CAPITOLO VII

Sollevazione di Ravenna e delle città dell'Esarcato contro l'Impero — Filippico imperatore — Ribellione in Roma

Ma se grande fu in questo tempo il disordine nell'Italia longobarda, non minore era stato nell'Italia bizantina, a cagione soprattutto degli avvenimenti religiosi seguiti a Costantinopoli, e dei dissensi che in conseguenza di ciò sorsero fra il Papa e l'imperatore Giustiniano II (685-95 e 705-711). Questi tenne di suo arbitrio un Concilio (691), che dal luogo in cui s'adunò, una sala del palazzo imperiale, sotto una cupola (trullo), fu detto trullano o anche in trullo; altri lo chiamò quinisesto, perchè, ad evitare dispute con Roma, si pretendeva che non fosse un nuovo Concilio, ma solo un complemento del quinto e del sesto, essendosi occupato di sola disciplina e non di domma. Ma una tale convocazione era stata da parte dell'Imperatore un atto d'indipendenza religiosa, che il Papa non poteva certo tollerare. I nuovi canoni, se anche di sola disciplina, si allontanavano dalla disciplina di Roma; e perciò il nuovo Concilio fu dai cattolici chiamato erratico, e papa Sergio (687-701) non volle sottoscriverne [325] le deliberazioni. L'Imperatore fu di tutto ciò sdegnato per modo, che mandò il protospatario Zaccaria ad imprigionare il Papa. Ma le milizie di Ravenna e della Pentapoli corsero armate verso Roma a difenderlo; e l'esercito romano, che allora era già costituito, par che se ne stesse a guardare senza punto muoversi. I ribelli sopravvenuti furono perciò subito padroni della Città, ed il Protospatario, per salvare la propria vita, finì col nascondersi sotto il letto del Papa. Questi, fattogli coraggio, si presentò dal balcone al popolo, raccomandando la calma; ma la moltitudine non si mosse fino a che Zaccaria non fu ignominiosamente partito da Roma.

Tutto questo avveniva fra il 693 e 94, e Giustiniano II non ebbe modo di far di ciò le sue vendette, perchè era allora assai combattuto a Costantinopoli, dove non andò guari che una rivoluzione lo sbalzò per alcuni anni dal trono (696-705). Nè per questo cessava la lotta dei Bizantini con Roma. A papa Sergio era successo Giovanni VI (701-705), quando s'avanzò minaccioso il nuovo esarca Teofilatto; e, secondo la espressione del Libro pontificale, la Militia totius Italiae corse tumultuosamente a Roma, dove il Papa a fatica potette sedarla. Ma allora appunto una rivoluzione seguìta a Costantinopoli, rimetteva da capo sul trono Giustiniano II, il quale, di natura sua sanguinario e crudele, voleva adesso vendicarsi de' suoi nemici, non solo in Oriente, ma anche in Italia. Qui era stato eletto nuovo papa Costantino (708-15); e poco dopo si vide arrivare a Ravenna una flotta comandata dal patrizio Teodoro, la quale venne accolta come amica. Ma ad un tratto i principali nobili ed ecclesiastici furono fatti prigionieri e condotti in catene sulle navi; dopo di che i Bizantini scesero a terra in buon numero, [326] e posero a sacco ed a fuoco la città, facendo sommaria ed aspra punizione dei ribelli. Parecchi dei prigionieri che erano, come dicemmo, fra i più autorevoli cittadini, vennero per ordine di Giustiniano II messi a morte. Ed è ricordato fra gli altri un tal Giovanniccio, assai noto per gli alti uffici che aveva tenuti, per la profonda conoscenza della lingua e letteratura greca e latina. L'arcivescovo Felice di Ravenna fu, secondo l'uso bizantino, abbacinato, e poi mandato esule in Crimea. Così l'Imperatore si vendicò contro i ribelli, che avevano osato umiliare i suoi rappresentanti in Roma. Ed il Papa, che non era punto amico dell'Arcivescovo, perchè questi, al pari di molti de' suoi predecessori, era stato ed era sempre pronto a sostenere la propria indipendenza da Roma, lasciò fare all'Imperatore senza alcuna protesta da parte sua. Anzi, chiamato a Costantinopoli (710), v'andò, e raggiunto Giustiniano nell'Asia Minore, par che fra di loro si mettessero d'accordo; dopo di che, festeggiato in Oriente ed in Occidente, tornò a Roma il 24 ottobre 711.

