APPENDICE DI DOCUMENTI

DOCUMENTI

DOCUMENTO I.

(Pag. 243)

Lettera di Piero Alamanni a Piero de' Medici, nella quale si discorre della prossima venuta dei Francesi in Italia, e di ciò che a questo proposito diceva Lodovico il Moro. - 30 e 31 marzo 1494.

Magnifico Piero.... Stamani andai a Castello um poco innanzi agl'altri, et lexi la lectera tua de xxiiij al sig. Lodovico, presente il Chalcho, la quale S. E. stette a udire con grande attentione. Poi mi rispose: - Io non ho manco desiderio della amicitia vostra, come altre volte vi ho decto, che voi diciate desiderare la mia, per le ragioni altre volte narrate; et se io intendessi liberamente quello che desiderate, come etiam più volte vi ho decto, non mancherei dello offitio mio. Ma voi mi parlate pure di questa Italia, et io non la vidi mai in viso; et non sento che di noi altri si faccia pensiero, il che dà anchora a me confusione d'animo; et quando voi parlerete liberamente con me, et che vi lasciate intendere, sempre troverrete correspondentia. - Io li risposi: - Quanto al parlare delle cose d'Italia, mi parea che si potessi intendere e' beneficii nostri, benchè non si dicessi per expresso; a il lasciarsi intendere, che noi li haviamo parlato molto liberamente: prima, che desiderando la pace et quiete, la venuta de Franzesi per niente non ci piaceva, et più preghavamo la Excellentia Sua che, come l'havea dato principio a dare favore in Francia, che non havessimo a essere astretti a declaratione, seguitassi. Ma ci dava bene grandissima molestia d'animo havere veduto la Excellentia Sua dar principio a tante buone cose, et da poi in uno subito mutarsi come ha facto, non ci conoscendo maxime alcuna nuova cagione. -

La S. E. dixe, che poichè non era chi pensassi a' facti suoi, era necessario che vi pensassi lui, et se non basteranno i Franzesi, sarà necessitato aiutarsi et con Franzesi et con Tedeschi; et saltò a dire: - Questi regii hanno usato dire, che il re Alfonso si farà innanzi insino qua con la gente dell'arme; et che havea scripto una lettera che faceva intendere alla Maestà Sua, che, volendo muovere la gente d'arme, facessi pensiero di non passare le terre della Chiesa, perchè, quando volessi venire più avanti, li andrebbe all'opposito con tucte le sue forze, et rimanderebbeli la figliuola a casa. - Ad questo io risposi, che credevo che in questa proposta il Re farebbe pocha perdita, perchè si stima che, venendo e' Franzesi con le spalle di S. E., l'harebbe per nimica in ogni modo. - Replicò che non era obbligato a' Franzesi, se non a cinquecento huomini d'arme. - Io li subiunsi, che la E. S. havessi rispecto di non mettersi Franzesi in casa, perchè, quando fussi imbarcato, li bisognerebbe andare a 500 et a 1000, et a quella somma che paressi a loro. Et in su questo mi parve di toccarlo umpoco più avanti, et dixi: Signore, io vi voglio parlare liberamente come servitore, et ho caro ci sia presente messere Bartolommeo. Io vi affermo quello che altre volte vi ho decto, che della città nostra et di Piero in specie, la E. V. si può promettere come delle prime cose che abbi, andando con quelli termini che ragionevolmente si conviene alli amici. Dipoi le voglio ricordare amorevolmente, che consideri bene in che termine si truovano le cose; et havendo quella autorictà che ha di poterle posare, se è bene lasciarle schorrerle; perchè, quando pure si venissi all'arme in Italia, o per mezo di Franzesi o altrimenti, potrebbe accadere che non sarebbe poi in sua facultà poterle posare quando li paresse, et ch'io ero certo, per la sua prudentia, ne intendeva più di me. - Dixe: - A questa parte non voglio rispondere. Ma che vorresti voi da me? Domandatemi liberamente ciò che voi vorresti, et io vi responderò. - Dixi: - Che la E. V. mi chiarisca, che cagione l'ha facto fare tanta mutazione: acciò che noi possiamo remediarvi, se e' nascessi da noi. - Risposemi, la cagione essere che avendoci richiesto d'uno scripto per la sicurtà, etc., tu li havevi renduto solamente buone parole; et che, veduto non era havuto consideratione a' facti suoi, era constrecto pensarvi ut supra; accennando che non li basterebbe anche starne alla sicurtà vostra sola; che si vede volle ritornare a quello ti scripsi per l'ultime mie, che questi Signori non li erano venuti a particulare alcuno, etc. Et subiunse: - Et anche vi ricerchai per mio fratello della sicurtà delli Orsini, come sapete, che benchè io sia disposto di queste cose di Roma non me ne travagliare, pure tuttavolta non posso lasciare mio fratello. - Io domandai di nuovo: - Sono queste le cagioni che hanno facto mutare la E. V.? - Dixe: - Sì veramente. - Risposili, parermi che la E. S. havessi torto, concio sia che le lettere tue, dal mandare lo scripto infuora, parlavano in modo che gli haveva molto bene potuto comprehendere lo animo tuo buono; et intorno a questo m'ingegnai quanto potei farli intendere la tua buona disposizione, nientedimeno con parole di natura che non obligassino, et non togliessino speranza. Alla parte delli Orsini: che la S. E. medesimamente haveva inteso, che tucta la autorità che tu havevi con loro, la opereresti più volentieri per monsignore Ascanio, che non faresti pel Cardinale tuo. Et compresi che, o per le parole li haveva prima decte el Conte, aggiunte quelle gli havevo decte io, che furono più non ti scrivo per brevità, et delle brusche et delle dolci, o perchè così fussi disposto, che gl'era volto di cominciare a parlarmi liberamente, et per tornare in su quelli ragionamenti buoni che ti scripsi. Et sopragiugnendo li ambasciatori regii et venetiano, dixe: - Io voglio che ci riserbiamo a oggi a finire questo ragionamento. - E diemmi la posta alle xx hore.

Non voglio lasciare di dirti, che nel sopradecto discorso egli toccò pure qualche paroletta di quelle ha altra volta facto, se e' ti piaceva tanta grandezza del Re; et mostrando lui che 'l Papa se n'andava alla volta di Sua Maestà, subiunse, che, non li bisognando più le gente d'arme di questo Stato, le richiamerebbe, con dire che un altro li farebbe forse un Concilio adosso come potrebbe lui; ma che essendo in quella sede per loro, et havendolo beneficato (come hanno), non si potevono sì presto ridire, et che se la Santità Sua non farà verso di loro quello che è conveniente, non sarà per questo che li vogli fare altro che bene.

Desinando, arrivò la tua de' xxviij con li advisi da Roma de' 26. Andai a Castello alle xx hore, secondo l'ordine datomi; trovai el signore Lodovico essendo con tucti e' consiglieri, che erono gran numero; et per quanto ritrahessi da uno amico, erono in sull'accordo di Roma, che ne haveva lettere di là, de xxiij, che gliene davono qualche fiuto, ma non particolarmente, come intesi poi per la tua. Stette poco et licenziolli, et fecemi chiamare, et trova' lo assai di buona cera. Quando li lexi le particolarità dello achordo, si vide manifestamente et mutarsi et risentirsi, et poi mi disse: - Ambasciatore, havetemi voi a dire altro? - Risposi, che ero venuto per finire quello ragionamento, come eravamo rimasti stamani. Dixemi, che era in sulla medesima sententia di stamane, ciò è che s'era mutato per le cagioni predecte. Quanto alle cose di Ascanio, ciò è delli Orsini, etc., non ne dixe parola; ma che bene era xv o xx dì, che haveva scripto ad Ascanio, che e' farebbe bene a venirsene di qua sotto ombra di venire ad visitarlo, che riscontra che Ascanio si partirà di Roma. Entramo dipoi nelle cose nostre di Francia, et promise più liberamente che havessi ancora facto mai, di aiutarci sanza exceptione alchuna, et che non era per fare a voi in queste occorrentie mercantìa, sì come non vorrebbe che voi pensassi di volerla fare seco.... Mi tochò quest'altra corda: che non li mancherà riconoscere el re Alfonso per cognato, et il Duca di Calabria per nipote, et che dalla sera alla mattina lo potrebbe fare.... Et vedesi manifestamente che lo adviso da Roma li ha entorbidato in modo el cervello, che e' restò tucto confuso e con grandissima suspensione, che mi persuado fussi cagione che non seguitassi el ragionamento. Sarò domattina con la E. S., et farò quel bene che potrò, et di tucto ti darò adviso. Et io non mi sono molto curato che la sia ita per hoggi così, perchè non ho giudicato fuora di proposito lasciarlo stare in questa concia, tanto che habbi resposta da te come mi habbi a governare....

Come io ti ho tocho di sopra, costui si vede in tanta confusione di animo, quanta io non credo che fussi mai alla vita sua; et per bene che vedessi che il Papa era per accordarsi col Re, non stimò però mai che l'accordo venissi con tanta securtà et reputatione del Re quanto ha facto. Nè harebbe creduto che el Re si fusse lasciato andare a sì gran partito col Papa, ciò è di dare Stati et sì gran provisioni al figliuolo; et èccisi aggiunta la venuta subita del Vincula a Roma, che interamente li ha tocho il cuore, et parli, quello che è il vero, che ci sia andato assai della reputatione sua. Et per la sua natura fumosa, et per havere parlato in sua gloria quanto ha facto a questi tempi, questa bastonata è stata molto maggiore, e più li è doluta. Et perchè tu intenda, qua, in fra e' suoi medesimi, ci ha tanto perso, che non te lo potrei mai dire, benchè ci sieno molti che ne fanno fuoco ne l'orcio. Et in effecto costui è tristo come una starna, et non credo sia cosa alcuna, et fussi di che natura si vuole, vedendo fussi a suo proposito, che e' non tentasse, che è pure da haverci qualche consideratione. Et parmi ancora essere certo che buona parte del grado tocchi a noi; et quando voi fussi in proposito di costà di non lasciare andare le cose a totale disperatione, et di mantenervi costui, non so se sia da lasciare transcorrere più in là, perchè, secondo el mio poco iuditio, egli è in luogo che potrà molto bene conoscere, che quello che si facessi procederebbe da altro che da paura et da minaccia, ma da buona natura d'altri. Se noi giriamo tucta la buxula, si vedrà che costui è necessitato o rimettersi nelli Ultramontani, et séguiti quello che vuole, o reconciliarsi col Re nel modo che potrà, et temporeggiare quanto potrà (et el Re per la natura sua et per posarsi, la doverìa fare), o tentare qualch'altra via scandalosa, o veramente rassettarsi et ritornare in fede et amicitia con voi, il che io credo senza dubio nessuno, quando non havessi vergognosamente a mendicare, che sarebbe volto a farlo, et sommamente lo desideri. Io col mio poco iuditio sono nella sententia medesima che ti scripsi nell'altra, et crederrei quello si aprovassi essere bene da farlo presto, in uno tempo a farlo in un altro sarebbe grande differentia nell'averne o più o manco grado. Voi siate prudenti, et in tutto vi resolverete bene, et super omnia è necessario che spesso spesso mi advisiate delle deliberationi vostre, a fine che io possa di mano in mano accordarmi con quelle; chè vedi a che termini strecti ci riduciamo.

Non lascerò di dirti che el signor Lodovico considerò molto bene tucti quelli capi dello accordo, ad uno ad uno, più d'una volta; et in su quella parola che dice, il Papa s'obliga difendere il Re contra Franciosi et quoscumque alios, si fermò et replicò più volte quello quoscumque alios, et mostrò considerarlo molto bene.

Tenuta a stamani a dì 31, che hiersera tornai tardi da Castello....

Postcripta. Deliberai, poi che tanto era soprastato il cavallaro, di tenerla tanto che parlassi col sig. Lodovico. Et dixemi havere advisi di Francia, che le cose procedono nel modo che advisano li ambasciatori nostri, con quella caldezza, et che il Re insiste in voler venire in persona. Dipoi mi dice, che Monsignore di Obignì era partito, et con lui Perone di Baccie, et già erano cominciate ad adviarsi le genti d'arme, che sarebbono insino in cccto lancie....

Di sopra ti dico, che il sig. Lodovico mi aveva toccho di reconciliarsi col Re, etc.; stamani ha decto a messere Ferrante, che in ogni modo vuole aconciare le cose della Maestà del Re, et che li farà un servitio el più relevato che si sia facto gran tempo fa a huomo in Italia. Ulterius li vuole dire un secreto con iuramento di grandissima importantia, con promissione che la Maestà del Re non li faccia risposta se non di sua mano o di mano del Duca di Calabria, perchè non vuole che cancelliere nessuno l'habbi ad intendere. Questa è la substantia di molte buone parole et liberalissime offerte ha facto stamani a costoro, che sono molte più che insino ad hora habbi mai facto: tucto non replico per non essere sì lungo....

Servitor devotus Petrus Alamanni.

DOCUMENTO II.

(Pag. 263)

Lettera di Alessandro Bracci, ambasciatore fiorentino in Roma, ai Dieci, relativa all'uccisione del Duca di Gandia. - 17 giugno 1497.

