Comunque sia di ciò, è certo che la famiglia, quale noi la troviamo costituita, anzi indebolita nel diritto giustinianeo, non è tale da potere, nei secoli di barbarie che si avvicinano, resistere all'urto violento delle germaniche popolazioni che si avanzano, e molto meno essere il nucleo ed il germe da cui potrà scaturire la nuova società del Comune italiano. Negli Statuti, infatti, noi la troviamo assai diversamente ordinata. L'agnazione ha ripreso il suo ascendente; la donna è sotto una nuova specie di tutela; e sebbene il regime dotale sia rigorosamente osservato, mille prescrizioni sono destinate a mantenere o a far tornare la proprietà nelle famiglie, per serbare intatta l'unità del patrimonio domestico. Sorge quindi una grave disputa: questa nuova costituzione della famiglia, che si trova in una stretta relazione col diritto pubblico dei Comuni, è dessa un ritorno al diritto anti-giustinianeo, o pure è una conseguenza delle istituzioni germaniche, del diritto longobardo, nel quale infatti noi troviamo del pari preferita l'agnazione, e la famiglia piú saldamente costituita? Gli scrittori italiani, massime gli antichi, seguirono generalmente la prima opinione; la piú parte dei Tedeschi, che trovarono imitatori recenti anche fra di noi, la seconda.
E cosí si sono da un lato e dall'altro formulate, sulla costituzione della famiglia italiana nel Medio Evo, teorie analoghe a quelle sulla origine dei Comuni.
La persistenza del diritto romano nel Medio Evo, anche quando la condizione degl'Italiani era piú misera, e tutto pareva sottoposto alla legge longobarda, fu sostenuta con maravigliosa dottrina ed acume nell'opera immortale del Savigny. Ed in vero il diritto pubblico, il diritto penale potevano con qualche facilità totalmente mutarsi, sotto il dominio dei conquistatori; ma il diritto civile, che era filtrato per tanti secoli nei costumi, nel sangue romano, che aveva regolato le molteplici relazioni d'un popolo civile, che soddisfaceva ai suoi mille bisogni, non sembra che potesse svanire del tutto sotto la spada dei barbari, che questi bisogni non conoscevano, che queste relazioni non sempre intendevano. Essi non avevano assai spesso neppur potuto menzionare nelle proprie leggi queste relazioni, le quali sfuggivano all'azione di coloro ai quali rimanevano in gran parte ignote o indifferenti. E quindi una parte di ciò che s'attiene ai matrimonî, alle successioni, ai contratti dovette assai di frequente continuare fra gl'Italiani, secondo le consuetudini antiche. E ciò riesce anche piú facile ad intendersi, quando si pensi che, se il diritto romano era stato il diritto di tutti nei paesi in cui la conquista romana aveva messo profonde radici; le leggi barbariche, invece, secondo l'uso germanico, serbarono sempre un carattere personale, procedevano cioè col popolo in mezzo a cui erano nate, e non si comunicavano facilmente agli altri. Infatti, quando per le successive invasioni, si trovarono in uno stesso paese unite diverse stirpi germaniche, fra di loro indipendenti, o anche le une sottoposte alle altre, ciascuna riteneva l'uso della sua propria legge. Pei Romani, invece, il loro diritto aveva un carattere universale, e però lo comunicavano, l'imponevano a tutti. Esso era quasi il primo germe della grandezza e civiltà di Roma, e il diffonderlo era perciò ritenuto come l'ufficio piú sacro del popolo-re. Quindi è che anche sotto la piú dura oppressione barbarica, il diritto privato degl'Italiani poteva continuare ad essere il diritto romano, in tutti quei casi, e non furon pochi, in cui il germanico non lo abrogò direttamente, non lo sostituí o non lo avvertí.
Ma la presenza di due legislazioni diverse, una imposta dalla forza, l'altra mantenuta dalla consuetudine; le condizioni profondamente mutate per la distruzione del vecchio Stato romano: la formazione di una società nuova dovevano cominciare di necessità una vita, una storia nuova del diritto italiano. Negli Statuti dei nostri Comuni noi troviamo in presenza, e quasi in lotta, il diritto romano e il diritto longobardo, ambedue alterati a vicenda l'uno dall'azione dell'altro. Ma sotto quale delle mille forme che ha subite, il diritto romano si trovava fra noi, quando venne come sopraffatto dal germanico? Era la forma letteraria e filosofica del Corpus iuris di Giustiniano, o pure la forma anti-giustinianea, meno sistematica, ma pur meno alterata dalle idee bizantine, e piú consuetudinaria?
