CAPITOLO II

Teodorico e gli Ostrogoti in Italia

La più parte degli Ostrogoti era rimasta unita agli Unni nell'antica Dacia, e se ne separarono, al pari degli altri popoli germanici, quando, dopo la morte di Attila, il suo impero andò in fascio e sparì come un sogno. Essi occuparono allora la Pannonia, sotto il governo di tre fratelli della nobile stirpe degli Amali. Ivi pare che restassero nella condizione, più o meno, di federati; ed ebbero al solito dispute continue coll'Impero, per le terre che chiedevano, per lo stipendio o tributo che pretendevano. Questo portò ad un conflitto, dopo del quale fu fissato un annuo tributo, e per garanzia di pace fu mandato in ostaggio a Costantinopoli il giovane Teodorico allora di soli otto anni, figlio di Teodemiro, uno dei tre fratelli Amali. Questo fatto ebbe grande importanza, perchè fu data così una educazione militare romana a quel giovinetto pieno d'ingegno, di valore e di ambizione, che era destinato ad un grande avvenire. Dei tre fratelli Amali intanto uno morì, un altro, cacciato dalla fame, andò con parecchi de' suoi a cercar fortuna in Italia, di dove, come già vedemmo, fu per mezzo di donativi, indotto ad andarsene in Gallia. Nella Pannonia restava così solo Teodemiro, il padre di Teodorico, che nel 472 tornò da Costantinopoli, nella età di 18 anni, gettandosi subito, per proprio conto, in una impresa militare contro i Sarmati, nella quale fece prova di gran valore. Nel 474 morì suo padre, e sebbene egli fosse figlio d'una concubina, pure il sangue illustre degli Amali ed il valore da lui dimostrato lo fecero agevolmente nominare capo del suo popolo. Allora incominciò per lui la difficoltà di far vivere [139] i suoi, perchè la Pannonia era esausta, ed i sussidi dell'Imperatore venivano assai scarsi.

Nell'Impero d'Oriente v'erano intanto altri Goti, comandati da un altro Teodorico figlio di Triario, e soprannominato Strabone, perchè guercio. Questi aspirava a prendere in Costantinopoli il posto del generale Aspar, la cui misera fine lo aveva irritato profondamente. Si era perciò unito a Basilisco, quando questi si sollevò contro Zenone, e lo cacciò dal trono. Teodorico degli Amali invece prese le parti di Zenone, che col suo aiuto trionfò, e come era naturale, lo colmò di onori, nominandolo Patrizio, Magister militum, suo figlio adottivo. Ma dopo ciò l'Imperatore si trovò stretto fra le pretese sempre crescenti dei due capitani goti, che, ambedue in armi, volevano del pari esser presi agli stipendi dell'Impero. Ben volentieri Zenone si sarebbe invece disfatto dell'uno e dell'altro; ma non era possibile. Consultò quindi il Senato, che rispose non doversi aggravare l'erario con la spesa necessaria a pagare i due capitani coi loro eserciti: ne scegliesse uno. E naturalmente egli scelse Teodorico l'Amalo, da cui era stato aiutato nel pericolo, e lo incaricò di tenere a freno l'altro. Ma quando i due barbari si trovarono di fronte, finirono coll'unirsi a danno di Zenone, cui non restava perciò altro che fare assegnamento sulla loro mutua gelosia, cercando con ogni mezzo di aumentarla. Così, costretto ad oscillare continuamente dall'uno all'altro, fino a che, morto nel 481 Strabone, Teodorico l'Amalo si trovò solo, più potente che mai, alla testa dei Goti insieme riuniti. E per sei anni lo vediamo ora avvicinarsi all'Imperatore, cui rendeva importanti servigi, ricevendone onori e danari; ora invece separarsene, ritornando a saccheggiare, per ottenere poi anche di più. Nel 483 fu Magister militiae praesentis; nel 484, Console. Rese allora di nuovo grandi servigi a Zenone, combattendone [140] i nemici; ma da capo cominciò a minacciarlo fin sotto le mura di Costantinopoli, saccheggiando la campagna, incendiando i borghi.

