V

Giano della Bella era un uomo d'azione, non un legislatore né un politico. Nobile di origine, aveva combattuto a Campaldino, dove ebbe ucciso il suo cavallo; s'era poi dato al partito popolare, secondo che si diceva, per una contesa avuta in san Piero Scheraggio con Piero Frescobaldi, il quale sarebbe giunto a mettergli le mani sul viso, minacciando di tagliargli il naso. Vero o no che sia il fatto, certo egli era di carattere violento, di molto ardire, di poca prudenza, e disinteressato amico della libertà; ma non punto scevro dalla passione della vendetta, di che anzi veniva accusato dagli stessi suoi ammiratori. «Uomo virile e di grande animo (dice il Compagni) era tanto ardito, che lui difendeva quelle cose che altri abbandonava, e parlava quelle che altri taceva, e tutto faceva in favore della giustizia contro ai colpevoli, e tanto era temuto dai rettori, che temeano nascondere i maleficî». - «Egli era (dice il Villani) il piú leale e diritto popolano e amatore del bene comune, che uomo di Firenze, e quegli che mettea in Comune e non ne traeva. Era presuntuoso e voleva le sue vendette fare, e fecene alcuna contro gli Abati suoi vicini, col braccio del Comune», di che il buon cronista gravemente lo biasima. Mandato Podestà a Pistoia, s'era subito gettato in mezzo ai partiti, perseguitando alcuni e favorendo altri, con tanto ardore, che invece di calmarli, come era suo debito, li accese maggiormente, tanto che non potette neppur compiere il tempo dell'ufficio suo. Tutta la condotta di lui in Firenze, noi lo vedremo, dimostra che esso era un uomo di poca prudenza e di grande impeto. Furono anzi queste passioni appunto, che ne fecero non già un legislatore, ma un capopopolo, un implacabile nemico dei Grandi.

Dopo la battaglia di Campaldino, questi dimostravano una maggiore audacia ed una superbia crescente. - Siamo noi, essi dicevano continuamente, che demmo la sconfitta in Campaldino, e voi ci volete ora disfare. - Volevano invece primeggiare e comandare, ed ogni giorno ingiuriavano o ferivano qualche popolano. Né le leggi bastavano, a punirli, perché gli offensori non si trovavano mai; venivano nascosti, e nessuno voleva o osava fare testimonianza contro di essi. Un popolano era circondato, assalito, riceveva una pugnalata, e l'autore del delitto non era visto da nessuno. Un altro era tirato in mezzo alle case d'una consorteria, malmenato, picchiato, collato alla fune, e tutto quello che ivi seguiva rimaneva un mistero. Si condannava ad una multa qualche Grande, e subito egli dichiarava di non aver nessuna proprietà individuale, di non aver sodato per negligenza sua o dei magistrati, ed i parenti facevano lo stesso discorso. Bisognava dunque richiamare in vigore, rafforzare le antiche leggi, venire a nuovi e piú duri provvedimenti. Cosí finalmente i Priori, che si trovavano in ufficio dal 15 dicembre '92 al 15 febbraio '93, spinti dalla opinione popolare, che era guidata da Giano, dettero commissione a tre cittadini, Donato Ristori, Ubertino della Strozza e Baldo Aguglioni di stendere una nuova legge, la quale, provvedendo ai pericoli presenti, desse per l'avvenire un piú stabile assetto alla Repubblica. Il 10 gennaio, essendo già pronta la legge, il Capitano del popolo radunava il Consiglio dei Cento, proponendo che si chiedesse agli opportuni Consigli la balía di proclamarla, quando fosse stata approvata dai magistrati e da alcuni savî cittadini. Vi fu chi propose invece che si leggesse e discutesse prima nei Consigli; ma cosí si correva rischio di non venir mai a capo di nulla. Prevalse quindi il partito piú pratico, e fu con 72 voti contro soli 2, deciso di concedere la chiesta balía. Il 18 gennaio la nuova legge, chiamata Ordinamenti o Ordini della Giustizia, fu promulgata in nome del Podestà, del Capitano e dei Priori, sentite prima le Capitudini delle 21 Arti, ed alcuni savi cittadini. Tutto fa credere che fra questi fosse anche Giano della Bella; ma, sebbene gli storici lo dieno come autore e promotore della legge, perché fu esso che guidò il popolo e costrinse la Signoria, pure non si trovava allora al governo, né il suo nome apparisce negli atti ufficiali in modo alcuno. Tanto fu lontano dall'essere il vero e solo autore o compilatore della legge.

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