XV

Tornando ora a dare uno sguardo generale agli Statuti italiani, dobbiamo osservare, che se la storia del diritto statutario presenta molte difficoltà, pel numero infinito di disposizioni diverse che troviamo in essi, la diversità di siffatte disposizioni deriva principalmente da cagioni accidentali e temporanee, estranee allo svolgimento naturale e spontaneo del diritto, il quale, esaminato in sé stesso e nei suoi caratteri fondamentali, presenta invece una grandissima uniformità. Si può però notare che nelle repubbliche del nord predomina assai piú il diritto longobardo; in quelle del centro e del sud piglia pronto e rapido ascendente il romano, che finisce col dominare in tutto, con le alterazioni che abbiamo già notate. Questo progresso è d'anno in anno piú visibile, e cosí noi assistiamo, anche nell'esaminare gli Statuti, a quel medesimo contrasto di opposti elementi, che abbiamo notato in tutta quanta la storia dei Comuni e della cultura italiana: nelle guerre civili, nelle sanguinose lotte fra Guelfi e Ghibellini, nell'arte, nella letteratura, in ogni cosa. Negli Statuti si tratta, è vero, solamente d'idee e di disposizioni giuridiche; ma queste sembrano combattersi con uguale ardore, mirare al medesimo fine, che gli uomini governati da esse.

Verso il declinare del secolo xiv, il commercio incominciò a prendere un grandissimo slancio in Italia, il che portò un nuovo progresso nella legislazione. Abbiamo infatti una serie di disposizioni con le quali si raggiunge un'assai maggiore speditezza negli affari commerciali, si evitano i cavilli legali, si tolgono le ipoteche sui crediti del mercante, si puniscono severissimamente la frode e i fallimenti dolosi. In una parola, troviamo chiaramente le origini del moderno codice di commercio, con cui tali disposizioni assai spesso consuonano.

Ma in tutte queste leggi vediamo sempre le conseguenze d'un Comune diviso e frazionato in particolari associazioni, che hanno propri Statuti, propri giudici, vita rigogliosa, e troviamo un potere centrale che, sebbene veda da ogni lato minacciati, usurpati i suoi naturali diritti, esercita la sua azione, con poco ordine e senza uniformità, ma pure non senza forza, spesso anche con violenza. Ora par sopraffatto, ora invece riesce a sopraffare. Tutta la storia del Comune dimostra una tendenza continua a porre in armonia questi elementi politici, sociali, e legislativi, diversi e spesso fra loro cozzanti, problema che esso non riesce mai a risolvere pienamente, e finisce quindi col cadere nel dispotismo. Mancava un vero concetto della unità sociale, mancava nel fatto e nella mente degli uomini ogni idea della distinzione dei poteri; laonde chiunque assumeva una parte del potere esecutivo, assumeva ancora non solo una parte del giudiziario, ma dell'amministrativo e del legislativo, che vi erano necessariamente connessi. E però, a salvare la libertà pareva che unico mezzo fosse dividere il governo fra mille mani, facendo in modo che i partiti, le associazioni, le famiglie, i quartieri della città, le consorterie servissero le une di freno alle altre. In questa divisione e suddivisione tutti gli elementi che costituirono piú tardi la società moderna, furono apparecchiati; ma lo Stato vero e proprio non fu mai trovato. Ondeggiando in una continua tempesta, scossa da ogni lato, la nave della repubblica sembrava non aver mai posa né direzione determinata; non poter mai solcare le acque con fermezza, per mancanza di zavorra. Non s'arrivò giammai ad un chiaro e sicuro concetto del diritto, il quale, limitando e determinando la libertà garantita a ciascuno, assicura quella di tutti.

La vita politica dei Comuni inoltre fu sempre circoscritta nella cerchia delle città dominanti, restandone esclusi non solo il contado, ma anche le città vinte o annesse. Ogni forma di governo rappresentativo era allora ignota. Tutti quelli che godevano dei diritti politici, alternandosi fra di loro, entravano direttamente nei Consigli della repubblica, e la piú parte di essi, prima o poi, salivano al potere. Ciò rendeva necessario avere Stati con confini assai circoscritti, per non rendere impossibile addirittura il governarli in un modo qualunque. Solo la Rivoluzione francese, facendo per la nazione interna, quello che il Comune italiano aveva fatto per le città, poté proclamare l'uguaglianza civile e politica di tutti coloro che facevano parte della nazione, i quali finalmente furono perciò tutti cittadini. La democrazia divenne allora il carattere predominante delle società moderne, che col sistema rappresentativo, poterono assicurare la libertà anche nei grandi Stati, conciliando l'unità e la vigorosa azione del governo centrale con la indipendenza personale, con l'attività e le libertà locali. Ma il Comune restò sempre incerto fra gli opposti elementi di cui era composto, e che non seppe mai comporre in un vero organismo politico.

La storia delle nostre repubbliche si potrebbe infatti ridurre tutta al diverso predominio che ebbero in esse ora l'una, ora l'altra delle grandi associazioni che le costituivano. A Firenze dapprima lottarono fra loro, con varia fortuna, nobili e popolani. Quando le consorterie dei magnati presero tale ascendente da minacciare le libertà popolari, e distruggere ogni equilibrio sociale, allora ebbe luogo una grande riforma degli Statuti, una vera trasformazione del Comune, e con gli Ordinamenti di Giustizia, di cui ora dobbiamo parlare, furono abbattuti i nobili e disfatte le loro consorterie. Ma esse erano parte integrante dello Stato, e però quando vennero sgominate, vi fu un momento di rapida corruzione e decadenza. Alle passioni, agl'interessi della casta, succedettero le passioni, gli odi, le ambizioni personali, anche piú pericolose. Le famiglie cominciarono a combattersi fra loro, sorsero i potenti ambiziosi, e Corso Donati o qualche altro simile a lui, sarebbe divenuto subito padrone e tiranno della Repubblica, se non vi fosse stato un popolo potente, arricchito dai rapidi guadagni del cresciuto commercio, amico della libertà, nemico dei Grandi. Al dominio delle consorterie successe perciò il dominio delle Arti Maggiori, e cominciò la loro lotta con le Minori, che finalmente arrivarono anch'esse al potere. Piú tardi s'avanzò la gran massa dei Ciompi, i quali minacciarono di decomporre del tutto la vecchia forma sociale della Repubblica; e vennero sulla scena nuove ambizioni personali, anche piú funeste alla libertà, perché piú fortunate. Lottarono fra loro Albizzi, Pitti e Medici, i quali ultimi trionfarono con Cosimo il Vecchio, che uccise la Repubblica. Ma tutto questo non ci deve gran fatto maravigliare, perché una volta che si tengano presenti le origini del Comune, e gli elementi che lo composero, si vede assai chiaro, che in sostanza avvenne quello che doveva inevitabilmente avvenire.

Share on Twitter Share on Facebook