CAPITOLO I

Odoacre

Odoacre era nato nel 433, e si trovava ora, a 46 anni, alla testa d'un esercito composto di popolazioni diverse, ognuna delle quali pretendeva che fosse suo connazionale. I più lo dicono Sciro, e qualcuno lo suppone figlio di quell'Edecone che insieme con Oreste vedemmo ambasciatore di Attila a Teodosio II. Certo era di quei barbari che a tempo di Attila si unirono agli Unni, separandosene poi alla sua morte. Era ancora assai giovane, quando con una banda di suoi seguaci si mosse a cercar fortuna in Italia. Traversò allora il Norico, provincia che per trent'anni (453-82) fu desolata, saccheggiata, abbandonata all'anarchia. Ivi non esisteva più nessuna forma di governo, e la sola autorità rimasta a mantenere in vita la società, pareva che fosse quella di S. Severino, il quale dal suo chiostro, nella solitaria cella, esercitava una prodigiosa azione morale sulle moltitudini, che volontariamente gli obbedivano. Ed in quella piccola cella, così narra la leggenda, entrò Odoacre, che era allora un uomo ignoto. Dovette piegarsi, perchè era assai alto, e chiese la benedizione del Santo, il quale, dopo avergliela data, disse: — Vade ad Italiam, chè, sebbene tu sia vestito di vilissime pelli, ti [129] aspetta colà grande fortuna. — Fra il 460 ed il 470 Odoacre infatti era già in Italia, e nel '72 combatteva nell'esercito di Ricimero sotto le mura di Roma. Nel '76 i suoi soldati lo levarono, come vedemmo, sugli scudi, e prese il posto di Oreste e di Augustolo ad un tempo. L'ufficio d'Imperatore d'Occidente, già ridotto ad un'ombra, per la soverchiante potenza dei generali che ne facevan le veci, è ora scomparso affatto nel barbaro che ne ha usurpato il posto. E per la prima volta nella storia del mondo, apparisce l'Italia come una nuova unità politica, indipendente. Ma un barbaro, che comandava in essa alla testa di un esercito di barbari, era un fatto talmente privo d'ogni precedente, che non si vedeva su quale base legale si potesse fondare la sua autorità. Odoacre non osò quindi assumere il titolo nè d'Imperatore, nè di re d'Italia; non fu che un re di barbari. E con quale diritto poteva egli allora comandare nella Penisola, sede antica dell'Impero?

Il solo vero e legittimo sovrano era adesso a Costantinopoli, ed a lui, tra il 477 e 478, si presentarono perciò due solenni ambascerie. L'una veniva da Salona, in nome di Nepote, che chiedeva d'essere reintegrato nei suoi diritti a Ravenna, di dove era stato colla violenza cacciato. L'altra veniva in nome del Senato e di Augustolo, il quale, assai probabilmente secondo un patto già prima stipulato con Odoacre, cercava ora ricompensarlo dell'avergli esso lasciato la vita nel privarlo del trono. Infatti gli oratori di questa seconda ambasceria erano venuti per dire, che i Romani non sentivano nessun bisogno d'avere un loro proprio Imperatore, bastandone uno solo per l'Oriente e per l'Occidente. Odoacre avrebbe [130] potuto governare l'Italia col titolo di Patrizio, in nome dell'Imperatore, a cui rimandava perciò le insegne imperiali, ornamenta Palatii.

In Costantinopoli a Leone I era nel 474 successo il nipote Leone II. Questi essendo ancora un giovanetto, restò sotto la reggenza del padre Tarasicodissa, che i Greci chiamarono Zenone, e che, morto ben presto il figlio, divenne addirittura imperatore. Poco dopo insorse contro di lui Basilisco, monofisita, favorito dalla sorella Verina, vedova di Leone I, sempre intrigante, e lo cacciò dal trono, su cui fu nel 477 rimesso da una controrivoluzione ortodossa. Quando adunque, fra il 477 e '78, si presentarono a lui gli ambasciatori del Senato e di Augustolo, egli si trovò in una condizione molto difficile, perchè non voleva riconoscere Odoacre, che era fuori di ogni legalità; ma sentiva di non essere allora in grado di deporre chi s'era colla forza impadronito del potere in Italia. Ricorse perciò ad un mezzo termine diplomatico, di quelli che erano molto in uso presso i Bizantini. Ufficialmente rispose ai Romani: — Due imperatori vi furono mandati da Costantinopoli, Antemio e Nepote; il primo voi avete ucciso, il secondo deposto. Ora dovete rivolgervi a Nepote, che riman sempre in Occidente il solo sovrano legittimo e riconosciuto. — Se questa fu però la risposta ufficiale, scrivendo privatamente ad Odoacre, gli dava il titolo di Patrizio. In sostanza, accettando il fatto compiuto, intendeva fare ogni riserva sulla questione di diritto, tenendo ferma la sua propria autorità. Odoacre intanto assunse il governo d'Italia, teoricamente sotto la dipendenza di Costantinopoli, in realtà operando a suo modo, come principe indipendente.