È chiaro che Zenone doveva desiderare di liberarsi in qualche modo da un sì incomodo vicino, e liberare l'Impero da questa barbarica prepotenza, che minacciava di far rinascere i tempi di Aspar, di fare anzi sorgere in Oriente un altro Ricimero. Ma come fare? L'antico sistema di opporre un barbaro ad un altro non sembrava più possibile ora che uno dei due goti rivali era morto. C'era però sempre in Italia Odoacre, di cui, per le ragioni da noi già esposte, Zenone doveva essere scontentissimo, massime dopo che s'era sparsa la voce di suoi segreti accordi coi ribelli all'Imperatore. Un tale sospetto, come già vedemmo, aveva indotto Zenone a far muovere i Rugi contro Odoacre. Ma questi li vinse, ed occupò il Norico, penetrò nel Rugiland, ne imprigionò il re colla moglie, ne mise in fuga il figlio, che andò da Teodorico per eccitarlo alla vendetta. E Teodorico pareva assai ben disposto a gettarsi nell'audace impresa, sia perchè i Rugi confinavano colla Pannonia, e la loro disfatta era per lui pericolosa; sia perchè sperava, vincendo, di occupare le fertili pianure d'Italia, e trovare così pei suoi una stabile e sicura dimora. A tutto ciò si aggiungeva, che la discordia già cominciata fra Odoacre ed il Papa aveva indebolito e reso quindi assai meno temibile il primo. L'occupazione della Dalmazia, l'entrata nel Rugiland, il farla Odoacre sempre più da sovrano indipendente, l'appoggio dato per lungo tempo al vescovo di Roma contro l'Imperatore facevano a questo desiderare un radicale mutamento in Italia. Teodorico, allontanandosi da Costantinopoli, fermandosi nella Penisola, avrebbe potuto non solo punire Odoacre, ma pigliare anche una più ferma attitudine di fronte al Papa.

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Tutto questo spingeva lui a partire, e Zenone a mandarlo. Gli storici hanno lungamente disputato se la prima iniziativa venisse dall'uno o dall'altro. Secondo Jordanes, Teodorico avrebbe fatto la proposta a Zenone, dicendo: — Se io sarò disfatto, non mi avrai più a tuo carico; se invece vincerò il tiranno (così chiamavano Odoacre, perchè non legittimo sovrano), governerò io il paese in tuo nome, vestro dono vestroque munere possidebo. — Procopio scrive invece che Zenone persuase Teodorico ad andare in Italia, e l'Anonimo Valesiano dice che lo mandò ad defendendam sibi Italiam. Il fatto vero è che l'uno voleva andare, e l'altro voleva mandarlo; i comuni interessi li spingevano verso la stessa meta. E però Teodorico si mosse finalmente per l'Italia nell'autunno del 488.

Non era una impresa esclusivamente militare, ma piuttosto la invasione d'un popolo in armi; giacchè Teodorico, che si moveva ora in nome dell'Impero, menava seco le donne, i vecchi, i fanciulli, con carri che trasportavano le masserizie, e servivano da case, durante il viaggio, con mulini mobili per macinare il grano. Tutta questa moltitudine portava il nome di Ostrogoti; ma era al solito una mescolanza di genti diverse, alle quali gli Ostrogoti, che in essa prevalevano, davano il nome. Erano riunite dal valore e dalla reputazione del loro capo, dalle guerre e saccheggi fatti sotto il suo comando, dal bisogno comune, urgente di trovare un paese in cui potessero stabilmente fermarsi e vivere. Non è possibile dire qual fosse il loro numero preciso. Chi li porta a 40,000 uomini in armi, chi ad una cifra anche maggiore. Tutto compreso, fra uomini, donne, vecchi e fanciulli, gli scrittori variano da 200 a 300 mila individui. Presero la via delle Alpi Giulie, e fu una marcia faticosa, qualche volta disastrosa. Il freddo era grande, il gelo induriva i loro capelli, la [142] barba, gli abiti. Dovettero procurarsi il cibo, strada facendo, colla caccia, o combattendo, o saccheggiando i paesi che traversavano. Un primo scontro sanguinoso lo ebbero coi Gepidi; ne seguirono poi altri, e finalmente, dopo otto mesi di pericoli e di stenti, percorrendo la stessa via percorsa già da Teodosio, da Alarico e da Attila, nel luglio del 489 erano in Italia. Il 28 agosto, sull'Isonzo, non lungi da Aquileia, ebbe luogo la prima battaglia con Odoacre.