Il Savigny dice chiaramente, che le Pandette furono subito mandate in Italia, e che non appena la potenza dei Goti fu dai Greci fiaccata, Giustiniano non tardò ad emanare la Prammatica Sanzione (554), con cui tutto il Corpus iuris venne legalmente proclamato in Italia. Quindi è, cosí egli prosegue, che le Pandette si trovavano allora in ogni angolo d'Italia, e da quel momento vi furono accolte con favore, il diritto giustinianeo essendo piú consentaneo ai bisogni di questa contrada. E cosí parimente si spiega, secondo lui, perché i primi comentatori o glossatori italiani si volsero tutti e solo allo studio del Corpus iuris. Ma il lettore si può avveder facilmente, che in questo punto il Savigny è andato troppo oltre nelle sue deduzioni. Piú d'una volta, infatti, i documenti l'obbligano ad una interpretazione forzata, per impedire che contraddicano alla sua tesi. Egli trova nei documenti ravennati la mancipazione, ma in termini che a lui sembrano esser solo la nuda e vuota terminologia d'una età trascorsa. Alcuni atti di vendita lo costringono però a dire, che in essi v'è realmente un qualche avanzo dell'antica mancipazione. La stipulatio, la fiducia, le forme antiche del testamento sembrano piú volte avvertirlo, che vi sono nel Medio Evo avanzi visibili d'un diritto antigiustinianeo; ma egli si studia sempre piú di trovare in tutto ciò solo i resti di forme antiquate. Molti nuovi documenti però vennero pubblicati piú tardi, e la questione si ripresentò sempre con la medesima insistenza. Tutto conduce a riconoscere, come di recente osservò uno scrittore tedesco assai dotto in queste materie, che la storia del diritto romano nel Medio Evo va divisa in due periodi ben distinti. Nel primo esso continuò per consuetudine, e sopravvissero perciò molte forme anti-giustinianee; nel secondo, assai posteriore, prevalse invece il diritto giustinianeo, favorito piú tardi dallo studio letterario delle Pandette, per opera dei professori di Bologna, e solo allora le piú antiche forme scomparvero affatto. Questa opinione, che è confortata dai documenti, risponde anche all'indole dei tempi, ai bisogni della società, e viene confermata dai nostri antichi scrittori e dalle nostre tradizioni letterarie.
Invero, lo stesso Savigny esamina e riconosce tutta l'importanza delle varie fonti del diritto anti-giustinianeo, diffuse nel Medio Evo. Il Codice Teodosiano (438) che ebbe allora molta autorità, era appunto compilazione di giurisprudenza antica. L'editto di Teodorico ostrogoto (500) è anch'esso una compilazione di diritto romano anti-giustinianeo, fatta per ordine di quel principe. E se guardiamo in esso alla costituzione della famiglia, massime alla successione, la troviamo quale era prima che gli editti imperiali l'avessero intralciata. Il Breviario di Alarico (Lex romana Visigothorum), e il cosí detto Papiano (Lex Romana Burgundionum), posteriori al 500, sono del pari compilazioni di diritto anti-giustinianeo, e si trovano diffusi in varie provincie dell'Impero. La famosa Lex Romana Utinensis, seu Curiensis, che sembra essere un rimpasto fatto col Breviario d'Alarico nel ix secolo, per uso degl'Italiani, nei paesi già dominati dai Longobardi, presenta i medesimi caratteri. È vero, che tutti questi monumenti del dritto medioevale sono anteriori a Giustiniano, ad eccezione della Lex Romana Utinensis, e che secondo l'ipotesi del Savigny, il Breviario d'Alarico sarebbe stato in uso presso i Franchi, che soli lo avrebbero portato in Italia, dopo la cacciata dei Longobardi. Cosí stando le cose, noi troveremmo l'antico diritto in uso fra di noi solamente prima e dopo dei Longobardi; sotto la loro feroce oppressione, invece, non ne troveremmo nessuna traccia sicura. Ma è assai difficile supporre, che l'antico diritto consuetudinario si spegnesse quando appunto la consuetudine poteva salvarlo, e che la legge romana pigliasse allora la forma piú letteraria giustinianea, per poi tornar di nuovo a forme piú antiche. Una volta che il diritto giustinianeo fosse stato davvero accettato nella sua forma genuina, esso avrebbe dovuto, col progredire della cultura e sotto il dominio assai meno duro dei Franchi, già piú vicini al viver dei Latini, andare guadagnando terreno. Il fatto è che, in tutto il Medio Evo, s'incontrano forme anti-giustinianee, ove piú ove meno alterate, anche nelle stesse leggi longobarde. E quanto al vedere i glossatori ricorrere alle Pandette ed a tutto il Corpus iuris, ciò prova solamente che, col risorgere dei Comuni e delle lettere, essi si rivolsero, come era naturale, alla fonte piú letteraria e piú autorevole del diritto. Da quel tempo, infatti, non se ne ritrova piú altra.