Il primo e principale problema di cui si dovette subito occupare, fu la promessa divisione delle terre, promessa dalla quale aveva avuto origine il suo potere. In che [131] modo questa divisione, nei suoi particolari, venisse fatta, noi non sappiamo. Tutto si riduce a semplici ipotesi. Certo è però che non si tratta di un sistema nuovamente introdotto, come molti supposero, in conseguenza della conquista. Invece esso fu in Italia ed altrove, la modificazione d'un sistema già prima esistente nell'Impero. E l'aggravio che ne venne alle popolazioni, fu assai più apparente che reale. L'esercito, in un modo o l'altro, era stato sempre a carico delle popolazioni, come a loro carico erano stati i molti sussidi che si davano ai barbari per tenerli tranquilli, e le enormi spese sostenute per le guerre dell'Impero. Dove i soldati venivano alloggiati, occupavano di diritto un terzo delle case dei loro ospiti, nelle quali anch'essi erano chiamati ospiti: e ciò naturalmente oltre le paghe che ricevevano. Quelli poi che erano lasciati permanentemente a difesa dei confini (limitanei) avevano, oltre l'alloggio, una parte delle terre, e le coltivavano per proprio conto. Se dunque i soldati di Odoacre, i quali erano l'esercito che doveva difendere l'Italia, avevano adesso un terzo delle terre, per coltivarle e vivere del prodotto di esse, questo in fondo non era qualche cosa di sostanzialmente nuovo. Bisognava però adesso mantenere i barbari, anche quando non prestavano servizio, e non solo gli uomini atti a portare le armi, ma i vecchi, le donne, i bimbi. E ciò in conseguenza d'una ribellione militare, che imponeva la sua volontà colla forza. Questo era veramente odioso, se anche non era effetto della invasione e della conquista.

Non bisogna però credere, che una tale divisione si facesse a un tratto per tutto, nè che dove si faceva, tutte le terre venissero divise. L'esercito di Odoacre era ben lungi dal potere occupare l'Italia intera. I suoi barbari alloggiarono quindi in alcune province, ed in esse solamente fu fatta la divisione. I piccoli possidenti, là dove [132] ancora ce n'erano, furono lasciati in pace, non mettendo conto dividere le terre che bastavano appena a sostenere i loro possessori. Essi quindi restarono nello stato di prima, e furono anche meno aggravati dalle tasse, che i barbari non erano in grado di riscuotere o far riscuotere colla regolarità opprimente del fisco imperiale. Nè mutò gran fatto la condizione degli artigiani nelle città. E così anche i coloni, i contadini, gli schiavi che coltivavano le terre, e passarono con esse ai barbari, restarono più o meno nelle condizioni di prima, spesso anzi migliorarono. Quelli che veramente soffrirono furono i latifondisti, i quali è però da credere che pagassero minori imposte sulla parte che loro restava delle proprie terre. In ogni modo la proprietà fu assai più divisa. E siccome i barbari, per antica consuetudine, preferivano la campagna alla città, così i campi pei quali da un pezzo mancavano le braccia necessarie a lavorarli, furono ora più e meglio coltivati. In tutto il paese rimase inalterata l'antica amministrazione romana, ed anche l'antico sistema di tasse, le quali non crebbero; anzi, per quanto possiamo indurne, scemarono. Considerevoli esenzioni ottenne pei suoi fedeli il vescovo Epifanio a Pavia ed in tutta la Liguria, dove le imposte erano negli ultimi tempi enormemente cresciute.