Magnifici Domini mei observandissimi. Hieri diedi notitia alle S. V. del miserando caso del Duca di Candia, el quale fu sepellito a ore 24 in Santa Maria del Popolo, et andò scoperto in sulla bara, con non molta cerimonia di pompa funebre, et fu acchompagnato solamente dalli oratori della Legha, excepto il Venitiano, et dalla famiglia sua et del Papa, la cui Santità non resta di affliggersi, et non dà anchora audentia a persona. Et per li ministri suoi di iustitia, et per tucti li modi possibili di coniecture, di inditii et d'altro non si attende se non a ricercare et investigare li auctori del male, nè per anchora truovono cosa di fondamento: et se bene hanno varie opinioni, non le riscontrano poi. El Ghovernatore et così el Bargello sono entrati in più case, non solum dove il Duca havea qualche consuetudine manifesta, ma anchora occulta, non senza nota di qualche persona da bene, con examinare famigli et fantesche, intra li quali è suto il conte Antonio Maria Dalla Mirandola, per havere una figliuola molto formosa, ma di buonissima fama: et questo perchè è certissimo che el Duca fu morto non molto dischosto dalla casa sua, la quale è poco lontana da luogho donde il Duca fu buttato in fiume. Et è comune opinione, che chi ha voluto condurre alla rete il povero signore, li habbi gittato innanzi questo logoro, et datoli ad intendere che l'ordine fusse dato per quella sera, perchè colui che li parlò stravestito, et che li montò in groppa, li ha parlato altra volta in simile habito, et sempre di nocte per monstrarli bene el secreto. Et stimasi che lo habbi pasciuto con vana speranza d'una simile impresa, tanto che chi lo voleva giugnere al bocchone, havessi l'esca bene preparata. Et certamente chi ha governata la cosa ha havuto cervello et buono coraggio, et in ogni modo si crede sia stato gran maestro. La Santità del Papa è immodo accesa alla vendecta, per quanto si può intendere, che non è per lassare alcuno pensiero indietro, per ritrovare li malfactori, et per valersi della iniuria, la quale non li poteva essere facta nè più intollerabile nè maggiore, per le circumstantie che la aggravono....

Et io mi rachomando humilmente alle S. V.

Rome, xvij iunii 1497.

Servitor Ser Alexander Braccius.

DOCUMENTO III.

(Pag. 299)

Traduzione assai libera, fatta dal Machiavelli, d'un brano dell'Historia persecutionis vandalicae di Vittore Vitense.

Libro delle persecutione d'Africa per Henrico re dei Vandali, l'anno di Cristo 500, et composto per San Victore vescovo d'Utica. - Già sono sexanta anni da questo tempo, che quello crudele popolo de' Vandali entrò ne' confini d'Affrica, passando per lo stretto del mare, quale è intra l'Africa et la Spagna. Venendo adunque questa generatione di huomini, che erano fra piccoli et grandi, giovani et vecchi, più che octocento mila, secondo che loro medesimi affermavano, acciò che li huomini sbigottiti da tale numero pensassino meno a difendersi; et trovando l'Affrica pacifica et quieta, piena di richeze et d'ogni bene abbundante, non mancorno di alcuna ragione d'iniuria, così contro alli huomini come contro al paese, perchè questo arsono et ruinorno dovunche passavano, et li huomini rubavano, ammazavano, pigliavano ad prigioni, et li facevono morire in carcere, con ogni ragione suplitio. Nè perdonò la loro crudeltà alli arbori et ad le piante, et, che è peggio, non lasciorno indreto le chiese, nè le sepulture de' sancti, che tucte le arsono et disfeciono. Nè valeva ad li huomini nascondere loro et loro cose per le valli o selve o caverne, perchè in ogni loco erano ritrovati, et dipoi rubati et morti, et con maggiori odii et maggiori persecutioni guastavano e' templi di Dio che le case de' privati, et trovandole serrate, con le scure le assaltavono, come si fa le querce ne' boschi, acciò che si potesse dire quel verso della Scriptura: Quasi in silva lignorum, securibus conscinderunt ianuas eius; in securi et ascia deiecerunt eam, incenderunt igni sanctuarium tuum.

Quanti preclari vescovi et prelati et nobili sacerdoti furono morti con diversa ragione di suplicio, acciò che palesassino s'egli havevono o oro o ariento apresso di loro. Et non bastava che dessino loro quello ch'egli havevono, perchè semple (sic) estimando che ne potessino dare più, quanta maggior somma ne davono, tanto più li tormentavano, mettendo ad alcuno del fango puzolente giù per la gola, ad alcuni facevono bere acqua di mare, ad alcuni aceto, ad alcuno altro sterco o feccia di vino, o qualunque altra cosa liquida et puzolente, et di quelle li riempievono come otri, senza havere di loro alcuna misericordia: nè perdonavano anchora alle donne o alle fanciulle. Quivi non era consideratione di nobiltà nè di doctrina, non reverentia di sacerdotio; ma queste cose facevano li animi loro più efferati; et dove era più nobiltà et più grado, quivi si vedeva il loro furore più esercitarsi. Quanti sacerdoti egregii, quanti huomini inllustri (sic) si vedevono con pesi adosso, ad uso di cammegli et d'asini, e' quali erano da loro con certi pungenti, come e' buoi, punzechiati, ad ciò ch'eglino accelerassino el passo, de' quali molti socto la graveza di detti pesi morivano. Non gli moveva ad misericordia la vechiaia, non la pueritia; et infiniti fanciulli erano da' pecti delle madri divelti o mandati in captività, o presi per li piedi et bactuti in el conspecto delle madri in terra, o veramente presi per le gambe, et divisi infino al capo in due parti. Et potevasi in ogni loco dire questo verso: Dixit inimicus incendere se fines meos, interficere infantes meos, et parvulos meos se elisurum ad terram.

Quelli edifitii che per lo splendore et grandeza loro non potevono essere offesi dal fuoco, li distruggevono con la ruina, in modo che l'antiqua belleza di molte città non apparisce niente come la era già; et molte terre o da nessuno o da pochi sono habitate, et in Cartagine si vede come e' teatri, le chiese, la via che si chiamava celeste, et molti altri belli edifitii essere ruinati. Oltra di questo, molte chiese che non destruxono, come la basilica dove sono e' corpi di Sancta Perpetua et di Sancta Felicita, li accomodorno ad templi della loro religione; et dove e' trovavano qualche ròcca o sito forte che loro non potessino expugnare, e' vi ammazavono intorno di molti huomini, et conducevonvi di molti huomini morti, acciò che quelli di drento fussin constrecti per il puzo o morire o arrendersi.

Quanti sancti sacerdoti fussino da costoro cruciati et morti non si potrebbe explicare, infra e' quali el venerabile Pampinia (sic), vescovo della nostra città, con lame di ferro ardenti fu tucto dibruciato, et similmente Mansueto fu arso in su la porta decta Fornitana. Et in quel medesimo tempo la città di Ippona era assediata, della quale era vescovo sancto Agostino, huomo degno di ogni laude, perchè el fiume della sua eloquentia correva per tucti e' campi della Chiesa; ma in quel tempo adverso si veniva ad sechare, et la dolceza del suo parlare era convertita in amaro absentio, et verificavasi quel detto di Davit: Dum consisteret peccator adversum me, obmutui. Infino a quel tempo lui haveva scripto dugento trentadue libri, oltre alle innumerabili Epistole ch'egli haveva facte, insieme con la expositione di tucto el Saltero et de' Vangelii, le quali sono decte ordinariamente Omelìe; el numero delle quali non si potrebbe appena comprendere.

Che bisogna dire tante cose? Dopo molte crudeli impietà, Gisserico expugnò et obtenue la bella et grande città di Cartagine, et quella antiqua, ingenua et nobile libertà riduxe in servitù, perchè fece servi tucti e' Senatori d'essa, et propose uno decreto, che ciascuno dovessi portagli tucto l'oro, pietre pretiose et vestimenti richi ch'egli havessi: et così in breve tempo li huomini si privorno delle robe che 'l padre et l'avolo havieno loro lasciate; perchè e' divise infra sua soldati tucte le provincie, riservandosi ad sè le principali, anchora che Valentiniano imperadore ne difendessi alcuna, le quali poi furno medesimamente occupate da Gisserico dopo la sua morte. Nel quale tempo egli occupò tucta l'Affrica insieme con l'isole che sono tra quella et l'Italia, come la Sicilia, la Sardigna, Maiorca et Minorica, le quali occupò et difese con la sua consueta superbia; nondimanco poi la Sicilia a Clodoacro re d'Italia, con reservo di certo tributo. Facta che Gisserico hebbe questa distributione, comandò ad tucti e' Vandali, che cacciassino tucti e' vescovi e tucti e' nobili de' luoghi et terre loro, il che fu facto in dimolti lati: et noi conoscemo et vedemo essere servi de' Vandali molti nobili vescovi et honorati et clarissimi huomini.

In quel medesimo tempo el vescovo della detta cictà di Cartagine, chiamato Quodvultdeus, insieme con una gran turba di cherici furono spogliati et posti sopra certi navilii, et cacciati d'Affrica, e' quali per miseratione di Dio si conduxono ad Napoli in Italia, e' quali, cacciati di facto, la chiesa loro nominata Restituta, nella quale sempre facevono residenza e' vescovi, la consacrò alla sua religione. Et tucte l'altre chiese, così drento alla città come fuori, spogliò, et in particulare due grandi et belle chiese, di San Cipriano martire, l'una, dove lui sparse el sangue, l'altra dove fu sepolto, el quale luogo si chiama Mappalia. Chi potrebbe sanza lacrime ricordarsi, come questo crudele tiranno comandava, ch'e' corpi de' nostri sancti, sanza solennità di salmi o altre cerimonie ecclesiastiche, fussino sepelliti?

Et mentre che queste cose si facevano, quelli sacerdoti delle decte provincie che lui haveva divise, e' quali ancora non erano iti in exilio, deliberorno d'andare ad trovare il Re, et suplicare che dovessi havere compassione di loro. Et così, sendo tucti convenuti, andorno ad Re, che era questo al lito Maxilitano, suplicandolo che per consolare el popolo di Dio, e' dovessi essere loro dato solamente facilità di potere habitare in Affrica, et mendicare la vita loro. A' quali dixe el Re: - Io ho deliberato del nome et generatione vostra non ne lasciare alcuno, et voi havete ardire di domandarmi gratia? - Et voleva farli in quel medesimo punto gittarli tucti in mare, se non fussi suto da' suoi baroni lungamente pregato, che non volessi fare questo male. Fattisi loro maninconosi et afflicti, cominciorno, come potevano et dove potevano, administrare e' divini misterii.

DOCUMENTO IV.

(Pag. 300)

Lettera che non ha firma, nè indirizzo, nè data; trascritta dal Machiavelli, ma non sua; accenna ad affari di famiglia.

Carissime frater. Sabato fece 8 dì, ti scripse, dandoti notizia come e' ci pareva da pensare di far San Piero in Mercato litigioso, come hanto da messer Baldassarre per simonìa, perchè 'l piovano vechio non volle mai cedere alla renuntia, se non haveva cento ducati da Pèro, et di questo ce ne è tanti testimoni et sì autentici et sì disposti al provare, che se questa cosa si dà in accomandita ad chi voglia la golpe, el priore ci ha una speranza grandissima, et crede che sia costì chi ci attenderà. Messesi innanzi messer P°. Accolti o el Cardinal di San Piero in Vincula o messer Ferrando Puccietti.

Ad me pare che tu ti ingegni di tòrre huomo che non solum sia atto ad favorire la causa, ma anchora ad spendere di suo, et che dal canto nostro non corra spesa; et più tosto convenire collui grassamente, purchè e' titoli una volta rimanghino: dell'altre cose.... mettile ad tuo modo, perchè la spesa si lievi da dosso ad noi, et che altri.... colli favori et con la industria et con danari. Dal canto nostro puoi offerire la simonìa certa, la contenteza de' 2/3 de' padroni, la possessione facile, le pruove della simonìa vera et autenticha, le quali son tucte cose da farci correre un di cotesti cortigiani, che non sogliono attendere ad altro che ad simile imprese, quando e' ne possono havere. Et tu sai che per la soddomia, che è causa più ingiusta, sono molti che hanno e' benifitii litigiosi, et assai li hanno perduti. È costì messer Giovanni delli Albizi, che è huomo d'animo: penserai se ad questo tu potessi valertene in cosa alcuna. Nicholò nostro ci farà tucti quelli favori che saranno possibili, et parli mill'anni vedere el fummo di questo fuoco. Le altre letere si mandorno per la via dello 'mbasciatore, et harai ricevuto la cifera, con la quale hora ti scrivo. Di nuovo ti ricordo el mettere in questa impresa huomo che spenda et habbi favori da sè. Vale.

DOCUMENTO V.

(Pag. 305)

Lettera del professore Enea Piccolomini intorno a due scritti del professore Triantafillis, nei quali si sostiene che N. Machiavelli conosceva la lingua greca.

Pregiatissimo sig. Professore,

Fino da quando Ella mi fece conoscere lo scritto del professor Triantafillis intitolato: Niccolò Machiavelli e gli scrittori greci (Venezia, 1875), nel quale è provato con tutta evidenza che il Segretario fiorentino si valse di Polibio nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, della Orazione d'Isocrate a Nicocle nella dedica del Principe, e dell'opuscolo di Plutarco Del non adirarsi nel Dialogo Dell'ira e dei modi di curarla; mentre mi parve importante che per siffatte indagini fosse posta in chiaro la cognizione e l'uso che il Machiavelli ebbe della materia trattata dagli scrittori greci, non seppi liberarmi da un certo sentimento di meraviglia, accorgendomi come il prof. Triantafillis ne inferiva che esso avesse attinto direttamente ai testi greci, e che per conseguenza ben conoscesse la lingua greca. A chiunque ponga mente alle condizioni degli studî classici in Italia nei secoli XV e XVI, non può sfuggire che fu principale opera degli ellenisti italiani di quel tempo di propagare per mezzo di traduzioni latine i monumenti della letteratura greca; come ancora, che una gran parte di quelle versioni che allora andavano manoscritte per le mani di molti, o non fu mai stampata e rimase obliata nelle biblioteche, o andò perduta dal momento che si spense in Italia il fervore per gli studî classici. Conseguentemente, le prove addotte dal prof. Triantafillis, che cioè i frammenti del VI libro di Polibio non fossero tradotti in latino prima del 1557, nè l'opuscolo di Plutarco prima del 1525, non essendo appoggiate ad altra autorità che a quella del Lexicon Bibliographicum dell'Hoffmann, mi parvero affatto prive di valore rispetto all'asserto, per il quale l'autore se ne serviva. Questa convinzione che io mi era formata a priori, trovò piena conferma appena ebbi agio di far qualche ricerca nelle biblioteche fiorentine.

