Che cosa dunque ci dicono, che cosa sono questi Ordinamenti di giustizia nella loro forma originale? Essi portano nella Repubblica un mutamento politico e sociale, col manifesto intento di promuovere l'uguaglianza civile, dare
maggiore unità al governo, maggior forza alle Arti; assicurare l'unione e la concordia del popolo; metter freno all'albagia dei Grandi. La riforma piú propriamente politica si restringe a dare norme sicure per la elezione dei Priori, ai quali è aggiunto un nuovo e piú autorevole magistrato, il Gonfaloniere di giustizia, che siede con essi.
I sei Priori in ufficio, invitati dal Capitano del popolo, radunavano per mezzo suo le Capitudini, ossia i Consoli delle 12 Arti maggiori, e i savi cittadini, che credevano richiedere, per deliberare con loro sul piú opportuno e sicuro modo di scegliere i propri successori. I quali dovevano essere ascritti nella matricola di un'Arte ed esercitarla, questo essendo il modo piú sicuro di provare, che non appartenevano a famiglie di Grandi, che era sempre il punto essenziale. Infatti chi fosse rimasto ancora dei Grandi, sebbene esercitasse l'Arte, non poteva entrare nella Signoria. Si poteva, con sottili ed anche sofistiche interpetrazioni, transigere sull'esercizio effettivo dell'Arte, non mai però sull'essere realmente fuori dell'aristocrazia. Lo stesso Giano della Bella, che aveva appena, come dice il Villani, qualche interesse commerciale in Francia, di nobile fattosi popolano, poté nel febbraio '93 essere dei Signori. Nel luglio del '95, come vedremo, furono modificati gli Ordinamenti, e bastò addirittura essere ascritto all'Arte, senza di fatto esercitarla, richiedendosi però sempre che non si fosse dei nobili. Seguivano molte prescrizioni destinate a dare equa parte negli uffici a tutti quanti i Sesti della Città, a tutte le Arti, vietandosi che vi fossero piú Priori d'un medesimo Sesto, d'una medesima Arte o famiglia. Chi usciva d'ufficio aveva divieto a tornarvi per due anni, e cosí pure avevano divieto i suoi parenti. L'ufficio dei Priori durava due mesi; non si poteva chiedere né brigare, e non si poteva neppure ricusare. Essi sceglievano, per abitarvi, una casa nella quale vivevano e mangiavano insieme, senza potere accettare inviti o dare udienze private.
Si veniva poi alla elezione del nuovo magistrato, cioè il Gonfaloniere della Giustizia. Esso era eletto ogni due mesi, d'un Sesto sempre diverso della Città, dai nuovi Priori, dal Capitano e dalle Capitudini, piú due Savi per Sesto. Era in tutto pareggiato ai Priori, salvo che aveva divieto d'un anno invece di due; viveva con essi qual primus inter pares; aveva, come essi, l'onorario di dieci soldi al giorno, comprese anche le spese, per il che si poteva dire un ufficio gratuito. Avendo però dalla legge maggiori attribuzioni, ben presto divennero di necessità il capo della Signoria. A lui si consegnava, in pubblico Parlamento, il Gonfalone del Popolo, donde veniva il nome di Gonfaloniere, ed aveva a propria disposizione 100 pavesi o scudi, 25 balestre con quadrella, i quali servivano a meglio armare alcuni dei 1000 popolani scelti ogni anno, per essere agli ordini suoi, del Capitano e del Podestà, e provvedere cosí al buon ordine ed alla esecuzione delle nuove leggi. Non poteva esser parente dei Priori in ufficio. La creazione di questo nuovo magistrato viene di certo a provare chiaramente, che si sentiva già il bisogno di dare maggiore unità e capo al governo. La gelosia repubblicana però non permise allora d'andar oltre una semplice apparenza. E quindi il Gonfaloniere non fu che il piú autorevole fra i Priori, mutabile al pari di essi; ma in certe occasioni poteva direttamente disporre de' popolani armati, il che aumentava di certo la sua autorità.
Venendo ora a quella parte degli Ordinamenti, che aveva un carattere assai piú sociale che politico, noteremo innanzi tutto, che da essi ha origine la definitiva costituzione delle Arti in Firenze, le quali ben presto formarono o rinnovarono i propri statuti; ed essi ancora ne fissarono il numero normale, il quale d'allora in poi rimase sempre fermo a 21. La prima rubrica infatti ordinava che le Arti facessero solenne giuramento di mantenere l'unione e la concordia del popolo. La seconda annullava e proibiva severamente tutte quante le compagnie, leghe, promesse, convegne, obbligazioni e sacramenti, ossia tutti gli accordi fra i popolani, non preveduti o permessi dalle leggi, contrari o estranei alla costituzione delle Arti stesse. Al procuratore ed agli stipulatori di simili accordi si minacciava perfino la pena del capo; e l'Arte in cui l'accordo avesse avuto luogo, doveva pagare mille lire; cinquecento dovevano pagarne i suoi Consoli ed il notaio che avesse compilato l'atto. Da tutto ciò si vede chiaro che non si trattava solo, come fu affermato e creduto, d'una legge di vendetta contro i nobili; ma si voleva anche riordinare la Città ed il governo, costituendo fortemente le Arti, dando ad esse nuova importanza politica. L'abbassamento dei Grandi formava tuttavia uno degli scopi principali della legge. Vediamo dunque quali erano le disposizioni a ciò destinate.