I

La storia di Firenze negli ultimi anni del secolo xiii, richiama tutta la nostra attenzione per molte ragioni. In quel tempo seguiva una delle rivoluzioni politiche piú importanti, che ebbe per resultato quegli Ordinamenti della Giustizia, di cui è tenuto autore Giano della Bella, e che il Bonaini chiamò la Magna Carta della repubblica fiorentina. Quando anche il paragone sembri esagerato, è pur certo che questi Ordinamenti noi li vediamo, ora afforzati, ora modificati, qualche volta sospesi, restar nondimeno in vigore per piú di un secolo, cosa che non è di piccolo momento in una repubblica mutabile come quella di Firenze. Molte delle vicine città prima o poi li imitarono, ed i Romani mandarono nel 1338 a chiederne una copia, per riordinare con essi la loro città. Al quale proposito scrisse il Villani: «e nota come si mutano le condizioni e gli stati de' secoli, che i Romani feciono anticamente la città di Firenze, e dierono loro legge, e in questi nostri tempi mandaro per le leggi a' Fiorentini». Da un altro lato, in quegli anni appunto, si vede sorgere a un tratto, nel seno della Repubblica, il piú splendido fiore delle arti e delle lettere. La lingua, la poesia, la pittura, l'architettura, la scultura avevano già fatto le loro prime prove in varie città d'Italia; ma ora si raccolgono stabilmente in Firenze, iniziano un'èra nuova nella storia del pensiero nazionale, sono come una luce che sorge improvvisa ad illuminare non solo l'Italia ma l'Europa. Importa quindi conoscere, in tutti i loro particolari, quali furono le fortunate condizioni politiche e sociali, che fecero di Firenze il centro di cosí maravigliosa attività, il foco in cui questi raggi vennero a concentrarsi.

Si potrebbe, è vero, osservare che se quei tempi sono per tante ragioni meritevoli della nostra attenzione, la storia ne è pure notissima. Narrata da contemporanei come il Compagni ed il Villani, che furono non solo testimoni oculari, ma spesso anche parte dei fatti che descrissero, essa venne illustrata con molti documenti originali, e nuovamente esposta da alcuni dei piú chiari storici moderni. Ma pure, chi bene la esamina, deve accorgersi che quei tempi non sono poi cosí noti come pare. Basta infatti leggere gli storici anche piú moderni, perché mille difficoltà e mille dubbi sorgano nella nostra mente. Che cosa in vero ci dicono, non solo il Machiavelli, l'Ammirato, il Sismondi, il Napier; ma il Vannucci, il Giudici, il Trollope, che scrissero quando era già seguita la pubblicazione di molti e nuovi documenti originali? - Dopo la battaglia di Campaldino, l'insolenza dei Grandi era trascorsa in Firenze oltre ogni limite. Ingiuriavano, opprimevano, calpestavano il popolo. Si levò allora un uomo ardito e generoso, Giano della Bella, nobile dato al partito popolare, il quale, essendo dei Priori, propose una nuova legge, che doveva rimediare per sempre a questi mali, e che fu accettata, sanzionata col nome di Ordinamenti della Giustizia. Questa legge escludeva i Grandi o sia i magnati da ogni ufficio politico; permetteva di salire al governo della Repubblica solo a quelli che effettivamente esercitavano un'Arte; puniva ogni grave offesa dei Grandi contro i popolani, con giudizi e con pene eccezionali e crudeli: il taglio della mano, la morte, piú spesso la confisca. Per le offese minori, v'erano solo pene pecuniarie. I magistrati avevano facoltà di punire un popolano, che si mostrasse avverso alla Repubblica o ne violasse le leggi, col dichiararlo Grande, il che lo escludeva subito dal governo e lo sottoponeva alle stesse angherie. Ma quello che è piú, quando uno dei magnati, commessa l'offesa, sfuggiva alla giustizia, doveva in sua vece pagar la pena il suo parente o consorto. - Cosa unica nella storia del mondo! esclama, a questo proposito, il Giudici. E chi non vede, infatti, come questa, che è pure una legge fondamentale nella storia della Repubblica, sembra invece una vendetta ispirata solo dalle piú cieche passioni di parte? I dubbî perciò sorgono quasi ad ogni parola di essa. Come spiegare che Dante si trovava dei Priori, e con lui altri, che certo non erano artigiani, o solo di nome, se è vero che gli Ordinamenti escludevano tutti coloro che non esercitavano effettivamente una delle Arti? Ma, lasciando da parte mille altri dubbi minori, egli è certo che il sentire che allora si condannava alla morte un innocente, solo perché parente o consorto d'un colpevole sfuggito alla giustizia, è cosa che non si può assolutamente capire. Potremmo intenderla appena in mezzo alla piú oscura barbarie; resta un mistero ed una contraddizione nel secolo di Dante; confonde tutte le nostre idee intorno a quei tempi. Il riesaminare adunque un tale soggetto non può essere senza qualche utilità. Si tratta di determinare il vero carattere della rivoluzione seguita allora, e della legge che ne fu conseguenza; di metterle in armonia coi tempi e colla storia di Firenze.

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