Rispetto dunque al Polibio, posso affermare che anche i frammenti del libro VI erano tradotti in latino fino dal principio del secolo XVI; essendosi occupato della versione del brano sulla milizia dei Romani Giovanni Lascaris, come attestano Filippo Strozzi e Bartolomeo Cavalcanti, che poco appresso volgarizzarono quel medesimo brano; e leggendosi anc'oggi nel Cod. Laur. 40 del Plut. 89 inf. una traduzione latina di Francesco Zefi del frammento sulle forme degli Stati. Alcune notizie intorno allo Zefi sono date dal Bandini, Catalogo dei Mss. latini della Laurenziana, vol. III, pag. 401, nota.

Egualmente una traduzione latina antichissima dell'opuscolo di Plutarco, corretta e raffazzonata nello stile da Coluccio Salutati, si trova nel Cod. 125 della biblioteca del Convento di Santo Spirito, ora Laurenziano. Nel Cod. 40 tra quelli provenienti dal Convento di Ognissanti questa versione è attribuita senz'altro al Salutati.

Del discorso di Isocrate a Nicocle non ho trovato una versione più antica di quella che da Giovanni Brevio fu intitolata al duca Alessandro de' Medici, e che si trova nel Cod. 67 Mediceo-Palatino, oggi Laurenziano.

Una seconda pubblicazione del prof. Triantafillis (Sulla vita di Castruccio Castracani descritta da Niccolò Machiavelli: Venezia, 1875) è intesa a provare come il Machiavelli si valesse eziandio di Diodoro Siculo e di Diogene Laerzio.

Quanto alle Vite di Diogene Laerzio, è ben noto che Ambrogio Traversari le tradusse in latino. Le biblioteche di Firenze hanno esemplari manoscritti a dovizia di questa traduzione, che del resto fu messa a stampa già nella fine del secolo XV.

Dei libri XIX e XX delle Storie di Diodoro, che contengono la narrazione verace dei fatti di Agatocle, sopra la quale dimostrò il Triantafillis essere stata composta dal Machiavelli quella favolosa dei fatti di Castruccio, una versione latina che potesse essere adoperata dal Machiavelli non mi è nota. Poggio Bracciolini non voltò in latino che i primi cinque libri di Diodoro. Un'altra versione di anonimo dedicata a Pio II (non già fatta da lui, come erroneamente fu creduto da alcuni, perchè egli stesso si lagna nelle epistole di non sapere di greco) si trova nel Cod. Laur. 10 del Plut. 67; ma non va oltre il libro XIV. Nondimeno questa versione inedita e poco conosciuta basterebbe a provare che siffatte ricerche, se non condurrebbero ad un risultato definitivo quando pur comprendessero le collezioni dei manoscritti (niuna delle quali è pervenuta sino a noi nella sua integrità), riescono poi affatto illusorie quando non si estendano oltre le cose messe a stampa.

Certo è pertanto che al tempo del Machiavelli erano già voltati in latino i frammenti del VI libro di Polibio, le Vite di Diogene Laerzio e l'opuscolo di Plutarco: nè è inverosimile che a quel tempo già esistessero traduzioni del discorso d'Isocrate e dei due libri di Diodoro. Non è dunque da escludere la possibilità che il Machiavelli attingesse alle traduzioni latine anzichè ai testi greci, restando però intatta la questione se e quanto egli sapesse di greco; per risolvere la quale non mi sembra che abbiamo dati sufficenti. Positivo e pratico parve a me di ricercare, mettendo a confronto i luoghi del Machiavelli dal Triantafillis indicati, con il testo greco e con le antiche versioni latine, se egli si valse di quello o di queste. E tralasciato il confronto del dialogo, sull'autenticità del quale cade qualche dubbio, presi infatti ad esaminare quelli tra i detti memorabili della vita di Castruccio, che sono foggiati sopra gli apoftegmi da Diogene Laerzio attribuiti al filosofo Aristippo, e il frammento di Polibio, del quale il Machiavelli fece suo pro nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Sennonchè nè rispetto al Diogene Laerzio, nè rispetto al Polibio, mi fu dato di giungere ad un risultato per me soddisfacente, cioè sicuro e definitivo. Nè ciò è da far meraviglia se si considera che il Machiavelli, piuttosto che tradurre, imita liberamente i due scrittori greci, di rado gli segue da vicino; mentre le interpretazioni del Traversari e dello Zefi sono così letterali, che difficilissimo è decidere se l'imitatore attinse, come io suppongo, sia da quelle sia da altre versioni latine, oppure dal testo greco, come crede il professor Triantafillis.

Mi creda con distinto ossequio.

Pisa, 11 novembre 1876.

Suo devotissimo

E. Piccolomini.

DOCUMENTO VI.

(Pag. 325)

Lettere di Biagio Buonaccorsi a Niccolò Machiavelli in Forlì. - Luglio 1499.

1

Chiarissimo Niccolò. Benchè dopo la partita vostra di qui non sia accaduto cosa di molto momento, nè che io reputi degnia di vostra notitia, tamen non voglio obmectere darvi notitia come le cose vadino circa la impresa nostra di Pisa, le quali sono cominciate immodo ad riscaldare, che indubitatamente si può dire habbino ad havere quello fine che merita una impresa tanto iusta quanta è questa; perchè, come sapete, Giovanni di Dino tornò di campo, il quale era ito per intendere a punto l'animo et intentione di quelli Signori, dove si risolveranno, et circa il danaio volevono loro, et la somma de' fanti et il numero delle artiglierie et altre cose necessarie a simile expeditione; et tornò al tucto instructo et benissimo resoluto, et le cose chiese per parte del Capitano et Governatore sono state tucte approbate, perchè in vero sono state tanto giuste et tanto honeste, che ciascuno ne è rimaso contentissimo. Et perchè intendiate ad punto la somma del danaio, vogliono fra amendua di presente, cioè innanzi alla expugniatione di Pisa, e' ducati dodicimila di grossi, il che sapete quanto è stato fuora della intentione di omni uno, che si stimava molto maggiore somma. Hora la principale cosa era questa, la quale è ferma, le altre cose sono ordinarie; et di già si è incominciato ad fare li fanti, et mectere ad ordine tucte le altre cose necessarie, le quali il signore Capitano vuole che omnino sieno in campo a dì 28 del presente, che vuole il primo dì d'agosto senza manco accamparsi; et se al dì disegniato de 28 dì, non saranno le cose ad ordine, che possa uscire ad campo il dì dallui disegniato, dice non si moverà poi, se non a dì 13 di agosto: sì che qui con omni sollicitudine si attende sieno expedite il sopradecto dì 28, etc., le quali io stimo certamente saranno, in modo si sollicitano, che a Dio piaccia.

Qui ci è di nuovo come il Duca di Milano ha richiamato da Roma Monsignore Ascanio che vadia ad stare in Milano, perchè lui vuole cavalcare a' confini, et in persona trovarsi in campo. Et benchè noi non habbiamo più lettere di Francia, per esserci intercepte, etc., tamen per le private si intende il Re a dì X di questo essere arrivato a Lione, et con pompa grandissima: et il transferirsi la persona del Duca in campo è segnio che la cosa riscalda troppo, come etiam è da credere.

Da Roma ci è come lo agente del Re Federigo residente quivi, dicendo al Papa, che bisognava che Sua Santità pensassi ad rimediare alli disordini di Italia, etc., li espose, lo haveva facto et farebbe; et decto agente replicò che bisognava uscire de' generali, et che il suo Re non voleva essere giunto al sonno, et che pareva che Sua Santità più tosto cercassi la ruina d'Italia che la salute di quella, con altre parole più ingiuriose. Lui respose reprehendendolo della poca reverentia che elli usava a Sua Santità, et più oltre che il Re passerebbe in Italia, in modo sarebbe per opporsi et al Turco et a omni altro, et expugniare Milano, etc.

Da Vinegia non ci è altro: accadendo, ve ne farò parte, etc.

Scrivendo, sono comparse lettere di là, et in effecto del Turco non si intende altro, se non grande scorrerìe et prede, per non essere anchora giunta l'armata, la quale dicono è cosa grandissima, etc.

Io vi conforto ad tornare più presto potete, che lo stare costì non fa per voi, et qui è uno trabocho di faccende tanto grande, quanto fussi mai.

Tra lo havere ad scrivere fugiasco, et essere impedito quanto è possibile, non posso fare mio debito, et altro non mi accade, se non recomandarmivi, et di nuovo dirvi come le cose di Pisa si sollicitano quanto più è possibile, ad ciò sieno ad ordine a dì 28, etc. Bene valete.

Ex Palatio, die xviiij iulii MCCCCLXXXXVIIII.

Servitor Blasius.

Al suo honorando Niccolò Machiavelli, Dominationis Florentinae Secretario dignissimo.

Forlivii.

2

Che io non sia adirato, et che sempre mantenga la fede mia, ve ne faranno buona testimonianza li advisi et de' Turchi et Franzesi, li quali saranno inclusi nella publica; chè, benchè sia stato un poco dificile, pure mi parse meglio farlo per via publica che privata, benchè anchora io private vi advisi di qualche cosetta, et così mi sforzerò, Niccolò mio, di fare mentre sarete costì. Ma vi fo fede che se qui fu mai faccende, hora trabochano; sì che, se non fussino scripte le mia lettere come si richiederebbe, harete patientia, et voi con la industria et ingegno vostro ne caverete più constructo vi fia possibile; et quando harò punto di tempo, più vi scriverrò, et più ad pieno et più distincto, benchè io non credo habbiate ad soprastare costì molto tempo, che qui è nicistà de' casi vostri.

Et quanto al fuggirmi et venire costà, se havessi voluto fussi venuto, non bisogniava mi indugiassi ad hora, chè farei fare uno viso a ser Antonio della Valle, che parrebbe non havessi ritenuto l'argomento; che se farete a mio modo, recherete assai acqua rosa per rinvenirlo, che qui non si sente altri che lui; et di già ci ha facto lavare il capo a' nostri Magnifici Padroni, et da maledecto senno: che li venga il cacasangue nel forame! Pure la cosa è qui, et quattro fregagioni hanno assettato omni cosa. In effecto tucti vi desideriamo, et sopra omni altro il vostro Biagio, il quale a omni hora vi ha in bocha, et parli omni hora un anno, come non pareva a voi quando lui era fuori, il che credo habbia ad essere il riscontro di quelli stratiò lui, etc.

Io non dubito punto che la Ex.tia di Madonna vi faccia quello honore, et vi vegga lietamente, come ne scrivete, maxime per più respecti, li quali al presente non replicherò per non essere tedioso, chè presto vi verrei ad noia.

A mio iudicio voi havete exequito insino a hora con grande vostro honore la commissione iniunctavi, di che io ho preso piacere grandissimo, et di continuo piglio; ad ciò si vegga ci è altri anchora, che benchè non sia così pratico, non è inferiore a ser Antonio, etc., che gonfiava così; sì che seguitate, chè insino ad hora ci havete facto grande onore.

Io vorrei per il primo, mi mandassi in su uno foglio ritracta la testa di Madonna, che costì se ne fa pure assai; et se la mandate, fatene uno ruotolo ad ciò le pieghe non la guastino. Et altro al presente non mi occorre, se non recomandarmi et offerirmi a voi, etc. Bene valete.

Ex Palatio, die xviiij iulii MCCCCLXXXXVIIII.

Servitor Blasius Bona: Cancel.

Al suo honorando Niccolò Machiavelli, Dominationis Florentinae dignissimo Secretario.

Forlivii.

3

Spectabilis vir et honorande patrone, etc. Per le mani di messer Marcello mi fu presentata una vostra, la quale mi fu nel numero delle altre cose vostre oltre ad modo grata, come di quello che io amo sopra tucti li altri di, etc. Et perchè intendiate in che modo ci fu lavato il capo da' nostri padroni, ad ciò siate anchora advisato de' casi della Cancelleria, brevibus accipite. Ser Antonio, come sapete, è in omni minima cosa impedito, et non ci sendo noi la mattina così ad buona hora, et la sera non stando insino alle 3 hore, ne fe' querela grandissima; donde la mattina, chiamati al conspecto de' Signori, fumo pure honestamente admoniti, etc. A che fu resposto prima per lo Alphano, dipoi per il grande ser Raphaello, tanto bestialmente quanto fussi possibile, benchè fussi lasciato dire ad suo modo. Et prima dixe, che Loro Signorie havevono preposto a quello officio uno che haveva poco obligo con la natura, et che non sapeva dove si era, et che quando fussi conmesso a lui farebbe cose grande, maggiore di lui; et così molte altre cose et parole più iniuriose, etc., immodo che lo essere prosumptuoso li è giovato, che a omni hora è chiamato da' padroni, etc. Et io sono et da Marcello et da omniuno sbattuto, et stomi continue ad pregare et sollicitare che ne vegniate, chè ce n'è di bisognio; et tandem io ho voluto giucare il resto con lo amico, et dectoli lo servirò infino alla tornata vostra, et poi voglio ritornare al mio luogo, cioè ad scrivere con voi. Et così mi sto da me, et se non mi è decto, non parlo a persona; in modo s'è adveduto già lo amico, che mi ha iniuriato et non poco; et questo fu che a una certa lettera mi vagliò, et comandò non mi fussi decto cosa alcuna, il che sarà l'ultima volta, perchè mi chiama sei volte inanzi responda; ma io ho disposto l'animo, et così voglio seguire mentre ci starò. Et voi conforto ad expedirvi con quanta più presteza si può, chè non è il facto vostro ad stare costì, di che a bocha vi raguaglierò; così di molte altre cose, et di Marco anchora, il quale ha sentito molto lodare le vostre lettere, et omni dì viene ad fiutare et sbottoneggiare; ma vi possete presummere per certo, li resposi in modo non me ne parla più, nè me ne parlerà per lo advenire: et credo conoscerete nel fine chi è stato et è Biagio, et basti. Alla tornata saremo insieme, et potremovi conferire di quelle cose, pure nostre, che ad scriverle sarebbe lungo, etc.

Con messer Marcello, circa il respondervi presto, etc., non vi sono più buono nè voglio essere, sì che cercate altro mezo, et quello potrò fare io, sapete non sono nè sarò mai per mancare, come a quello al quale sono sommamente obligato.

