere che non siamo in presenza d'una istituzione cristallizzata, immobile, immutabile; ma che sotto i nostri occhi è invece un organismo vivente, il quale si svolge secondo una legge determinata. Questa legge sola è costante; è dessa che dobbiamo cercare, perché essa sola ci può svelare il mistero, e darci idee precise.

Se ci rivolgiamo poi dal pubblico al privato diritto, le difficoltà crescono invece di scemare. Quando noi leggiamo questa parte, che non è certo la meno importante dello Statuto, ci accorgiamo che in essa sono unite molte legislazioni diverse, spesso anche contradittorie, le quali s'intrecciano e si combattono. La mèta e la dote, il mundio e la tutela, il testamento ed il patto successorio, il guidrigildo, il morgengab; diritto longobardo, romano, feudale, canonico, sono in presenza, coesistono in proporzioni sempre diverse. E queste varie legislazioni agiscono l'una sull'altra, alterandosi a vicenda: nel diritto romano filtrano continuamente disposizioni, che dobbiamo attribuire al diritto longobardo, il quale poi è profondamente alterato, mutilato, castrato, come dice il Gans, dal romano. Quale è dunque il concetto che domina in siffatto impasto di leggi diverse? V'è egli un principio nuovo, originale, che assimila gli elementi eterogenei e costituisce un nuovo diritto? Quale è desso? Ecco il difficile problema, che il Savigny c'incoraggiava a risolvere, e che noi ancora non abbiamo risoluto. Se però il problema non è risoluto, la sua importanza è oggi ammessa da tutti; molti lavori, molte pubblicazioni, alcune delle quali importantissime, si sono fatte. Qualche osservazione si può finalmente esporre.

La costituzione della famiglia e le sue relazioni con lo Stato, sono come il centro principale intorno a cui si debbono aggirare le nuove ricerche, e formano anche il soggetto di questo breve e sommario lavoro. La soluzione d'un tale problema richiede, innanzi tutto, un esame accurato delle varie forme che assunse la famiglia nelle diverse legislazioni che si successero in Italia, per venir poi a vedere come dalla riunione di queste varie forme ne risultò un'altra non poco diversa. La prima questione che si presenta, risguarda perciò le condizioni in cui erano il diritto e la famiglia romana, quando vennero fra noi i barbari. Trattandosi di Comuni italiani, è ben naturale che la giurisprudenza di Roma sia quella che mise piú tenaci e profonde radici nella società, e che la storia delle nostre leggi trovi in essa la sua prima origine. Noi siamo quindi costretti a fare una digressione, che parrà in sul principio oziosa, ma ci aiuterà poi a meglio comprendere la società nuova, che si anderà formando. Oltre di che lo studio del diritto romano fu soggetto di tante e cosí dotte ricerche, che possiamo venire a conclusioni certe, le quali, ponendo in evidenza lo stretto legame della famiglia romana con la società politica che ne derivava, ci aiuteranno a trovare la via da seguire, per ritrovare questo medesimo legame nella storia italiana.

Share on Twitter Share on Facebook