VII

Come in tutti i popoli germanici, cosí anche presso i Longobardi, la donna non era mai libera dal mundio, mai selb-mundia. Colui che la voleva sposare, doveva prima di tutto pagare il prezzo del mundio, che il matrimonio gli faceva acquistare sopra di essa; doveva inoltre prometterle la meta, o sia una specie di dote, come osserva anche Tacito, là dove dice che presso i Tedeschi, non la donna al marito, ma questi portava la dote alla moglie. Alla meta, chiamata poi anche dotalitium, dos, sponsalicium, ecc., si aggiungeva il faderfium, che il padre soleva donare, a suo beneplacito, alla figlia. Il giorno dopo le nozze, il marito faceva alla moglie un dono del mattino, morgengab, e questo, secondo una interpetrazione, che è però assai discutibile, in premio della verginità di lei. L'ammontare della meta e del morgengabio fu, sotto l'azione crescente del diritto romano, limitato. Anche il faderfio, che si trasformò piú tardi in dote, venne nell'età dei Comuni limitato.

La meta, il faderfio, il morgengabio erano proprietà della moglie, che poteva richiederli alla morte del marito. Ma, per un carattere proprio del diritto germanico, interamente serbato anche presso i Longobardi, non si ammetteva punto il regime dotale romano, col quale si costituisce una proprietà separata e indipendente della donna: ciò che è suo le viene invece dal marito. Il diritto germanico preferiva generalmente la comunione dei beni. La donna fra di noi, cosí dice il Gans, non ha bisogno, come presso i Romani, d'una proprietà, per affermare la sua giuridica personalità, e provare che è uguale al marito. Essa possiede ciò che il marito possiede, e la sua uguaglianza è costituita dall'amore, nel quale ogni differenza scomparisce. Il marito rappresentava in giudizio la moglie, che era sotto la protezione della sua spada, ed egli poteva anche ucciderla, quando l'avesse trovata in adulterio. Tutta la proprietà mobile e immobile di lei, non esclusi i doni nuziali fatti da qualche amico, erano proprietà del marito, il quale doveva solamente prevedere il caso in cui, per morte, cessasse il matrimonio, e di qui la necessità della meta e del donativo. Morendo la moglie senza figli, tutto ricadeva al marito; morendo il marito, la moglie aveva diritto di far prelevare la meta, e il donativo. In tutto il resto, essa era sottoposta alla libera generosità del marito, il quale poté piú tardi lasciarle metà dell'usufrutto delle proprie sostanze, e piú tardi ancora l'intero usufrutto.

Se il matrimonio dei Longobardi è tanto diverso dal romano, neppure il mundio può, come abbiam visto, andare confuso con la tutela, a cui era, presso i Romani, sottoposta la donna. Avendo esso la sua origine nella incapacità a portare le armi, era temporaneo sull'uomo, e cessava colla sua incapacità; in sul principio cessava a 12 anni, piú tardi cessò a 18. Sulla donna, invece, era perpetuo, perché essa era sempre incapace alle armi. Prima sotto il mundio del padre, passava poi col matrimonio sotto quello del marito, e colla morte del padre, se non aveva marito, cadeva sotto quello del figlio o degli agnati, i quali erano anche suoi eredi. In ultimo veniva protetta dalla Curtis Regia. Il carattere del mundio era però sempre lo stesso, cioè una protezione del debole. Infatti la donna, sotto il mundio del padre, del marito, del figlio, degli agnati o della Curtis Regia, era sotto una protezione che aveva sempre la medesima natura. Non potrebbe dirsi lo stesso della tutela romana, che aveva la sua origine nel concetto della famiglia. La tutela del padre romano sui figli durava tutta la sua vita, ma egli poteva disfarsene; il mundio che esercitava il padre longobardo durava finché durava la incapacità dei figli alle armi, e come logica conseguenza cessava con essa. Sebbene non possa dirsi che la emancipazione sia rimasta ignota ai Longobardi, essa può, secondo l'indole del loro diritto, ritenersi come un fatto eccezionale. Se la donna romana era sottoposta alla patria potestà, o alla manus del marito, o alla tutela degli agnati, queste erano tre protezioni assai diverse, appunto pel diverso carattere domestico di colui che le esercitava, e nulla avevano da fare col mundio. Il padre longobardo poteva vendere i figli, li rappresentava in giudizio, e ciò che essi acquistavano, era suo; ma il consiglio di famiglia temperava la sua autorità, nel modo che abbiamo accennato piú sopra, e i fratelli della madre, natural protettrice dei figli, vi pigliavano gran parte.

Né solamente nel matrimonio, ma ancora nella successione, il diritto di famiglia longobardo manifesta il suo proprio ed originale carattere. Prima di tutto bisogna però notare, che presso i Longobardi si trova il testamento, il che sembra contraddire all'uso dei popoli germanici, i quali non lo conoscevano: ma esso deriva dall'azione del diritto romano sul longobardo. Tuttavia la irrevocabilità della donazione e del testamento longobardo ci presenta il carattere o piuttosto un residuo del carattere germanico; giacché il concetto del testamento romano sta appunto nella sua revocabilità, ed i Longobardi non conobbero la testamenti factio romana.