Qui ci è di nuovo come il Re ha rotto a Milano, et messer Gianiacopo ha facto certe scorrerìe, ma non di danno, secondo habbiamo; et il Re, quanto più vede il Duca prepararsi, tanto più si accende alla impresa.

Li Svizeri et Alamanni sono venuti a questi dì alle mani, et chi se ne habbia havuto il meglio, non si può sapere il vero, come vi è noto, perchè donde viene, se è amico, la fa grassa, et e converso: pure stimiamo per più riscontri li Svizeri havere havuto il meglio.

L'armata del Turco uscì fuora dello strecto, et stimasi vadia ad ferire ad Napoli di Romanìa: è cosa grande, secondo si intende. Così quella Signoria ha facto grande preparationi per defendersi, et anchora ha cominciato ad dare danari alle gente d'arme vuole adoperare in Lombardia, ad rompere a Milano, che dicono vogliono servare le promesse al Re, etc. Dio lasci seguire il meglio.

La impresa nostra di Pisa va di bene in meglio, et questi M.ci S.ri non restono nè dì nè nocte di fare le provisioni necessarie et di danari et di omni altra cosa, et di già hanno ad ordine quasi tucti li fanti, in modo si stima certo Pisa essere presso che in potestà di questa M.ca S.ria, benchè loro sieno per ancora durissimi, etc. Ben sapete che ser Philippo Radichi monstrò tanti disegni, che elli andò Commissario in Lunigiana ad sgallinare, et sovi dire farà il dovere. Nec alia. A voi mi recomando et offero, etc.

Florentie, die xxvij iulii MCCCCLXXXXVIIII.

Servitor B., etc.

Al suo honorando Niccolò Machiavelli,

D. F. tie Secretario dig.

Forlivii.

DOCUMENTO VII.

(Pag. 329)

Lettera dei Dieci di Balìa a Paolo Vitelli, per esortarlo all'espugnazione di Pisa. - 15 agosto 1499.

Illustri Capitaneo Paulo Vytello. Die xv augusti 1499. - Anchorchè la Signoria Vostra, per mezo de nostri Comissarii, habbi più volte inteso lo animo et desiderio nostro, et che quella, per la sua innata affectione verso della nostra Excelsa Repubblica, non habbi bisogno di essere altrimenti pregata et exortata ad expedire quelle chose che ci habbino a tornare in utilità et honore maximo; tamen per lo offitio et debito nostro non vogliamo omettere di scrivere alla Signoria Vostra, et monstrarle come li infiniti oblighi habbiamo con seco, e' quali, non sendo necessarii, non rianderemo altrimenti, richieghono di corroborarsi con questo ultimo della recuperatione di Pisa, per la quale potissimum li fu concesso lo arbitrio delli exerciti nostri. Et veramente quando noi pensiamo con noi medesimi la somma sua virtù, et quanto felice exito habbino auto e' preteriti sua conati, noi non dubitiamo in alcuno modo di conseguire questa desiderata victoria. Dall'altra parte, el desiderio che habbiamo di conseguirla, ci fa stare dubbii assai che la dilatione del tempo non rechi tale incomodità et disordine seco, che non sia in nostro potere el ripararvi; nè ci darebbe mancho dispiacere quando tal cosa seguissi (quod absit), l'honore di che si priverrebbe Vostra Illustrissima Signoria, che lo utile, commodo et sicurtà dello Stato nostro, di che saremo privati noi, perchè non mancho habbiamo a core la grandeza sua che la preservatione nostra, di che sappiamo non bisognare farle altra fede che le opere che si sono facte sino a qui, le quali sempre si accresceranno con li meriti suoi. Sia adunque Vostra Signoria contenta et pregata volere prima coronare sè di cotanta victoria quale è cotesta, con admiratione non solo di tutta Italia, ma di tutto el mondo; et dipoi, con satisfactione et nostra e di tutto questo popolo, preso supplicio di cotesti nostri ribelli, ed reintegrati delle cose nostre, possiamo voltarci a chosa che facci la città nostra felicissima, et la Signoria Vostra non seconda ad alcuno altro, benchè antico et famosissimo capitano. A la quale del continuo ci offeriamo.

DOCUMENTO VIII.

(Pag. 329)

Lettera dei Dieci ai Commissarî fiorentini, presso il capitano Paolo Vitelli. - 20 agosto 1499.

Comissariis in Castris contra Pisanos. Die xx augusti 1499. - Noi veggiamo, et con tanto dispiacere nostro quanto si possi mai sentire per alcun tempo, differirsi in modo cotesta giornata, che noi non sapiamo più che ci sperare di bene; perchè, nonobstante che voi scriviate che per tutta stanocte futura saranno ad ordine tutte le cose disegnate; tamen per le parole del Capitano, non ci pare ancora vedere terra, nè ad che porto noi habbiamo ad applicare questa barchetta. Et se Sua Signoria dice che è per fare quello di bene può, et che elli è necessario che ancor noi lo aiutiamo, etc.; noi non veggiamo in che cosa noi li siamo mancati, perchè e' ci pare havere infino a qui et concedutoli ogni cosa che Sua Signoria ci ha adomandata in sua particolarità, et provistolo in tutto quello ci ha richiesto a benefitio della impresa; et per ultimo con quanta celerità ci è stato possibile, vi habbiamo provisto delle balle della lana, delle palle, del fuocho lavorato, et della polvere in quella quantità si è possuto; et questa mattina, per non mancare del consueto, vi habbiamo mandato le lame del ferro stagnato, secondo ne richiedete; et e' danari per rinfrescare e' soldati vi si sono promessi ogni volta ci advisavi il dì della giornata. Ma veggiendo con varie cavillationi et agiramenti tornare invano ogni nostra fatica, et ogni nostra diligentia usatasi annihilarsi, sentiamo dolore infinito; et se la honestà o le leggi el permettessino, egli è più giorni che due di noi sarebbono venuti costì, per vedere con gli occhi et personalmente intendere la origine di cotanti aggiramenti, poi che voi o non ce li volete scrivere o in facto non ve li pare conoscere. Et veramente noi credevamo, et ancora non possiamo se non crederlo, che cotesti Signori volessino più presto tentare la fortuna, et essere ributtati per forza da cotesta expeditione, che per socordia et inertia, consumando il tempo, essere necessitati, per la diminutione della reputatione et delle forze, partirsi di costì con una inhonesta fuga. Il che succederà ad ogni modo, se passa due giorni da oggi che la forza non si sia tentata; perchè, venuta la pagha nuova, cotesti pochi soldati vi restano, haranno iuxta causa di partirsi, et e' nostri cittadini, per parere loro essere dondolati, non saranno per volersi più votare le borse, veggendo non essere del passato suto alcuno utile alla loro città. Noi vi parliamo liberamente a ciò che con la prudentia vostra possiate tocchare fondo, et a noi fare intendere apertamente come ci habbiamo a governare, se hora non succeda la cosa secondo l'ordine dato. Parendoci non havere mancato in nulla, saremo in ferma opinione di essere trastullati, et faremo tutta quella provisione per la salute et honore nostro che ci occorrerà. Et perchè dal canto nostro, come insino ad hora si è facto, non resti ad fare alcuna chosa, siamo contenti che il Capitano facci venire costì a' soldi sua messer Piero Ghambacorti, et riceva etiam e' balestrieri a cavallo sono in Pisa, secondo che voi ne scrivete. Il che facciamo contro a nostra voglia, per molte ragioni, le quali noi vi habbiamo per l'adrieto significate: pure il desiderio habbiamo fare piacere a Sua Signoria ci fa non pensare se non satisfarli; et così confortate Sua Signoria satisfare a noi di questo unico et singulare benefitio, di fare questa benedecta giornata, della quale voi, per nostra parte, con quelle parole vi occorreranno più efficaci il pregherrete, et con ogni instantia graverrete.

Le genti del Signore di Piombino si potranno in parte satisfare alla giunta de' danari vi manderemo, et con questa speranza li intracterrete.

Habbiamo questa mattina lettere da Milano, come e' Franzesi hanno expugnato Annone, castello populato assai, forte di sito, di munitioni et di presidio, in uno dì, et noi siamo già con cotesta obsidione a dì 20, et non sapiamo qual successo seguirà.

Da Lucha intendiamo come Rinieri della Saxetta è tornato in Pisa, sì che vedete quello possiamo sperare, poi che luy vi creda stare sicuro hora, et per lo adrieto ne dubîtava. Valete.

DOCUMENTO IX.

(Pag. 330)

Altra lettera dei Dieci ai Commissarî fiorentini, presso Paolo Vitelli. - 25 agosto 1499.

Comissariis in Castris contra Pisanos. Die xxv augusti 1499. - Se voi vedessi in quanta mala contenteza et afflictione di animo è tutta questa Città, non che a voi che siete membri di quella, ma a qualunque altro verrebbe istupore et admirazione grande; ma chi sapessi come le cose fino a qui sieno procedute, et con quale spendio conducte, et di che speranza nutriti, non se ne maraviglierebbe, perchè conoscerebbe noy et questa città dopo una lunga fatica et dispendio, quando aspectava indubitata victoria, essere minacciati di manifesta ruina; et sì de repente la vedrebbe menare da uno extremo all'altro, che più tosto la indicherebbe animosa per non si prostèrnere et invilire in tanta angustia, che altrimenti. Et veramente e' ci dorrebbe manco ogni damno che di cotesta impresa fussi resultato a la Città nostra, quando e' si fussi un tracto secondo el desiderio nostro tentato animosamente la forza; perchè, se ne fussino suti ributtati, si sarebbe da' nostri cittadini con più prompteza reparata tanta forza che si fussi al nemico superiore. Ma sendosi consumata tanta fanteria, et preparata con tanti danni, in otio et sanza farne alcuno experimento in favore della nostra città, non sapiamo nè che ci dire nè con qual ragioni exscusarci in cospecto di tutto questo popolo, el quale ci parrà havere pasciuto di favole, tenendolo di dì in dì con vana promessa di certa victoria. Il che tanto più ci duole quanto più ce lo pare havere conosciuto, et con ogni efficacia ricordato alli antecessori vostri. Pure, poi che Dio o la fortuna e qual si fussi altra causa ha condocto le cose in termine che bisogna o soldare di nuovo fanteria, o perdere con perpetua infamia coteste artiglierie, ci sforzeremo di non mancare di fare quanto ci fia possibile.

Et perchè nel fare nuovi danari, per havere a fare nuovi provvedimenti, andrà più tempo; et desiderando che in questo mezo coteste cose si salvino, habbiamo scripto per tutto el territorio nostro, per numero di comandati, de' quali buona parte dovevano essere costì subito, et noi seguiremo col provedimento, per poterci valere di buon numero di fanti freschi e pratichi come ci scrivete....

Siamo a hore 3, et habbiamo differito la staffetta, perchè desideravamo pure con quella mandarvi somma di danari. Ma per essere hoggi domenica, et tutto il giorno suti occupati nella pratica, non ne habbiamo possuto expedire alcuna somma; ma domattina di buon'ora vi se ne manderà quelli ci fia possibile.

DOCUMENTO X.

(Pag. 332)

Lettera di Paolo Vitelli a Messer Cerbone. 28 settembre 1499.

Cerbone. Questa sera, a hore 24, questi Signori Commissarii, essendo in casa del Governatore, me retennoro, et hannome messo, a petitione di testa Signoria, nella roccha di Cascina. Io ve ne do notitia, aciò che siate con testi Signori et con testi cittadini, et faciateli intendere come, se non m'è fatto torto, in me non trovaranno errore di natura che meriti minima penitentia. Voi sete prudente; pigliate in questa cosa quello riparo che vi pare expediente, per giustificare la innocentia mia.

Ex Cascina, die 28 settembris 1499.

Paulus Vitellus, etc.

Al mio Cerbone dei Cerboni

de Castello, in Firenze, etc.

DOCUMENTO XI.

(Pag. 333)

Lettere approvate nel Consiglio dei Dieci sulle pratiche dei Venetiani, per rimettere Piero de' Medici in Firenze, coll'aiuto di Paolo Vitelli.

1.

1498 (s. n. 1499) Die XXX Januarij. - In Cons.° X cum additione.

Quod Magnifico Petro de Medicis, respondeatur in hunc modum:

Nuij habbiamo ben intesa la relatione et propositione factane per Vostra Magnificentia, et hane molto piaciuto intender el bon animo et la oblatione del Magnifico Paulo Vitellio, sì verso la Magnificentia Vostra, come verso l'assetamento de le presente dissensione. Et ricercando la importantia de la materia celere resolutione, non habiamo voluto interponer puncto de dilatione a la resposta. Dicemovi adunque ad questo modo: Nuij haver grandemente desiderà et desiderar el ritorno vostro et dei fratelli vostri ne la patria, sicome per experientia habiamo dimonstrato et tutavia demonstramo. Et pero, quando el. Mag.co Paulo sia per far questo effecto, nuij siamo per vederlo tanto volentiera, quanto dir se possi, et maxime, essendo accompagnato cum la compositione de le cosse pisane, sicome ne havete proposto. Et per dirvj in particulari la nostra opinione, circa el desyderio et oblatione del Mag.co Paulo, siamo ben contenti attender al partito el ne propone. Et promettendovi luij el remettervj in casa, cum assetar le cosse de Pisa per quelle vie et modi che siano convenienti, et che ne ha toccato la Mag.tia Vostra, ex nunc nuij volemo concorrer a la conducta soa insieme cum Sig.r Fiorentini, perchè serà via et forma ben rasonevele; et intrando Vostra Magnificentia in casa, come se presupone, potria esser certissima Sua Mag.tia de esser non solum secura de quello li serà promesso, ma etiam cum perpetuo honor et stabilità de le cosse sue. Diremo anche questo altro particulare, per stringersi più a la conclusione, che 'l stipendio del prefato Magnifico Paulo ne pararia conveniente dover esser quello ne ha dichiarito Vostra Mag.tia Luij al presente haver cum Fiorentini, zoè ducati xl/m., de li quali nuij contribuissamo la portione nostra. Questo è quanto ne occorre.