Il regno di Odoacre, che durò circa 13 anni, era limitato quasi esclusivamente all'Italia, da cui si staccarono affatto le altre province. Anche la Provenza, la parte cioè più romanizzata della Gallia, venne abbandonata ai Visigoti. La Rezia, considerata sempre come appendice integrante dell'Italia, ne faceva parte al pari della Sicilia, la quale era però in più luoghi occupata dai Vandali, secondo il trattato concluso nel 442. Questi occupavano anche la Sardegna, la Corsica e le Baleari. Il nuovo stato di cose, per ora almeno, evitava quelle grosse guerre che [133] dissanguavano le popolazioni, e quindi il regno di Odoacre fu per qualche tempo come un periodo di sosta alle patite calamità, sebbene di tanto in tanto si trovino ricordate nuove violenze e spoliazioni, che negli ultimi anni andarono crescendo. Sotto un certo aspetto le condizioni in cui Odoacre si trovava, coll'andar del tempo migliorarono assai. Il suo regno infatti, che era cominciato coll'essere sostanzialmente illegale, e tale durò finchè visse il deposto imperatore Nepote, fu in assai diversa condizione quando questi nel 480 morì. Certo Odoacre restò ancora col solo titolo di Patrizio, non potè mai assumere quello d'Imperatore, e neppure di re d'Italia; ma potè sempre più agire da principe indipendente. Cominciò a nominare anche i Consoli occidentali, che furono riconosciuti in Oriente. L'unità generale dell'Impero, cui era a capo Zenone, teoricamente non fu mai messa in dubbio; ma l'autorità di Odoacre divenne di fatto assai maggiore, ed implicitamente almeno fu anche riconosciuta. A Ravenna egli potè mettere insieme una flotta, colla quale si difese dalle incursioni vandaliche, e fra il 481 e 482 si spinse fino alla Dalmazia, che aggregò al proprio Stato. E se questo passo spiacque assai all'Imperatore, nè restò più tardi senza gravi conseguenze a lui dannose, per ora egli accrebbe il suo territorio, e non ne risentì nessun danno.

In tale stato di cose la vita politica del popolo italiano può dirsi spenta del tutto. Con tanto maggiore energia si svolgeva quindi in esso la vita religiosa, alla cui testa si trovava il Papa. Ma in parte non piccola l'indirizzo dell'attività religiosa, era determinato dalle relazioni o per meglio dire dalla opposizione che persisteva sempre fra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, dove non avevano mai posa quelle dispute dottrinali, cui lo spirito romano-cattolico ripugnava affatto. In Oriente combattevano [134] ora accanitamente i Nestoriani, i quali dicevano che la Vergine era madre di Gesù Cristo, solo in quanto uomo; gli Ariani ed i Monofisiti, i quali ultimi sostenevano che la natura umana e divina di Gesù erano una sola e medesima cosa. Siccome però in nome appunto di questa dottrina Basilisco aveva cacciato dal trono Zenone, che v'era stato rimesso dagli Ortodossi, così questi voleva ora in ogni modo evitare il riaccendersi della disputa. Fra il 482 e 83 pubblicò quindi una sua lettera conosciuta col nome di Henoticon, la quale si credette suggerita o anche scritta dal patriarca Acacio. In essa, tenendo una via media, cercava di conciliare ortodossi e monofisiti. Ma Roma non ammise mai queste vie di mezzo, nè ammise mai che l'Imperatore decidesse le dispute religiose. Papa Simplicio (468-483) condannò quindi senz'altro l'Henoticon ed Acacio che lo aveva ispirato.

Questa lotta nella quale Simplicio, sostenuto dagl'Italiani, dimostrò al solito una tenacia veramente romana, mantenne vivo l'antagonismo fra l'Oriente e l'Occidente, il che riusciva a vantaggio di Odoacre. Il Papa era allora moralmente, e non solo moralmente, il personaggio più potente in Italia. Se Odoacre, come ariano, si fosse messo in aperta opposizione con lui, questi gli avrebbe facilmente potuto sollevar contro tutto il paese, e rendergli impossibile il reggersi a lungo in Italia. Ma finchè durava la lotta religiosa fra Roma e Costantinopoli, il Papa ed Odoacre si trovavano dal comune interesse spinti a sostenersi vicendevolmente.