I piú prossimi eredi erano i figli legittimi, con i quali succedevano anche i naturali. Sebbene questi non facessero propriamente parte della famiglia, erano pure ammessi a succedere coi legittimi, ma in proporzioni minori, e potevano essere pareggiati mediante la legittimazione. Piú tardi questo carattere essenzialmente germanico della successione, si perdette per opera del diritto romano e del diritto canonico, i quali escludono i figli naturali. In origine, secondo la legge longobarda, un figlio legittimo pigliava due terzi dell'eredità, lasciando solamente il resto ai naturali. Se i figli legittimi erano due, i naturali prendevano la quinta parte; la settima se i legittimi erano tre. Ai figli naturali non si poteva lasciare piú di quello che era prescritto, né si poteva diseredare un figlio senza giuste e provate ragioni, le quali vennero prese in prestito dal diritto romano. Si poteva tuttavia vantaggiare un figlio a preferenza degli altri.

La preferenza dei maschi sulle femmine, ha una grande importanza, ed è un altro dei caratteri propri del diritto longobardo. Quando il testatore, morendo, lasciava un figlio ed una o piú figlie nubili, doveva a queste lasciare la quarta parte dell'eredità; quando v'erano piú figli, le figlie avevano solo la settima parte. Le maritate però non potevano pretendere a nessuna parte dell'eredità, dovendo contentarsi di ciò che avevano avuto nel giorno delle nozze, e piú non dimandare. In mancanza di figli maschi, i piú prossimi eredi erano le figlie, che succedevano come maschi, fossero o no maritate. Un altro carattere proprio del diritto longobardo è quello di essere molto favorevole alle figlie ed alle sorelle del testatore, quando erano nella casa paterna o fraterna (in capillo). Il fratello viene escluso dalla figlia e dalla nipote, ed in questo caso si vede una singolare e strana preferenza data alla donna. Cosí pure troviamo, che le figlie e le sorelle non passate a marito, prendono porzioni uguali, quando trovansi le une e le altre nella casa paterna o fraterna.

Noi abbiamo notato, che gli Statuti dei Comuni italiani danno, al pari del diritto longobardo, una decisa preferenza agli agnati sui cognati, e che ciò dette origine a vive discussioni. Infatti si volle da molti vedere in questa preferenza un carattere assolutamente germanico, dal diritto longobardo passato negli Statuti. Ma noi abbiamo notato del pari che anche il diritto romano, in tutta la sua storia preferí gli agnati, e solo negli ultimi tempi perdé questo carattere, che però, in parte almeno, esso riteneva ancora in Italia, quando vennero i barbari. E ci parrà sempre piú necessario concludere, che questa preferenza data agli agnati non sia negli Statuti venuta dal diritto longobardo, se rifletteremo alle diversità che, anche in tale preferenza, corrono fra le leggi germaniche e le italiane; ed al fatto non meno notevole, che essa andò crescendo sempre piú, nel tempo stesso che andavano negli Statuti aumentando l'azione e la importanza del diritto romano. In verità piú si esamina da vicino, e piú bisogna riconoscere che sono ragioni politiche, tutte proprie dei Comuni e della società italiana del Medio Evo, quelle che condussero ad un tale risultato. Ma anche in ciò l'azione vicendevole dell'uno sull'altro diritto, rimane evidente. Possiamo infatti osservare, che la successione degli agnati, nel diritto longobardo è anch'essa alterata dal romano, il quale l'ha resa indifferente alle cose, che compongono la eredità, mentre che è un carattere proprio e costante del diritto germanico l'essere intimamente connessa, legata a queste.

Per concludere adunque con una osservazione generale, ripetiamo che fra i Longobardi predominano i vincoli del sangue, che nella loro famiglia si trova una maggior libertà individuale, e che l'azione dello Stato su di essa è molto piú debole. A Roma, invece, il concetto della famiglia domina sui vincoli del sangue, e la sua unità è in origine costituita dall'assoluto dispotismo paterno, distrutto poi dal potere politico, che quasi si sostituisce ad esso. Lo Stato allora domina ogni cosa, riduce in frantumi la famiglia, conduce all'assoluta uguaglianza di tutti, senza avere la forza di tenere insieme una società, in cui né la libertà individuale, né l'attività locale, né le libere associazioni si poterono svolgere abbastanza. Ed esse erano pure necessarie a salvare l'immensa mole d'una società composta di popoli diversi, che non aveva perciò nessun carattere o unità nazionale, che la Repubblica e l'Impero avevano costituita. Questi nuovi elementi sono quelli appunto che vennero fra di noi coi barbari. Cosí fu che due popoli, due forme di famiglia e di società, quasi direi, due idee, due caratteri sociali affatto diversi s'incontrarono, l'uno dei quali era divenuto necessario a complemento dell'altro. I Tedeschi portarono dalle loro foreste la libertà individuale, la indipendenza personale, il vigore delle piccole associazioni; i Latini avevano già trovato l'unità dello Stato, un concetto piú generale e organico della società, l'idea politica della famiglia, quale noi la vedremo piú tardi trionfare nel Comune. Dall'impasto di queste due società diverse, dovrà nascere la società moderna, nella quale l'azione dell'una è di rado scompagnata da quella dell'altra, ed è perciò vano il presumere di farla derivare esclusivamente dall'una o dall'altra di esse.

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