Ben havessamo grato che Vostra Magnificentia subito se transferisse personalmente ad stringer la practica, et veder de condurla ad votivo fine, come ben la saperà far per la prudentia sua, et dielo far gagliardamente, intervenendo principaliter el suo interesse. Li mezi non tocheremo altramente, remettendosi a quella; a la qual etiam volemo affirmar questo per conclusione: che quantunque ne sia sta et sia necessario, per honor nostro, non manchar a Pisanj de le promesse nostre, pur sempre habiamo havuto bon animo verso Sig. Fiorentini, sì per la conformità de l'uno et l'altro Stato, come etiam per la antiqua benivolentia et mutui beneficij che in diversi tempi sono stati fra nuij.

De parte        30

De non        0

Non sincere        0

2.

1498 (s. n. 1499) Die ultimo Januarij, in Cons.° X cum additione.

Ser Jacobo Venerio Provisori nostro.

Non ve replicheremo altramente la propositione factane dal Magnifico Petro de Medici circa Paulo Vitellio, sì per esser sta prima da vui particolarmente significata, si etiam perchè la resposta nostra ve la farà manifesta; la copia de la qual ve mandamo qui introclusa, non perchè la participiate cum alcuno, ma solum per instructione vostra. Vederete per essa nostra resposta tutto el sentimento et resolutione nostra, et anche el desiderio habiamo de vederne presto alcuno effecto, et perhò habiamo deliberato cum el Conseglio nostro di Dieci, cum la Zonta, scrivervi le presente. Et volemo che, zonto el Magnifico Pietro, de lì insieme cum lui vui intrate in questa pratica, cum quella più secreta et cauta via vi apparerà esser cum decoro de la Signoria nostra, forzandovi vederne, senza interpositione de tempo, l'exito de la cosa, cum tal fundamento, che intendiamo subito, et vediamo la ultimatione de tal practica; et se cum Nui se prociede cum quella rectitudine, che Nui procediamo cum altri. Et perchè potria occorrer che sopra doi articoli Paulo Vitellio fusse renitente, et movesse difficultà, come anche de qui ha cegnato el Mag.co Pietro, habiamo deliberato in chadauno de loro resolverne et dechiarirve la mente nostra, per trunchar ogni forma de dilatione che per questo potesse esser introducta.

Primo el potria esser che Paulo Vitellio non se contentasse del solo titulo de Capitanio de' Fiorentini, nel qual caso el M.co Pietro ha proposto che per nui se li desse titulo de Vicario nostro. Ad questo ve dicemo che, occorrendo tale difficultà, vui promettiate tal titulo, et dagate speranza che per questo la cossa non resterà de recever bon fine. Preterea, se dicto Paulo omnino volesse, ultra la conducta de cavalli, per li quali l'ha el stipendio de ducati xl, alcuno numero de fanti, come se affirma lui haver da Fiorentini, etiam in questo affirmerete che nui seremo contenti contribuir insieme cum Fiorentini la portion nostra de la spesa de dicti fanti, in caso che i se habino adoperar. Queste sono le doe particularità ve habiamo voluto far intender resolutamente, per remover ogni termino de dilatione. Vui però non procederete a la promissione de quelle, nisi vedendo, che altramente far non potesti, et che la conclusione se differisse, over se rompesse per esse difficultà, over alcuna de quelle. Et però, in tal caso, semo contenti vui li possiate prometter cum le altre condicion contenute et expresse ne la resposta nostra. Sollicitate adunque cum ogni vostro studio et diligentia stringer questa pratica a la fine; et venendo Paulo Vitellio ad alcuna resolutione, lo farete confortar ad mandarne subito suo nuncio, cum pieno et sufficiente mandato, azò se possi far la sigillatione. Et tutto questo ordine tenerete apresso vui secretissimo, quanto recercha la importantia sua, dandone hora per hora diligentissimo adviso de ogni successo.

De parte        29

De non        1

Non sincere        0

Facte et misse littere cum incluso exemplo.

DOCUMENTO XII.

(Pag. 333)

Lettera, senza firma e senza indirizzo, che discorre della cattura di P. Vitelli.

Sendo pervenuta nelle mani d'un mio amico una lettera sopradscripta ad m. Jacobo Corbino canonico pisano, me la portò, et io per lo officio mio apertola, non mi maravigliai tanto del subbiecto di epsa, quanto io mi maravigliai di voi che lo havessi scripto, perchè io mi persuadevo che ad uno huomo grave, quale sete voi, et ad una persona publica, quale voi tenete, si aspectassi scrivere cose non disforme alla professione sua. Hora come e' sia conveniente ad un secretario di cotesti magnifici Signori notare d'infamia una tanta Republica, quale è questa, ne voglio lasciare fare iuditio ad voi, perchè di quello che dite contro ad qualunque pontentato di Italia, se ne ha più ad risentire e' Signori vostri che alcuno altro; perchè, sendo voi la lingua loro, si crederrà sempre che quelli ne sieno contenti, et così venite ad partorire loro odio sanza loro colpa. Nè io mi sono mosso ad scrivere tanto per purghare le calunnie, di che voi notate questa Città, quanto per advertire voi adciò per lo advenire siate più savio, il che mi pare essere tenuto ad fare, sendo noi sotto una medesima fortuna. Fra molte cose che dimostrono li (sic) huomo quale e' sia, non è di poco momento el vedere, o come egli è facile ad credere quello che li è decto, o cauto ad fingere quello che vuole persuadere ad altri; in modo che ogni volta che un crede quello che non debbe, o male finge quello che vuole persuadere, si può chiamare et leggiere et di nessuna prudentia.

Io voglio lasciare indirieto la malignità dello animo vostro, demostrato per queste vostre lettere; ma solo mi distenderò in demostrarvi quanto ineptamente o voi avete creduto quello vi è suto referito, o fincto quello desideravi si disseminassi in infamia di questo Stato. Io vi ringratio prima della congratulatione fate col Pisano, per la gloria che ad vostro iuditio hanno adquistata, et per la infamia ne haviamo reportato noi, condonando tucto alla affectione ci portate. Di poi vi domando, come può stare insieme, che questa Città habbi speso un tesoro da non poterlo extimare, et li Pisani si sieno difesi sanza fraude di Pagolo Vitelli, come voi volete inferire. Appresso vi domando, quale sana mente o quale bene edificato ingegno si persuaderà o che Pagolo Vitelli ci habbi prestati danari, o che la cagione dello haverlo preso sia per non pagharlo. Nè vi advedete, povero huomo, che questo totalmente excusa la Città nostra et accusa Pagolo; perchè ogni volta che un crederrà che Pagolo ci habbi prestati danari, crederrà de necessitate che Pagolo sia tristo, non potendo haver avanzato danari, come ognun sa, se non o per corruptione factegli, perchè c'inghannassi, o per non havere tenuta ad un pezo la conpagnia. Donde ne nascie che, o per non havere voluto, sendo corropto, o per non [hav]ere potuto, non havendo la conpagnia, ne sono nati per sua colpa infiniti mali ad la nostra [Città; et] merita l'uno o l'altro errore o tucta dua insieme (che possono stare), infinito [castigo]. Alle altre parti della lettera vostra, per essere fondate tucte in su questi due [errori], non mi occorre rispondere; nè mi schade etiam iustificarvi la captura, come cosa che non mi si aspecta ad farla; et quando mi si aspectassi, ad voi non si richiede lo intenderla. Solum vi ricorderò che non vi rallegriate molto delle pratiche, che voi dite andare attorno, non sapiendo maxime le contrappratiche che si fanno; et admunirodvi, fraterno amore, che quando pure voi vogliate per lo advenire seguitare nella vostra captiva natura di offendere sanza alcuna vostra utilità, voi offendiate in modo che ne siate tenuto più prudente.

DOCUMENTO XIII.

(Pag. 355)

Lettera di Biagio Buonaccorsi a Niccolò Machiavelli in Francia. - 23 agosto 1500.

Honorando et charo mio Niccolò. Se io vi ho ad confessare la verità, questa vostra lettera ricevuta stamani mi ha facto un poco gonfiare et levare in superbia, vedendo che tra li Stradiotti di Cancelleria pure tenete un poco più conto di me; et per non calare di questa mia opinione, non ho voluto ricercare se ci è vostre lettere in altri. Io ne ho preso piacere grandissimo, parendomi parlare con voi proprio et familiarmente, come eravamo usati; et ne havevo preso qualche poco di passione, havendo visto la prima volta vostre lettere, et non esser facto da voi mentione alcuna di me, dubitando che il proverbio che si dice vulgarmente - dilungi da ochio, dilungi da quore - non si verificassi in voi, il che questa vostra lettera ha cancellato: et così vi prego seguitiate quando vi avanza tempo, chè io per me non mancherò mai di fare mio debito verso di voi.

Io non voglio mancare di significarvi quanto le vostre lettere satisfanno a omniuno; et crediatemi, Niccolò, chè sapete che l'adulare non è mia arte, che trovandomi io ad leggere quelle vostre prime a certi cittadini et de' primi, ne fusti sommamente commendato; di che io presi piacere grandissimo, et mi sforzai con qualche parola dextramente confermare tale oppinione, mostrando con quanta facilità lo faciavate. Et così dove io veggo potere giovare, lo fo, parendomi farlo per me proprio, come certamente fo; et pure stamani fui con Luca delli Albizi, col quale era di già stato Totto vostro fratello, et facto il bisognio: fece lo officio dello amico, come sempre è usato fare. Così messer Marcello, insieme con Totto vostro, fa omni cosa obtegniate il desiderio vostro; et credo per adventura, avanti il serrare di questa, harà effecto; et non lo havendo così hora, lo harà un'altra volta. Scrivete pure a Totto che non la stachi, perchè stamani mi dixe: - Se io non la fo hoggi, io me ne andrò in villa, etc. - Voi sete savio, et basti.

La vostra lettera mi dètte il nostro messer Marcello, et seco era Totto, al quale havea date le altre vostre fidelissimamente. Così havea mandate quelle di Francesco ad casa sua per huomo ad posta, chè per non mi sentire bene non ero in Cancelleria: basta che hanno havuto optimo ricapito, et così haranno tutte le altre.

Io ho messo da uno canto tutt'i piaceri che io ho, sendo qui, et tutti li altri che io harei, sendo costì; et certamente lo essere insieme con voi dà il tracollo alla bilancia; pure bisognia havere patientia, da che non si può: et se voi continuerete nello scrivermi anchora, mi sarà manco grave questa vostra absentia, di che io vi prego quanto più posso.

Io feci la ambasciata del parcatis a messer Cristophano. Mi respose che alla tornata vostra facessi motto a Lione al Rosso Buondelmonti, che da lui sarete informato di tutto, per essere pratico, etc.

Dapoi la partita vostra habbiamo perso Libbrafacta et il bastione della Ventura, et per anchora Pisani sono signori della campagnia.

Pistoia ha facto grandi movimenti, et la parte Cancelliera ha cacciato la parte Panciatica con grande arsione di case et botteghe, et morte di qualche huomo; pure la parte restata superiore si dimostra fidelissima et observantissima di questa Excelsa Signoria. Dio ne aiuti, chè ce n'è bisogno.

Niccolò, io vi prego che a mia contemplatione spendiate uno scudo in guanti et dua scarselle di tela, delle più piccole trovate, et qualche altra zachera, che ve ne rimborserò a chi mi ordinerete. Così vi prego mi mandiate uno stocco, ma lo voglio in dono, poichè non ho havuto quello mi promectesti alla partita. E raccomandatemi quanto più possete al nostro Francesco Della Casa, et me li offerirete in tutto quello li accaggia di qua, et che lui stimi si possa fare per me. Nec plura. A voi mi raccomando quanto più posso, et prego Dio vi guardi dalle mani di Svizeri.

Florentie, die xxiij augusti M. D.

Vester Blas. Bo. Cancellarius.

Spectabili viro Nicolao de Maclavellis, mandatario fiorentino apud Christianissimam Maiestatem, amico honorando.

Alla Corte.

DOCUMENTO XIIIbis.

Due lettere di Agostino Vespucci da Terranova, scritte da Roma nel luglio e agosto 1501, al Machiavelli. Ragguagliano di fatti seguiti in Roma.

1

Spectabilis vir, honorande, etc. È sul mezo dì, et io spiro del gran chaldo è a Roma, et per non dormire fo questi pochi versi, et etiam mosso da Raffaello Pulci che si trastulla con le muse. Spesso alle vigne di questi gran maestri et mercanti dice improviso, et comprendo dica con uno ser Francesco da Puligha di costà, che non so che si faccia a Roma. Et costui a' dì passati fe' uno sonetto per contro a Francesco Cei nostro, che mi pare un poco troppo dishonesto; et ho facto ogni cosa di haverlo scripto, et non ho possuto; et questo ser Francesco non lo ha dato a persona, ma sì bene lecto o vero recitato: potendolo havere ve lo manderò. El Pulcio si trastulla, et sempre è in mezo di quattro p....; et emmi decto lui havere qualche dubio, che sendo di lui opinione et certeza di esser poeta, et che l'Academia di Roma lo vuole coronare ad sua posta, non vorrìa venire in qualche pericolo circa pedicationem, perchè è qui Pacifico Phoedro, et delli altri poeti, qui nisi haberent refugium in asylum nunc huius, nunc illius Cardinalis, combusti iam essent.

Evenit etiam che in questi proximi dì in Campo di Fiore fu abrusciata viva una femina, et assai di grado, venitiana, per havere lei pedicato una puctina di 11 in 12 anni, che la si teneva in casa, et factole etiam altro che taccio, per esser troppo dishonesto, et simile alle cose di Nerone romano. Il che etiam conferma decto Raffaello in dovere stare continue per li giardini fra donne, et altri simili ad sè, dove con la lyra loro suscitent musam tacentem, diensi piacere, et si trastullino. Ma, bone Deus, che pasti fanno loro, secondo intendo, et quantum vini ingurgitant poy che li hanno poetizato! Vitellio romano, et apud hesternos Sardanapalo, si reviviscerent, non ci sarìano per nulla. Hanno li sonatori di varii instrumenti, et con quelle damigelle dansono et saltono in morem Salium, vel potius Bacchantium. Honne loro invidia, et mi bisogna rodere la cathena in camera mia, che è ad tecto, chalda, et con qualche tarantola spesse volte: et moro di chaldo, ut vix possim ferre estum; che se non fussi uno respecto, il quale sa Biagio, mene verrei in costà. Vogliovi pregare che rispondiate a Raffaello o ad me, et traheteci mattana del capo, che so lo saprete fare.