Questi, che pur era capitano di valore, e si trovava alla testa di un esercito più numeroso, aveva preso anche una forte posizione. Ma dovette cedere dinanzi al primo impeto dei Goti, ed alla superiore capacità strategica del loro capo. Un'altra battaglia fu data sull'Adige, presso Verona, il 30 settembre 489, e sebbene anche questa fosse da Odoacre perduta, Teodorico dovette subire gravissime perdite, giacchè, invece di avanzare, si ritirò fino a Milano, per chiudersi poi in Pavia. Odoacre allora andò verso Roma, sperando di potere senza difficoltà entrare nella Città eterna, e stabilmente occuparla, il che gli sarebbe stato di grande aiuto, non solo morale, ma anche materiale, perchè gli avrebbe, nel continuare la guerra, assicurato alle spalle tutta l'Italia meridionale. Ma qui si cominciò invece a delineare assai chiara la difficoltà della posizione in cui si trovava. Roma gli chiuse le porte in faccia, e le popolazioni italiane gli si cominciarono a manifestare avversissime, in parte per la lotta da lui recentemente sostenuta con la Chiesa, in parte per le spoliazioni in numero sempre maggiore da lui fatte negli ultimi anni, sia pei cresciuti bisogni della guerra, sia per la poco regolare amministrazione. E di tutto ciò la Chiesa aveva saputo profittare, per eccitar contro di lui le moltitudini, tanto che poco dopo si parlò addirittura d'una generale cospirazione, di una specie di Vespro siciliano [143] organizzato contro di lui dal clero. Ma quel che è più, nelle sue file cominciò la diserzione, la quale sembra che pigliasse proporzioni grandi davvero, dopo che il suo Magister militum Tufa passò al nemico insieme con altri. Se non che Tufa, avuti da Teodorico alcuni Goti a suo comando, disertò nuovamente, per tornare con essi a Odoacre, al quale li consegnò, e dal quale furon subito fatti uccidere. Si potè quindi dubitare, che il primo tradimento fosse stata una finzione per poter compiere il secondo. Diserzioni vere e proprie ve ne furono però non poche, ed anche fra i soldati di Teodorico. Il fatto vero è che questi eserciti misti di varie genti barbariche, erano, come abbiamo detto più volte, quasi compagnie di ventura al servizio dell'Impero, senza patria e senza fede, guidate dall'interesse personale dei loro capi, spesso anche dei sotto-capi, che agivano per proprio conto.

