In sul finire del secolo xiii, la Repubblica aveva acquistato in Toscana ed in tutta Italia una importanza grandissima. La caduta degli Svevi, la venuta degli Angioini, la vacanza dell'Impero avevano dato al partito guelfo, che in Firenze era quello della democrazia, un grandissimo ascendente. Pisa, Siena ed Arezzo, le sue tre grandi rivali ghibelline, erano state dai Fiorentini, con una diplomazia accortissima e con la forza delle armi, umiliate e vinte, il che non solo aveva rialzato in Toscana l'autorità politica della loro Repubblica, ma le aveva aperto ed assicurato tutte le grandi vie del commercio. Al mare s'andava per Pisa; a Roma, nell'Umbria, nell'Italia meridionale per Siena ed Arezzo; al settentrione s'andava per Bologna, città lontana, guelfa ed amica. Quindi è che il commercio di Firenze prese allora un rapido incremento, ed essa, che era una repubblica di mercanti, in mezzo a repubbliche date del pari all'industria ed al commercio, si trovò a capo di tutta Toscana. Da un altro lato però la cresciuta potenza degli Angioini cominciava già ad ingelosire i Papi stessi, che li avevano chiamati, e che ora volgevano l'occhio alla Germania, per farvi risorgere le pretese imperiali, e cosí mettere un freno alla crescente ambizione di Carlo d'Angiò, il quale, fatto da essi Senatore di Roma e Vicario imperiale in Toscana, sembrava volesse seguire l'audace politica degli Svevi, aspirando alla signoria d'Italia.
In un tale stato di cose, i Fiorentini seppero destreggiarsi con un'accortezza maravigliosa, ed inclinando ora a destra ora a sinistra, fecero piú volte piegar la bilancia dal lato che volevano. Si servivano dei soldati di Carlo, per abbassare le città e i nobili ghibellini; s'appoggiavano al Papa, per frenare l'albagía di Carlo; e mostravano di voler favorire l'Impero, quando il Papa parlava da supremo signore temporale, quasi, nel presente interregno, fosse lui l'erede naturale dei diritti imperiali. In questo modo la Repubblica, non solo mantenne salva la sua indipendenza, ma divenne uno Stato rispettato e temuto in Italia. Tutto ciò era conseguenza dell'attività, dell'accortezza e intelligenza de' suoi popolani, i quali governavano con una tale parsimonia nelle spese, con tanta prudenza, che si giunse ad una prosperità inaudita. «E nota (dice il Villani), che infino a questo tempo e piú addietro, era tanto il tranquillo stato di Firenze, che di notte non si serravano le porte alla Città, né avea gabelle in Firenze; e per bisogno di moneta, per non fare libbra, si venderono mura vecchie, e' terreni d'entro e di fuori a chi v'era accostato». Con poche tasse e senza debiti, l'amministrazione procedeva mirabilmente; non gravava i cittadini, ed aumentava il benessere comune.