El Papa mi pare entrato nel pensatoio in su questo romore de' Turchi, che già risuona forte; et comincia sospirando a dire: Heu quae me tellus, que me equora possunt accipere! Dupplica le guardie al Palazo, dì et nocte, prebet se quibuscumque difficillimum, et tamen animus eius sullaturit et proscripturit in dies magis, che, omnibus videntibus, ad chi toglie la roba, ad chi la vita, et chi manda in exilio, chi in galea ad forza, ad chi toglie la casa et mettevi entro qualche marrano: et haec nulla aut levi de causa. Lascia oltre ad questo fare ad di questi baroni et sua amici molti oltraggi, et torre roba et votare fondachi, et huiusmodi 1000. Sono qui più venali li beneficii che non sono costì e' poponi o qui le cyambelle et acqua. Non si seguita più la Ruota, perchè omne ius stat in armis et in questi marrani, adeo che pare necessario il Turcho, poi li Christiani non si muovono ad extirpare questa carogna del consortio humano: ita omnes qui bene sentiunt, uno ore locuntur. Restavami dire, che si nota per qualcheuno, che, dal Papa in fuori, che vi ha del continuo il suo greggie illecito, ogni sera xxV femine et più, da l'Avemaria ad una hora, sono portate in Palazo, in groppa di qualcheuno, adeo che manifestamente di tutto il Palazo è factosi postribulo d'ogni spurcitie. Altra nuova non vi voglio dare hora di qua, ma se mi rispondete vene darò delle più belle. Godete et valete.

Ex Roma, 16 julii 1501.

Augustinus vester.

Spectabili viro Nicolao domini Bernardi de Maclauellis, secundo Cancellario florentino, Secretario honorando.

Florentie.

2

Spectabilis vir, etc. Nicolò Machiavello mio amatissimo, sommi spogliato in pitoccho, sarei in giubbone, nisi austrum nocentem per auctumnos corporibus metuerem. Sendo il desiderio vostro di volere intendere utrum la heredità del Cardinale di Capua sia restata al Papa, o vero instituerit alios heredes, in risposta vi dico, serio loquens (nam secus (sic) fortasse quam claudam istas): il Papa non permettere ad alcuno Cardinale che loro faccino herede, immo circa il testamento la vuol vedere molto pel sottile, il che testifica il caso del Cardinale di Lysbona, quale ne' dì passati, sentendosi grave, non possendo lasciare de' danari che si trovava, che furono 14 mila, ad chi harìa desiderato, più tosto se ne volle spotestare vivente, che il Papa, se mortuo, li havessi ad godere luy. Et chiamando tutta la sua famiglia a giumelle in sul suo lecto, ad vista, tutti li spartì in dono per li sua di casa; et così rinuntiò tutti li sua beneficii veramente, in modo che non si truova nulla in questo mondo, se non la grazia grande, non solo della sua famiglia, ma di tutta Roma. È dipoi sanato, benchè sia vecchio, et hieri parlò con lo ambasciatore, me presente, una hora o più sempre in latino, et constabat sibi in omnibus. Onde il Papa decte l'arcyvescovado di Capua, che vale VI mila ducati l'anno, al cardinale di Modena, il quale, benchè sia o vero pare in gratia del Papa, sborsò 15 mila ducati per la Santità di N. S.; uno altro suo arciveschovado che è in Hispania diè a Monreale, con questo che lasciassi al cardinale da Esty il vescovado di Ferrara. Delli altri beneficij non dico nulla, sennonchè il Papa (quod pace sua dixerim) ne ha di pretio numerato hauto insino in XXV mila o più, perchè era il prefato molto richo. Se volessi intendere quo genere mortis obierit, quì vulgo tenetur ch'è veneno, per esser lui poco amico al gran Vexillifero, che di simil morte si intende spessissimo in Roma: et omnia ex fonte, nec non ex primo rivo emanant. Habes, puto, plus quam petieras; et però resta che ser Antonio, Biagio, ser Luca, et ser Octaviano faccino quanto mi scrivete.

Circa al Pulcio lo trouerrò, et leggerolli la vostra, credo haremo poi materia da rispondere, et piacevole: è un mal muscione, fa più facti che parole, et non pare quel desso.

Hoggi, benchè siamo a dì 25, qui si celebra la festa di San Bartholommeo, et dicesi è per honorare più la festa di San Ludovico re di Francia, che è questo medesmo dì. È in Roma una chiesecta di questo Santo, ignobile, et che mai non vide 50 persone insieme, et questo anno, per havere facto la invitata lo Re di Francia a tutti li cardinali, oratori, prelati et baroni di Roma, stamattina vi è stato ogniuno, videlicet 16 cardinali, tutti l'imbasciatori si truovono in Roma, tutti li baroni et altri signori, e tutti stati a la Messa, che durò 3 hore di lungo. Fuvi la Capella del Papa, che è cosa mirabile: li sua pifferi che ad ogni cardinale, arrivando, li faceano lor dovere; tutti li trombecti; altri delicatissimi istrumenti, id est l'armonia papale, che è cosa dulcisona e quasi divina; non so per ora nominare nissuno de' sei instrumenti per nome, di che non credo Boetio facci mentione, quia ex Hispania. Fu etiam ad meza la Messa per uno doctissimo huomo recitato una oratione latina, contenente breviter la somma della vita di San Ludovico. Dipoi latissime fatta in transgressu aliqua mentione de regibus Gallorum, della grandeza, sublimità et maestà del presente Re, in cuius virtutibus recensendis, videlicet in dotibus corporis et animi, quantumque adversam fortunam egerit sub pedibus prosperae vero quam bene moderetur frenis, consumò circa una grossa hora. Et veramente, Nicolò mio, qui è l'arte dell'oratore, perchè costui è uno ignobile, et non più visto, nè udito circulare o poco; et nondimeno per esser Romano è piaciuto più che o il Fedra o il Marso o il Sabellico o el Lippo, che habentur optimi, et ha dimonstro havere auto in primis memoria grande, sapere bene distinguere et apte narrare; monstrò quantum valeat pronuntiatio, quantum verborum copia et gestus, qui et ipsi voci consentit et animo, cum ea simul paret, ut equidem affirmare ausim, che spessissimo, non solum manus sed nutus ipsius, haria dimonstro alli auditori la sua volontà. Et non so come tam feliciter costui mai avessi potuto orare nisi imitatus Demosthenem, qui actionem solebat componere, grande quoddam speculum intuens. Et lassando la doctrina, la eloquentia, i colori infiniti, molti flosculi et aculei quibus inspersa sua oratio est, illud mehercule prestitit, ut sibi conciliaret, persuaderet, moveret, ac denique delectaret. Et in calce orationis tantam eloquentiae procellam effudit, ut omnes admirarentur ac stupescerent; obque factum est, ut plausus ei quasi theatralis, quamvis in templo, a multis datus sit. Credono molti che, sendo suto alla presentia il Re, che lo harìa facto in quello instanti grande homo appresso di sè.

Una sol cosa mi resta, che alli dì passati, sendo il Papa in fregola di voler ire a spasso, et sendo in camera del Pappagallo uno circulo di 5 in 6 docti, che invero ce ne è assai, benchè anche delli scelerati et ignoranti, ragionando et di poesia et astrologia, etc., uno di loro fu che dixe esser solo uno a Roma, ad che il Papa prestava fede in astrologia, et costui havere male, et è in miseria et povertà per la gran liberalità di questo Principe. Et il Fedra dicendomi costui havere predicto al Papa che sarìa pontefice, sendo ancora cardinale, li mossi che si vorría fare qualche procnostico sine auctore, et lasciarselo cadere, et ita factum est. Prima ci partissimo di lì, questi 3 versolini furon facti, videlicet:

Praedixi tibi papa, bos, quod esses,

Praedico moriere, hinc abibis,

Succedet rota, consequens bubulcum.

La rota è insignia di Lysbona, el bubulco è lui. Questo effecto se ne è visto, che mai poy ha ragionato di partirsi, se bene ci è opinione, che se si scuopre il parentado con Ferrara, lui vorrà ire là, et vagare per la Romagna. Vedreno quello seguirà; et se Valentino tornerà qui, che ce ne è varie opinioni, tornando assai delle sua genti alla sfilata, et etiam havendo mandato Vytellozo e fare quello che vorrìa ragionevolmente poter fare presentialmente da sè. Et venendo la beatitudine del Papa in costà, voi et altri che volessi qualche dispensa o di tòrre o di lasciare la mogliera, la harete benignamente, modo gravis aere sit manus. In questo mezo Camerino teme, Urbino fila, perchè dubita delle relliquie di casa Sforzesca, et di Piombino non dico nulla. Bene vale et excusatum me habe, se io non vi scrivo lungo, perchè non ho tempo. Alias.

Roma, XXV augusti 1501.

Deditissimus Augustinus.

Spectabili uiro Nicolao de Maclauellis, Secretario, Maiori honorando. Alli Signori Dieci.

In Firenze.

DOCUMENTO XIV.

(Pag. 362)

Lettera dei Dieci al Vicario di Scarperia. 7 maggio 1502.

Iuliano Caffino, Vicario Scarperie. Die vij maii. - Tu ci hai scripto più lettere piene di tante exclamationi et tante paure, che le sarebbono sute troppe havendo el campo intorno, et in terra cento braccia di muro. Et perchè sappia da quello che tu ti hai ad guardarti, et quanto habbino ad ire in su e' tuoi sospecti, el campo del Valentinese è ad Medecina, e' Franzesi se ne sono iti verso Lombardia, et noi teniamo buona amicitia con el Duca et col Papa. Ma tucti e' sospetti che si hanno, sono perchè, sendo nel campo del Valentinese Orsini et Vitegli, pensiamo che, sendo inimici nostri, potrebbero di furto fare qualche insulto ad qualche nostro luogo, nè si crede che per altri conti o per altra via possiamo essere offesi. Et sta' di buona voglia, che non ha ad venire costì campo ordinato et con artiglierie et altri instrumenti atti ad expugnare una terra come è cotesta; et se pure e' vi havessino ad venire, l'artiglierie non volano, hanno ad passare li monti, et per certo noi el doverremo intendere, et intendendolo, vi provederemo; sì che non è necessario sbigottire a cotesto modo li subditi nostri, ma confortarli ad stare alla vista et a' passi, et ricorrere così quando tu li chiamerai, et fare la nocte qualche guardia, per guardarsi da' facti; et mostrare di essere huomo, et conoscere di essere in una terra che habbi bisogno del campo ad perdersi, et non ne andare preso alle grida. Noi ti haviamo voluto dire questo, acciò che tu ti conforti et conforti e' sudditi nostri, perchè noi non siamo per abbandonarli, quando tu et loro faranno loro debito, come speriamo....

DOCUMENTO XV.

(Pag. 370)

Lettera dei Dieci al Commissario Giacomini Tebalducci.

1° luglio 1502.

Commissario generali, Antonio Iacomino. Die prima iulii 1502. - Hiarsera ti si scripse quello ci occorreva in risposta di più tua; haviamo dipoi ricevute l'ultime di hieri, et per quelle inteso cosa che ci satisfa, et questo è come Anghiari si tiene, et come e' nemici non lo possono molto sforzare per mancamento di palle, etc. Et havendo dipoi ricevuto una lettera da M.re di Volterra, el quale pochi dì sono mandamo ad Urbino ad el Duca Valentinese, della quale ti mandamo copia, et per quella intenderai quello che lui giudicha et advisa delle genti di quello Duca. El quale adviso, quando fussi vero, ci renderebbe più sicuri, et più facile ci farebbe la recuperatione delle cose nostre. Ma desidereremmo bene che la perdita di quelle non fussi maggiore che la si sia suta infino ad qui, ad ciò che si cominciassi dipoi più facilmente ad racquistare la reputatione, et non si continuassi in perderla. Et per questo, se si possessi soccorrere Anghiari o monstrarli qualche speranza di soccorso, ci sarebbe sopradmodo grato, et tornerebbe molto approposito alle cose nostre: il che ci fe' più desiderare uno adviso haviamo hauto da huomo prudente, che ci scrive dalla Pieve ad San Stephano, significandoci prima come gli Anghiaresi si difendono ingenuamente: et che se si mandassi un cento cavalli et qualche fante, admonendogli che facessino spalla ad quelli della Pieve et ad altri del paese, sarebbono per molestare intanto e' nemici, che sarebbono necessitati levarsi da campo. Et per questa cagione ci è parso mandarti la presente volando, ad ciò veggha quello si può fare in questa cosa, et non manchi del possibile. Et ad noi pare che, havendo hora la gente franzese alle spalle, si possa governare le cose costì più audacemente, et con più fiducia mettersi avanti; et però di nuovo ti ricordiamo, se possibile è, se non in facto, saltem in demostratione, rincorare quelli nostri fedeli d'Anghiari, sì per dare animo loro ad stare forti, sì etiam per non lo tòrre ad li altri, et per non dimostrare ad li subditi nostri che noi li lasciamo in preda et sì vilmente nelle mani d'un semplice soldato: et di questo ne aspectiamo risposta, et lo effecto se li è possibile.

Noi attenderemo ad sollecitare e' Franzesi, e' quali fieno ad Sexto domani ad ogni modo, et di mano in mano li respigneremo secondo che ad voi occorra o al capitano di epsi, con el quale speriamo di essere domattina ad Lugo. Scriverete oltre ad di questo ad Poppi, alla Pieve, et se voi potete, ad Anghiari et al Borgo, confortando, monstrando gli aiuti propinqui et che presto con loro satisfactione et danno delli adversarii saremo liberi da ogni molestia. Bene valete.

DOCUMENTO XVI.

(Pag. 370)

Altra lettera dei Dieci allo stesso. - 12 luglio 1502.