Il 2 marzo 483 moriva Simplicio, e Odoacre dette allora un passo falso, del quale non tardò molto a sentire le conseguenze. Per lui era certo cosa di grande importanza assicurarsi della nuova elezione. Voleva non solo evitar quei tumulti che in simili occasioni avevano assai spesso insanguinato le vie di Roma, ma voleva anche [135] avere un Papa amico. E così, quando l'assemblea che doveva procedere alla elezione, non potè riuscire a mettersi d'accordo, v'intervenne improvvisamente, in nome di Odoacre, il Prefetto del Pretorio, Cecina Basilio, dichiarando che sarebbe stata nulla l'elezione, senza la rappresentanza del Re. Questi, egli aggiunse, procedeva in ciò d'accordo colla volontà del defunto Papa, il quale prima di morire gli aveva raccomandato la nuova elezione. Fu inoltre emanato un decreto col quale veniva proibita l'alienazione dei beni della Chiesa, minacciando l'anatema contro chiunque non avesse a ciò obbedito. S'invitava poi l'assemblea a sanzionare il decreto, ed a procedere alla elezione, la quale riuscì a favore di Felice II (483-92), che era appunto il raccomandato di Odoacre. Non pare che allora sorgessero gravi lamenti contro questo procedere del Re. Ed in verità non solamente l'Imperatore di Costantinopoli aveva sempre avuto grande ingerenza nei Conclavi, nei Sinodi, nei Concili, in tutte le faccende della Chiesa; ma anche in Italia l'imperatore Onorio aveva nel 418 e 19 definito la contesa fra Eulalio e Bonifacio ambedue eletti pontefici. È provato poi che l'Imperatore d'Occidente aveva il diritto d'intervenire e decidere in siffatte questioni; anzi non di rado il clero stesso ricorse a lui per risolverle. Può supporsi perciò che, nonostante ogni contraria apparenza, Odoacre non avesse creduto di far nulla d'illegale, e molto meno di usare violenza per imporre un Papa di suo arbitrio; che la scelta di Felice II fosse veramente stata suggerita a lui da Simplicio. Se non che egli non era un Imperatore, ma un re barbaro ed un ariano. Non poteva quindi sperare che la Chiesa romana, sempre gelosa delle proprie [136] prerogative, avesse mai potuto approvare il suo procedere. Comunque sia di ciò, anche Felice II continuò con ardore la lotta contro l'Henoticon e contro Acacio, che scomunicò, inviando a Costantinopoli la sentenza. E tutto ciò fu causa d'uno scisma durato 35 anni (484-519), nei quali Roma non cedette mai, ottenendo finalmente il trionfo delle dottrine ortodosse. Ma se questo dissidio era tutto a vantaggio di Odoacre, l'essersi egli ingerito nella elezione papale aveva seminato nella Chiesa romana il germe pericoloso d'una profonda diffidenza verso di lui.

Intanto sorgeva un'altra e più grave complicazione d'indole politica. Al di là della Rezia c'era il Norico, la regione in cui ora è Salzburg, e che arrivava fino al Danubio, oltre il quale abitavano i Rugi. Questa regione, come già vedemmo, era stata desolata, ridotta ad estrema rovina dal continuo passaggio dei barbari; ed unica autorità, che vi avesse mantenuto ancora una qualche forma di vivere sociale, era stata quella di S. Severino, che il suo biografo Eugippo dice uomo interamente latino: loquela tamen ipsius manifestabat hominem omnino latinum. Nella sua cella raccoglieva abiti, cibi a sollievo dei miseri, e di là dava consigli e ordini cui tutti, anche i barbari, volontariamente obbedivano. Era questa un'altra prova visibile della forza quasi onnipotente, che la religione esercitava allora sugli animi. A S. Severino si dovè se la popolazione romana di quella regione non fu totalmente distrutta. Ma circa l'anno 482 egli morì, e fu questa una grande calamità per il Norico. I Rugi s'avanzarono subito devastando, saccheggiando ogni cosa, perfino il convento e la cella del Santo. Avrebbero, se avessero potuto, dice Eugippo, portato via anche le mura. E se i Rugi si fossero stabilmente impadroniti di quella regione, sarebbe stato di certo un gran pericolo [137] per Odoacre, che li avrebbe avuti ai confini del suo regno, colla voglia e, per la desolazione del paese, con la necessità d'avanzarsi. A questo li spingeva ora Zenone, per la solita politica orientale di neutralizzare i barbari, spingendo gli uni contro gli altri, e perchè era assai insospettito di Odoacre, il quale non solo agiva sempre più da principe indipendente, ma si era recentemente impadronito della Dalmazia. Oltre di ciò, a lui s'erano poco prima rivolti coloro che cospiravano contro Zenone; e sebbene egli avesse ricusato d'aiutarli, ciò non impedì che crescessero di molto i sospetti ed il mal animo dell'Imperatore contro di lui. La conseguenza fu che i Rugi s'avanzarono, ed Odoacre fu costretto a muover loro guerra.

Nel 487 egli si avanzò col suo esercito barbarico, nel quale, secondo Paolo Diacono, presero parte anche Italiani, nec non Italiae populi. Con esso vinse i Rugi, fece prigioniero il loro re, ne mise in fuga il figlio. Molte però e gravi furono le conseguenze di questa guerra. Una gran parte, la meno disagiata, della popolazione del Norico, emigrò in Italia, dove fu menato anche il corpo del Santo, che dopo essere stato portato in vari luoghi, venne finalmente, per intercessione d'una vedova, deposto presso Napoli, nel luogo che si chiama ora Castello dell'Uovo. Il figlio del re dei Rugi si ricoverò presso gli Ostrogoti, che erano allora comandati dal valoroso Teodorico degli Amali, e cercò d'incitarlo a muover guerra contro di Odoacre. Siccome poi lo stesso incitamento veniva a questo, come vedremo, anche dall'Imperatore, così ne seguirono avvenimenti di grande importanza nella storia d'Italia.

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