Così le difficoltà divenivano da una parte e dall'altra sempre maggiori; ma non meno grandi furono gli sforzi fatti per superarle, sì che la guerra andò assai in lungo. Odoacre si mostrò degno di tener testa a Teodorico, che s'era dovuto chiudere a Pavia, dove la calca, nel suo primo entrare, era stata tale e tanta, che le sofferenze de' suoi furono davvero enormi. A soccorso della loro miseria venne il clero, alla cui testa si trovava il vescovo Epifanio, il quale si adoperò eroicamente a sollievo di tutti coloro che soffrivano, senza distinzione di partito o di origine, pagando di suo per liberare dalla schiavitù coloro che erano stati fatti prigionieri da una parte o dall'altra. Intanto Odoacre, messe di nuovo insieme le sue forze, entrò con esse in Milano, pronto ad affrontare il suo rivale. Se non che, altri barbari vennero a mescolarsi ora in questa [144] guerra, modificandone e confondendone di molto l'andamento. Scesero i Burgundi a difesa di Odoacre, ma in realtà più che altro a saccheggiare il paese per proprio conto. I Visigoti invece, mossi dalla comunanza di sangue, vennero a difesa di Teodorico, e pugnarono con lui nella battaglia, che fu data sull'Adda il dì 11 agosto 490. E qui la disfatta di Odoacre fu inevitabile. Aveva potuto con energia resistere a Teodorico, in cui favore erano l'autorità dell'Impero e della Chiesa, non che le popolazioni insorte; ma di fronte alla coalizione dei Visigoti e degli Ostrogoti, dovè cedere ritirandosi a Ravenna. Ivi sostenne valorosamente un assedio che durò tre anni, non potendo Teodorico stringere il blocco dalla parte del mare, e dovendo dalla parte di terra resistere a sanguinose sortite dalla città. Intanto questi poteva dirsi già padrone di tutta Italia, nella quale andava ogni giorno acquistando maggior favore, divenendo sempre più forte. Quasi da per tutto pareva che fossero cessati il rumore delle armi ed il grande spargimento di sangue: ubi primum respirare fas est a continuorum tempestate bellorum .

Presso Ravenna però la lotta continuava con gran vigore. Teodorico potè da ultimo bloccarla anche dal mare, quando, essendogli riuscito d'entrare in Rimini, gli fu possibile raccogliere un certo numero di navi. L'assediata città cominciò allora a soffrire crudelmente una fame, la quale, dice il cronista ravennate Agnello, uccise molti di coloro che il ferro aveva risparmiati. E finalmente, nel febbraio 493, quinto anno della guerra, terzo dell'assedio, Odoacre dovè cedere. Il 25 di quel mese egli consegnò suo figlio in ostaggio, ed il 27 l'accordo della resa era definitivamente concluso, per mezzo dell'arcivescovo di Ravenna. Altra prova anche questa della [145] straordinaria importanza assunta allora dal clero, e quindi dalla Chiesa in tutti gli affari di maggiore gravità.

I termini precisi dell'accordo non sono ben noti, e dettero perciò luogo a moltissime dispute. Certo è che Odoacre s'arrese, salva la vita, accepta fide, securus se esse de sanguine, come dice l'Anonimo Valesiano. Ma a questa condizione gli scrittori bizantini ne aggiungono un'altra assai singolare, secondo la quale il vinto avrebbe ottenuto di partecipare al governo insieme col vincitore, restando a capo anche d'una parte delle forze militari. Riesce in verità assai difficile capire come mai ciò potesse avvenire, tanto più che Teodorico era stato mandato da Zenone a sottomettere, a cacciare Odoacre. Ed ammessa pure la poco credibile esistenza d'un tale trattato, non è credibile che potesse essere stato concluso in buona fede da nessuna delle due parti, ed avesse potuto illudere qualcuno. Infatti il 5 marzo 493 Teodorico entrava solennemente in Ravenna, dove gli vennero incontro l'arcivescovo ed il clero recitando salmi. Il 15 dello stesso mese invitava a solenne banchetto Odoacre, il quale appena giunto venne aggredito da persone ivi nascoste; e poi lo stesso Teodorico sguainò la spada per ucciderlo colle proprie mani. — Dov'è Dio? — esclamò il decaduto principe. E l'altro, nel sentire che il fendente della sua forte spada scendeva, profondamente tagliando, senza quasi trovar resistenza, osservò con cinico e barbarico sorriso: — Si direbbe che non ha ossa. — I parenti e gli amici d'Odoacre subirono tutti, più o meno, la stessa sorte. Non mancò chi disse che Teodorico aveva scoperto, e perciò voluto vendicare insidie e tradimenti orditi da Odoacre contro di lui; ma ciò prova solo l'odio e la diffidenza reciproca, quindi la impossibilità di un vero accordo.

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