Antonio Thebaldutio, Commissariis in castris. Die xii (iulii). - Noi haviamo diferito il rispondere alle vostre ultime de' 10, ad questa mattina, per essere stati tutto el giorno di hieri occupatissimi in cose di gravissima importanza, et pertinenti tucte alla salute nostra et confusione delli inimici. Et venendo a' particulari delle vostre lettere, intendiamo el disegno vostro dello alloggiare sopra li inimici, havendo le forze chieste più volte de' 3000 fanti, giudicando che quelli fussino necessitati o appiccarsi con voi al disavvantaggio, o ad ritirarsi in Arezo, il quale disegno vostro non ci potrebbe più piacere, nè ve ne potremo più commendare. Ma ad intelligentia vostra vi si fa intendere, come la Maestà del Re Cristianissimo ha preso questa difensione nostra sopra di sè, et ha deliberato questa volta, con honore et reputatione sua, levarci el nimico da dosso, et restituirci el perso. Et però, oltre ad coteste lance et alle 150 che si debbono questo giorno trovare presso ad Bologna, egli ha mosso Messere della Tramoio, uno de' primi capitani del Regno, con dugento altre lance et 15 carra d'artiglieria, et con questi el Balì di Digiuno con 4000 Svizeri, le quali forze et aiuti fieno qua subito. Et perchè noi havemo ad concorrere alla maggiore parte di questa fanteria; et perchè oltre ad questo ci correrà addosso infinite spese di vectovaglie, provisioni et altre cose consuete, delle quali non si può manchare, havendosi ad servire de' capitani, ci pare da fare masseritia et restringersi da ogni banda. Et però verrete temporeggiando le cose di costà, come vi si scripse per l'ultima nostra, et el Signore franzese intracterrete o con questo adviso, quando e' vi paressi, monstrandoli la voglia del Re essere che si temporeggi infino che le sue forze venghino, o vero, se in questo modo vi paressi da alterarlo, piglierete qualche altro expediente come alla prudentia vostra occorrerà, per farlo quieto et patiente ad mantenersi, perchè, recando in somma el desiderio nostro, voi havete ad intractenervi et sanza spesa o con mancho che si può....

DOCUMENTO XVII.

(Pag. 370)

Altra lettera dei Dieci allo stesso. - 24 luglio 1502.

Antonio Thebaldutio, Commissariis in castris. Die 24 (iulii). - Anchora che per la nostra di hieri vi si scrivessi lo animo nostro circha ad quello ne haveva referito Lorenzo de' Medici della pratica tenuta fra Ubalt et Vitellozo; nondimancho, veduto quanto ci scrivete per la vostra di hiarsera circha la medesima praticha, et quello che Ubalt ha disegnato dire ad Vitellozo et concludere seco, ci parve necessario di nuovo farvi intendere lo animo nostro, perchè questa resolutione d'Ubalt, facta ultimamente, ci pare poco discosto da quello ha referito Lorenzo. Nè veggiamo con che honore della Maestà del Re o utile nostro la si possa fermare così, sendovi incluse conditioni, che 'l cardinale Orsino debbe prima parlare ad quella Maestà; perchè per la parte del Re ogni conditione che si mette nell'appuntamento è con poco suo honore; et per la parte nostra non veggiamo che sicurtà ci rechi rimetterci al parlamento del cardinale Orsino, per essere uno de' capi delli adversarii nostri. Per tanto non ci consentirete per la parte vostra in alcun modo, se già, come hieri si dixe, non si levassino tucte le conditioni, et che subito le terre tucte si rimettessino nelle mani di cotesti capitani, sanza riservo di alcuna cosa, et che quelli ne havessino ad fare tucto quello ne disponessi la Maestà del Re, sanza mettervi alcuna conditione o interpositione di tempo, perchè ad questo modo venemo ad restare solo ad discretione di quella Maestà, il che ci sarebbe grato per essere sempre suti disposti riconoscere el bene et il male da quella. Pure, quando voi vedessi cotesti capitani vòlti ad alcuna cosa contro ad questo nostro disegno et opinioni, vedrete, sanza consentirvi, di non li alterare; ma li anderete temporeggiando prudentemente.

Piaceci bene sommamente questa ultima vostra conclusione et resolutione facta di uscire in campagna, perchè ci veggiamo più beni; el primo, che Vitellozo si perderà quella reputatione che li ha dato questo abboccamento; el secondo, che si salverà buona parte di questi grani di Val di Chiana, che ne vanno tucti in quello di Siena; l'altro, che voi viverete con più facilità, potendovi provedere da quelli castelli et terre, che sono pieni di vectovaglie; et oltra queste comodità che sono certe, potrebbe seguirne dal farsi innanzi molto honore et molto utile, che la occasione ne potrebbe arrecare per la reputatione che si adquisterebbe d'essere in compagnia....

Havendo scripto fino qui, ci è suto referito di luogo che noi li prestiamo fede assai, come Perugia è in arme per esservisi achostato el duca Valentino colle sue genti, et volere entrare dentro, et li Perugini non lo volere acceptare; il che quando fussi vero, che lo crediamo in maggior parte, vi debba dare tanto più animo allo andare avanti, perchè tucto torna in preiudicio di Vitellozo, per essere una medesima cosa Giovan Paolo et lui, come sapete.

DOCUMENTO XVIII.

(Pag. 379)

Lettera dei Dieci al Soderini, cui si partecipa la sua nomina a Gonfaloniere a vita. - 23 settembre 1502.

Petro Soderini, ad Arezzo, die quo supra (23 settembre). - E' fu sempre mai giudicato da tutti li huomini che sono chiamati prudenti, cosa utile et necessaria costituire un capo al governo di questa Città, el quale potesse mantenere nelli ordini suoi le cose che ancora non ne fussino uscite, et quelle che ne fussino uscite ridurvele; la quale opinione è stata tanto favorita dalla industria di buoni, da' tempi et da la fortuna della Città, che prima e' se ne fece pubblica deliberatione, et da poi, havendosi ad venire ad lo individuo della electione, come è piaciuto a Dio (che in vero sua opera la giudichiamo) è cascata la sorte sopra di te, di che noi tanto più ci rallegriamo, quanto elli è stato più secondo el desiderio nostro, conoscendo nelle qualità tue tutte quelle parti che in comuni si possono immaginare in uno huomo che habbi a tenere tanto segno quanto è questo. Ringratiamone adunche lo altissimo Dio et la gloriosa sancta Madre, le intercessioni della quale non sono stati ad noi manco propitie in questo, che si sieno stati per qualunque altro tempo, in qualunque altro accidente che habbia auto questa Repubblica. Nè e' nostri preghi et supplicationi sono stati meno accepti che si richiegha, et a la fede nostra et alla clementia sua. Rallegriancene per tanto con tutti e' pretettori di questa Città, con tutto questo popolo, et con epso teco, pregando l'altissimo Dio che ti sia in tanto favorevole, che la patria nostra non manchi di questo bene, et di quelle felicità che la spera con seguitare mediante le opere tue.

DOCUMENTO XIX.

(Lib. I, cap. V)

LETTERE DI AMICI AL MACHIAVELLI,

DURANTE LA SUA LEGAZIONE AL VALENTINO.

1

Lettera di Niccolò Valori al Machiavelli.

11 ottobre 1502.

Niccolò mio carissimo. Anchora ch'io sappia che per le lettere del publicho siete bene raguagliato, et io stia contento a quelle, non posso però fare che a mia satisfactione non vi faccia dua versi. Il discorso vostro et il ritratto non potrebbe essere suto più aprovato, et conoscesi quello che senpre io in specie ho congniosciuto in voi, una necta, propria et sincera relatione, sopra che si può fare buono fondamento. E io in verità, discorrendola con Piero Soderini, ne paghai il debito tanto larghamente quanto dire vi potessi, dandovi questa loda particulare et peculiare. Pare che, essendo cotesto Signore vostro, dovessi farsi più inanzi; et a chi ne ha iudicio, pare di aspectare lui, et che la ragione voglia vengha con qualche offerta et condictione honorevole. Il iudicio vostro è desiderato qui delle cose di costà, et il ritratto delle di Francia, et la speranza ne ha il Ducha. Perchè voi ne promettete scrivere le forze, et dipresente di cotesto Principe, et così quelle spera, et taliane et franzese, non accade dirne altro, sennone che quanto meglio s'intenderanno, tanto più facilmente et meglio qui ci potreno risolvere. Se nulla v'accade, sono così vostro come huomo habbiate in questa città, et bastivi, solo per le vostre bone qualità ed affectione havete. Raccomandomi a voi. Cristo vi guardi.

A dì xj d'ottobre 1502.

Niccolò Valori in Firenze.

Egregio v[iro] Niccolò Machiavelli, Segretario degnissimo all'illustrissimo ducha Valentino.

2

Lettera di Agostino Vespucci da Terranova al Machiavelli.

14 ottobre 1502.

Nicholae, salve. Scribam ne an non scribam, nescio: si non, negligentia obest; si scripsero, vereor ne maledicus habear, et presertim in Marcellum et Riccium. Marcellus tanquam rei, hoc est officii tui, neglector, onus scribendi reiecit. Riccius interim, qui usquequaque rimatur istiusmodi officia, ecce tibi heri sero, cum esset in Consilio LXXXta virorum, ambitiosulus iste vocat Marcellum, qui modico illo momento et puncto temporis a Palatio aberat. Surgit statim, descendit schalas, in Cancellarium se proripit, et minitabundus quodam modo clamitat: - Heus heus, scribite. - Blasius statim, quasi divinans quod evenit, ne Riccio dictante scriberet, fugam arripit. Solus remansi miser, suspiriaque ab imo pectore ducens, et anhelus, capio pinnam cadentem, conscribillo, veritus si verbum proferrem, ne mihi et eveniat hic quod in Gallia aiunt Perusgino evenisse; et quia Dominis nostris collega est, idcirco bolum devoro plus fellis quam mellis habens; ternas scribo, eo dictante, sive quaternas litteras. Homo iste, cum libro, eo unde venerat redit, legit, et quod recitat approbatur. Adeoque sive hac re, sive ob aliam, iam illum Domini deputarunt mittendum, longis itineribus in Galliam ad Gallorum regem. Vides igitur quo nos inducat animus iste tuus equitandi, evagandi, ac cursitandi tam avidus: tibi non aliis imputato, si quid adversi venerit.

Velim equidem quod nullus praeter te astaret essetque in Cancellaria mihi superior, quamvis tu omnia tentes et audeas quibus mihi vipera venenosissima insurgat, me petat, me frustatim necet, mihi pessimus et nequam et ambitiosus imperitet: sinemus vel nos aquam fluere. Blasius itidem, praeter id quod te ob talia odit, blatterat, maledictis insectatur, imprecatur ac diris agit, nihil dicit, nihil curat, flocci omnia faciens. Credo hercule isthic sis magno in honore constitutus, cui Dux ipse et aulici omnes faveant te, veluti prudentem laudibus prosequantur, circumstent, blandiantur; quod volupe est, quia te deamo; nolim tamen id negligas, propter quod munus istud paulo post amplius exequi nequeas. Et si nunc, mi Nicholae, ista obrepant ac serpant, non multo post palam fiant necesse est. Nosti hominum ingenia, nosti simulationes ac dissimulationes, simultates et odia, nosti denique quales sint, a quibus homo totus hoc tempore pendet. Tu itaque, cum prudens sis, illud age quo tibi et nobis prospicias, quo in commune consulas. Marcellum tuis litteris excites, cohorteris, urgeas, instes et ita flagites, ut velit aliquot dies, officio tuo fungens, onus dictandi litteras subire, non detrectare, connivere seu, ut facit, despicere. Murceam deam, postquam tu discessisti, is incolit arbitror, adeo Murcidus, idest nimis desidiosus et inactuosus, factus est.

Uxor tua duos illos aureos accepit, opera Leonardi affinis et amantis tui.

Heri mane dum litteras proxime scriptas Petro Soterino recitarem, dumque ipse quampluries eas interlegendum mussitaret, inquit tandem: - Autographus hic scriptor multo quidem pollet ingenio, multo iudicio praeditus est, ac etiam non mediocri consilio. - Pro ad viso. Vale.

Ex Cancellaria. Die xiiij octobris 1502: raptim et cum strepitu.

Augustinus tuus, coadiutor.

Spectabili uiro Nicolao de Malclauellis, Secretario et mandatario fiorentino honorando.

In Corte dell'Ill. Duca di Romagna.

3

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

18 ottobre 1502.

Niccolò mio.... io non sono adirato, nè anchora fo iuditio dello animo vostro verso di me da queste favole, perchè in facto non mi è se non briga, et io pure ho delle occupationi poi non ci sete, ma sì bene da infinite altre cose, che mi costringnerebbono, ricordandomene, ad non vi portare quella affectione che io fo, di che io non voglio mi sappiate grado, perchè, volendo non amarvi et non esser tutto vostro, non lo potrei fare, forzato, dico, sì dalla natura che mi constrigne ad farlo, benchè in facto sia da tenerne poco conto, non vi potendo io nuocere, et manco giovare. Et se io vedessi o havessi visto che voi fussi il medesimo che siete meco con tutti li altri amici vostri, non ne harei facto tale impressione in me medesimo; ma io veggo che io mi ho ad dolere della mi' cattiva fortuna et non buona electione, et non di voi, poichè io non truovo riscontro alcuno in quelli che io amo tanto quanto me medesimo, et che io ho scelti per mia patroni et signori; di che voi potete esser optimo iudice, prima da voi, dipoi da qualcun altro che vi è così noto come a me. Ma di questo non si parli più, che io non voglio se non quel che voi, et basti.

Le vostre lettere questa mattina ho mandate tutte ad posta et fidatamente. Expecto il velluto da Lorenzo, et da mona Marietta il farsetto, et subito havuto, vi manderò omni cosa; et se altro vi accade, scrivete.

Scrivendo, Lorenzo mi ha mandato il velluto, et così per il presente latore, che sarà Baccino, ve lo mando, et con epso il farsetto, che pure siate uno gaglioffo, poichè, ad posta di uno braccio di domasco, voi volete portare una cosa tutta uncta et stracciata: andate ad recere, che voi ci farete un bello honore.