Si pensi poi che, quando i Greci vennero in Italia a combattere i Goti, vi trovarono l'antica consuetudine romana e l'Editto di Teodorico che la sanzionava; che i Goti furono definitivamente disfatti nel 553; che nel 568 al dominio dei Greci successe quello dei Longobardi; che questi ridussero i loro rivali nell'Italia meridionale, donde furono poi cacciati dai Normanni. Colà il corrotto dispotismo bizantino riuscí non meno funesto di quello dei barbari, e forse fu la prima cagione delle molte sventure e del lungo abbandono in cui caddero piú tardi quelle provincie. Ma poteva un cosí breve ed incerto dominio bastare a diffondere in Italia il diritto giustinianeo, in modo da farlo non solo universalmente accettare, ma anche entrare per modo nei costumi da poter continuare a vivere quando non era legalmente piú riconosciuto dai barbari? Una tale ipotesi parrà anche meno sostenibile in tutto ciò che s'attiene alla famiglia ed alla successione, se si pensa che le riforme fatte in questa parte del diritto da Giustiniano, a Costantinopoli, non rispondevano certo alle condizioni in cui si trovava allora l'Italia. Per quanto la filosofia greca si fosse diffusa tra di noi, lo spirito bizantino non era identico a quello di Roma, e molto meno erano identiche ora le condizioni delle due società. A Costantinopoli il dispotismo orientale corrompeva, soffocava la società nel lusso ed in una cultura troppo raffinata; lo Stato, sostituendosi a tutto, dava nuovo carattere alle leggi. In Italia, invece, la società, non meno corrotta, si andava decomponendo, e già cadeva a brani; l'antica unità, l'antica forza dello Stato s'infiacchivano sempre piú, e si cedeva sempre piú dinanzi alle aggressioni barbariche. Da un lato si aveva l'onnipotenza dello Stato, dall'altro invece cominciava a mancare in esso ogni forza. Fra noi adunque le donne, i deboli erano naturalmente spinti a cercare rifugio nelle private associazioni, sopra tutto nel seno della famiglia. E se la forza naturale delle cose doveva spingere da un qualche lato, determinare una qualche nuova tendenza, questa non poteva di certo mirare a sempre piú indebolire la famiglia, per sottometterla alla forza di uno Stato che andava crollando; ma piuttosto mirare a rafforzarla, perché essa era l'unica salvaguardia possibile, in mezzo alle rovine che da ogni lato s'andavano accumulando. È infatti ciò che segue sempre nelle società barbariche, nelle quali lo Stato non avendo forza, la difesa dei deboli e la vendetta delle ingiurie restano affidate ai parenti. E però tanto lo sgominarsi della società latina, quanto l'esempio dei barbari concorrevano a presentare una forte resistenza alla diffusione del diritto giustinianeo, massime quando le vecchie consuetudini romane si trovavano piú consone ai nuovi e crescenti bisogni della società, ed aiutavano a ricostituire con forza maggiore la famiglia, sempre piú necessaria al comune benessere. Era questo il solo modo, che potesse aprire una via a ricominciare da capo il lavoro sociale, avviare piú tardi ad ordini e ad istituzioni nuove.
Né facciamo noi gran caso della Prammatica Sanzione, perché sappiamo che tra la promulgazione d'una legge, specialmente per opera di un governo temporaneo e debole, in una società che precipita nel disordine, e la pratica attuazione di essa, il suo entrar nei costumi, corre un grandissimo divario. Anche sotto la Repubblica romana o sotto l'Impero, bandite che erano le nuove leggi, non perciò le antiche sparivano a un tratto. E nelle stesse società moderne noi possiamo osservare la lunga persistenza delle antiche consuetudini, quando esse rispondono meglio alle condizioni dei tempi. I principî del Codice di Napoleone furono banditi nelle nostre provincie meridionali durante il dominio francese, riconfermati poi nelle legislazioni posteriori, e la eredità doveva perciò esser divisa in parti eguali tra i figli. Tuttavia nelle Calabrie ed in molte altre di quelle provincie, la proprietà continua a rimanere anche ora concentrata nelle famiglie, giacché, per mutuo consenso, uno solo dei maschi prende moglie, gli altri restano celibi. E per le stesse ragioni, alle donne si dà il meno possibile, né tutte si maritano, alcune di esse venendo spinte o forzate a chiudersi in convento. Solo il progresso sociale farà lentamente attuare davvero i principî della civile uguaglianza, sanzionata nei codici.
Tutto adunque ci permette di concludere, che il diritto romano sopravvisse fra di noi alla caduta dell'Impero d'Occidente, ritenendo per consuetudine molte delle forme che aveva prima della compilazione del Corpus iuris. In questo stato esso venne a contatto col diritto germanico, e cominciarono le loro mutue alterazioni, per le quali la famiglia italiana ne uscí costituita in una forma affatto nuova, insieme col Comune. Fu una lenta trasformazione, con la quale le idee e le tradizioni latine andarono sempre guadagnando terreno, e a poco a poco smaltirono o distrussero le leggi e le istituzioni barbariche. Proclamate finalmente le libertà comunali, incominciò una nuova coltura, e con essa anche un nuovo periodo nella storia del diritto romano. L'università di Bologna divenne il centro da cui partí la cognizione e la diffusione delle Pandette, ed il Corpus iuris fu ben presto ritenuto come la sorgente prima e perenne del diritto comune fra di noi. La tradizione che narra delle Pandette d'Amalfi, rapite dai Pisani, che le avrebbero scoperte e fatte conoscere la prima volta in Occidente, pone il fatto circa l'anno 1135, cioè nel secolo appunto in cui sorsero i Comuni, ed in cui Irnerio, secondo un'altra tradizione, per invito della contessa Matilde, fondò la scuola di Bologna. Cosí la storia, la leggenda e la logica vengono a sostegno delle nostre conclusioni.