Ma l'agitazione non s'era in questo mezzo punto calmata in Italia, anzi ogni giorno cresceva. I fatti di Ravenna avevano prodotto una grande irritazione nelle città bizantine, soprattutto dell'Esarcato. Agnello Ravennate, dopo aver descritto i giuochi atletici, le lotte sanguinose e la fierezza de' suoi concittadini, narra che l'Imperatore assetato ancora di vendetta, mandò colà nuovo esarca Giovanni Rizocopo. Questi, arrivato a Roma quando il Papa era già partito per l'Oriente, fece prendere e decapitare alcuni dignitari della Chiesa, e ciò fu causa di un'altra violenta ribellione nell'Esarcato, in conseguenza della quale, appena arrivato colà, il nuovo Esarca v'incontrò la morte. Il popolo era corso alle armi, eleggendosi a proprio capo Giorgio, il figlio di quel Giovanniccio che vedemmo trucidato dai Bizantini. Egli divise la cittadinanza [327] in dodici bandi o compagnie armate, una delle quali era composta del clero e de' suoi dipendenti, divisione che un secolo dopo durava tuttavia a Ravenna. Giorgio arringò le popolazioni con un linguaggio, che fa pensare a Cola di Rienzo. E con Ravenna allora insorsero contro l'Impero le città di Sarsina, Cervia, Cesena, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, Imola, Bologna, quasi tutto l'Esarcato. Questo è il primo esempio d'una confederazione di città italiane, che appariscono a un tratto come già aventi una propria personalità. È vero che il solo a parlarne è Agnello Ravennate, scrittore ampolloso che visse un secolo dopo, il quale non dà nessun altro particolare d'un fatto così importante, del quale perfino l'anno rimane incerto fra il 710 ed il 711. Ma noi abbiamo già visto in Paolo Diacono accenni alla importanza che andavano allora assumendo le città italiane, e abbiamo visto anche de' segni precursori di questa ribellione, che ben presto si ripeterà sotto altra forma.

Giustiniano II non potè pensare a nuove vendette, perchè una seconda rivoluzione, seguita a Costantinopoli, privò della vita lui ed il figlio, proclamando imperatore Filippico (711-13), il quale pareva che volesse conciliarsi col Papa. Egli rimandò a Ravenna l'Arcivescovo che era stato crudelmente abbacinato, e che, appena tornato, fece ora atto di sottomissione a Roma; mandò anche la testa di Giustiniano II, che tutti corsero a vedere con feroce avidità. Ciò non ostante, ben presto scoppiò da capo più viva che mai la discordia col Papa, perchè il nuovo Imperatore, che era monotelita, volle radunare i vescovi monoteliti, che dichiararono nulle le decisioni del sesto Concilio; il che sollevò subito una tempesta in Roma, dove fu sdegnosamente respinta una tale deliberazione. In [328] S. Pietro e nelle altre chiese venne proibito il ritratto dell'Imperatore eretico, ed il suo nome non fu pronunziato nella messa; il popolo ne respinse gli editti, nè volle dar corso alle monete d'oro colla sua immagine. Il Libro pontificale, narrando questa nuova ribellione, menziona per la prima volta il Ducatus Romanae Urbis; ricorda anche il suo Dux, e la parte presa dal Populus Romanus nei tumulti. Nobili, esercito e popolo si trovarono ora uniti contro l'Imperatore, che voleva sostituire un nuovo Duca, di nome Pietro, a quello designato dal suo predecessore. Ne nacquero violenti tumulti, perchè una parte del popolo faceva a ciò aperta opposizione. Il disordine era durato quasi un anno, quando il Papa si pose di mezzo per calmarlo; e gli riuscì facilmente, perchè allora appunto giungeva la notizia che l'Imperatore eretico era stato deposto ed accecato. Gli era successo (713) Atanasio II, il quale, fatta dichiarazione della sua fede ortodossa, mandò a Ravenna l'esarca Scolastico; ed i Romani accettarono il duca Pietro, dopo che esso ebbe giurato di rinunziare a far vendetta de' suoi oppositori. In Oriente seguirono ancora alcuni anni di gran disordine, fino a che il 25 marzo 717 venne eletto imperatore Leone III l'iconoclasta, col quale incomincia addirittura un nuovo periodo storico.

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