Mona Marietta mi ha mandato per il suo fratello ad domandare quando tornerete, et dice che la non vuole scrivere, et fa mille pazìe, et duolsi che voi li promectessi di stare 8 dì et non più; sichè tornate in nome del Diavolo, che la matrice non si risentissi, chè saremo impacciati insieme con frate Lanciolino.

Io vi harei da dire circa «la electione di Bernardo dei Ricci per in Francia molte cose più bella l'una che l'altra, et così molte favole del nostro ser Antonio da Colle, che secretamente andò ad Siena con certi sua ghiribizzi che non è stato niente;» ma penso lo farò meglio ad bocca, et più sicuramente. «Il Riccio» anchora non è ito, et non so se si andrà, benchè habbi «havuto la commissione et ogni cosa, da danari in fuora;» et perchè dubitava «chi lo mandava, che la letera credentiale non si vincessi, per ire sicuramente lo indirizzava a lo Oratore, et voleva che lui lo presentassi al Re, et dipoi exequissi la commissione;» et in effecto «non portava nulla, ma era facto per farli sgallinare» un cento ducati, poichè «cotesta proda era presa, et simile quela di Milano. Non è ancora ito et non so se andrà,» perchè «li parenti de lo Imbasciatore si sono risentiti, parendo non passi sanza suo carico; et il vostro Lionardo non li vuole dare danari, se non si stantiano, il che non si vincerebbon mai, sendo» maxime «scoperta la cosa.»

Io vo omni dì 4 o 6 volte al nuovo Gonfaloniere, et è tutto nostro, et Monsignor suo fratello mi domandò hoggi, sendo seco, di voi, et mostra amarvi unice, et io anche feci seco lo officio dell'amico circa casi vostri: così li facessi voi di me, chè non desidererei più da voi.

Se non vi incresce, scrivete uno verso al Guidotto in mio favore, che poichè io ho lo stantiamento, mi cavi del generale. Fatelo se vi pare, o se vi viene bene....

Florentie, die 18 octobris M D I J.

Bl. Bo.

Nicolao Maclauello, Secretario florentino

p[lurimu]m honorando.

Ad Imola.

4.

Lettera di B. Buonaccorsi al Machiavelli.

21 ottobre 1502.

Niccolò. Perchè hieri, quando riceve' la vostra, era festa, non potetti farvi fare l'uchettone; ma stamani di buona hora andai ad trovar Lionardo Guidotti, et tolsi il panno, lasciandomene governare a lui come mi scrivesti; et tagliossi in su uno taglio che haveva, che a me pare bello; et intròvi dentro braccia 7 et 1/2 di panno, che, a quello potetti vedere, vi costerà la canna da 4 ducati et 1/2 in giù. Hollo facto tagliare a me, et del collare et altre cose ho facto quanto ne commectesti, et il meglio ho possuto....

Habbiamo facto cercare delle Vite di Plutarco, et non se ne truova in Firenze da vendere. Habbiate patientia, chè bisogna scrivere ad Venetia; et a dirvi il vero voi siate lo 'nfracida ad chiedere tante cose.

Expecto habbiate scripto al Guidotto, et non tractatomi all'usato.

E' mi duole non vi havere servito in tutto, perchè mona Marietta vostra [ha] saputo di questo uchettone, et fa mille pazìe. Et se voi non havessi allogato la putta sua sì bene, come havete, starebbe di mala voglia; ma desiderrebbe intendere le circunstantie della dota; il donamento et altre cose è ad ordine, et tutte le cornachie di Sardigna verranno ad honorarla et accompagnarla honorevolmente.

Io non so se io harò l'uchettone stasera, havendolo lo manderò; se non, per il primo non mancherà. Et voi mi adviserete della ricevuta del velluto, il prezo del quale Lorenzo non volse chiedere alla Marietta, ma dice lo metterà ad piè di un altro vostro conto havete seco. Et se quel cieco del Guidotto mi havessi voluto dare li mia danari, co' danari contanti si faceva ogni cosa meglio. Habbiate patientia, chè maggiore tocca ad havere ad me.

Io non ho che scrivervi niente di nuovo, et però habbiate patientia; et se nulla verrà, vi tracterò da amico.

Ser Antonio della Valle è in sullo impazare, et disputando lui et ser Andrea di Romolo, a' dì passati, dello Sbaraglino, ser Andrea li adventò uno zocholo et ruppeli le rene, et il povero huomo porta uno bardellone adosso, non sapendo o potendo fasciarsi più comodamente, et non c'è rimedio se lo voglia levare da dosso. Vanno armati amendua, non so se voi m'intendete: ser Andrea di pesceduovi, et ser Antonio d'argomenti; et ciascuno di loro sta in su' sua. Credo che noi la comporreno, se si trova modo da racconciare le rene a ser Antonio.

Niccolò, io sono ad mal partito, perchè ser Antonio ha smarrito il suo caldanuzo, et fassi ad me, et vuole lo rifacci di danni et interessi: non so come me lo accordare, et vorrei pure contentarlo, però non mi mancherete del consiglio vostro.

Il presente latore, che sarà Iacopino, vi porta l'uchettone, et a me pare stia bene, et dinanzi è cucito, perchè ho visto portate così e' luchi: quando non vi piacci, fia poca fatica ad sdrucirlo. Et in effecto ho facto il meglio ho possuto: fate pure che la prima volta vi sia assettato adosso, che pigli buona forma....

Lionardo ha pagato il rimendo et la fattura dell'uchettone lire 5, et di tanto li siate debitore, et con me siate debitore qualche sgallinatura.

Io non ho parlato di licentia, perchè voi non ve ne curate et io lo so. A me basta c.... il sangue per voi et per me, et che voi «sgaliniate.»

Niccolò, io vi ho ad dire ch'e' Collegi fanno mille pazìe del mio stantiamento, et dicono che se non si revoca non faranno nulla, perchè non vogliono habbiamo dua salarii; sichè quando voi siate al termine dello havere guadagnato e' danari havesti, ordinate di non havere ad chiedere stantiamento, et anche non credo lo habbiate mai, per potere poi cancellare il debito dove appariranno li danari havete havuti. Governatevene come vi parrà meglio....

Lorenzo di Giacomino mi dice che domattina manderà il vino et che vi ha servito da huomo da bene, et che avanti sia costì, vi costerà poco meno di 5 ducati; sichè voi ve n'andate in chiasso. Et di più mi ha pregato che, havendo cotesto Signore ad mectere le poste per di qua, che desidererebbe operassi con li amici vostri costì, che lui havessi la posta qui di Firenze. Et perchè voi sapete quanto io lo ami, ve lo raccomando quanto posso.

Florentie, die xxi octobris M D i j.

Bl. Bo.

Nicolao Maclauello, Secretario florentino

suo plurimum honorando.

Ad Imola.

5.

Lettera di Niccolò Valori al Machiavelli.

21 ottobre 1502.

Carissimo tamquam frater. Noi habiamo dato per conto vostro a Biagio ducati 40, che meglio non s'è possuto fare per dua cagione: l'una per la scarsità et miseria in che ci troviamo; l'altra mi riserberò nella penna. Se io ho manchato di satisfarvi con i detti, Deus testis, ho sopperito et in publicho et in privato di fare cognioscere le opere vostre; quæ, nihilominus per se luceant, non è fuora di proposito scoprille, et in verità et con i Signori nuovi et Dieci ne ho satisfatto ad me medesimo. Et veramente queste due ultime lettere ci havete mandate v'è suto tanto nervo, et vi si mostra sì buono iudicio vostro, che le non potrebbano essere sute più aprovate; et in spetie ne parlai a lungho con Piero Soderini, che non iudicha si possa a nessuno modo rimuovervi di costì. Et io non manchai fargli intendere quello bisognava fare, et vedrete lo troverrete favorevolissimo alle domande vostre. Confortovi a pacientia, et fare come solete, che doverranno essere più cogniosciute le opere non sono sute qui. Et se io posso nulla per voi, poi non ho fratelli, fo pensiero non vi havere et non mi habbiate in altro luogho che di fratello. Et questa vi vaglia in luogho di contratto. Cristo vi guardi.

Non entro in nuove, perchè etiam non ne voglio da voi.

A dì 21 d'ottobre 1502.

Vostro N. V. in Palagio.

Prestantissimo Niccolò Machiauelli,

Segretario degnissimo.

In Imola.

6

Lettera di Niccolò Valori al Machiavelli.

23 ottobre 1502.

Carissime tanquam frater. Io ho una vostra de' XX, che mi è suta carissima, come mi saranno sempre tutte le cose vostre. Et veramente i raguagli et discorsi vostri non potrebbano essere migliori, nè più approvati. Et volessi Idio che ogni huomo si governassi come voi, che si farebbe mancho errori. Noi qui, perchè le nuove dipendano di costà, non habiamo molto che dirvi. Mandamo ser Alexandro a Roma, che doverrà essere cosa grata a cotesto Principe, et voi ve ne potrete honorare assai. Le gente comandate non si sono mandate alle frontiere, perchè non farebbono sennon male; ma potete bene dire a Sua Excellentia, s'è mandati più conestabili, de' migliori et da fare fatti al Borgho et negli altri luoghi. Et tutta volta si pensa fare qualche dimostratione che darà reputatione a Sua Excellentia, et sicurtà a noi. Circa a' casi miei particulari, Deus testis, che io v'amo et stimo più che fratello. Et perch'io so haresti voglia d'esserci a questa cerimonia del Gonfaloniere nuovo, ne farò pruova, ma non riuscirà, perchè lui etiam non se ne accorda molto. Bastavi in coscientia non s'è mancato secho di fare l'officio per voi, et satisfare alla verità. Et per la fede è fra noi, io in particulare ne ho parlato secho due volte a lungho, in modo credo che d'amicho vi sia diventato amicissimo. Quello desiderate in secondo luogho, non vi doverrebbe essere dinegato; ma questi nostri Collegii sono in modo attraversati, e non habbiamo mai possuto farne fare loro nessuno: non resteremo d'aiutarne, et voi et gli altri. Nè più per fretta, sennone sono senpre a' piaceri vostri. Cristo vi guardi.

A dì 23 d'ottobre 1502.

Niccolò Valori in Palagio.

7

Lettera di Iacopo Salviati al Machiavelli.

27 ottobre 1502.

IHS. Addì xxvij ottobre 1502.

Magnifice Vir, etc. Io ho la vostra de XXIII per la quale resto avisato a quanto vi trovate d'acchatto, et il desiderîo avete di ricuperarlo, per soprire a' vostri affari. All'entrata del futuro mese, o a pochi dì di quello, se ne risquoterà lo viij°, et rimanente dipoi subcessivo per e' tempi correranno.

Et perchè desidero compiacervi, et soprire possiate a' comodi vostri, sono parato servirvi sino a detta somma di mio, non per ritragli di detto assegnamento, ma in presto. Accadendovi, avisate, et pagherogli a chi commetterete, quando così v'attagli. E per questo non acchade altro. Sono a' piaceri. Cristo vi guardi.

Delle nuove, accepto la deliberazione n'avete presa, et quella conmendo.

Iachopo Salviati, in Firenze.

Magnifico domino Niccolao de Machiauellis, apud Ill. Ducem Valentinensem.

A Imola.

8

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

28 ottobre 1502.

Niccolò, anchora che voi siate savio et prudente, et che la mia sia presumptione ad volervi ricordare come habbiate ad scrivere, et di quelle cose maxime che a omni hora vedete in viso; tamen io vi dirò brevemente quello mi occorre, non obstante che qui io habbi facto il debito mio, in tutti quelli luoghi et con tutti quelli che vi havessimo volsuto dare carico. Et prima vi ho ad ricordare lo scrivere più spesso, perchè lo stare otto dì per volta ad venire quagiù vostre lettere, non passa con vostro honore, nè con molta satisfactione di chi vi mandò; et siatene stato ripreso da' Signori et dalli altri, perchè, sendo coteste cose della importantia sono, qui si desidera assai intendere spesso in che grado si truovino. Et non obstante che voi habbiate scripto largamente le genti che si truova cotesto Principe, et li aiuti in che li spera, et il prompto animo suo ad defendersi; et che voi habbiate benissimo dichiarato et le forze sua et quelle delli inimici, et messole avanti alli ochi, tamen voi fate «una conclusione troppo gagliarda» quando voi scrivete, che «li inimici non possono horamai nuocere molto a cotesto Signore;» et a me pare, nonchè di questo ne habbiate havuto carico che io sappia, che voi non ne possiate fare iudicio così resoluto, perchè costì ragionevolmente, et secondo havete scripto, non si debbano publicare li progressi delli inimici, et che forze si habbino così ad punto, da che ha ad nascere il iudicio vostro. «Et qui per diversi advisi si intende le cose de la lega essere gagliarde, et non si fa molto buono iudicio de le cose di cotesto Signore:» sì che come voi havete facto et prudentemente, discorso che havete particolarmente tutto quello ritrahete, «del iudicio rimetetevene a altri;».... et non me ne rispondete cosa alcuna.

La lettera al Salviato si presentò, et lui ve ne risponde. Et scrivendomi voi che, riscotendo, vi mandi la berretta, non havendo riscosso, non credo la vogliate; volendola a omni modo, advisate che la comperrò del mio, et con più rispiarmo potrò. Le altre vostre a Niccolò et Albertaccio similmente si presentorono; et io di bocca feci lo officio da amico con Piero Soderini, leggendoli la vostra; perchè nell'ultimo, dove voi chiedete licentia o etc., lui rise; et io seguitai con dire che mi havate scripto, che se non eri provisto ve ne verresti, perchè havate inteso che qui non si stantiava se non alli electi per li Ottanta, et che voi non volavate consumarvi. Ridendo mi rispose et dixe: - Elli ha ragione, ma li scrive troppo di rado, - et così finirono li nostri ragionamenti. Et io vi conforto ad non adormentarvi, perchè voi non ritrarresti mai il servito; governatevi hora come meglio vi pare....

Il signore Niccolò Valori mi ha facto fare dua lettere in nome vostro, una al signore Luigi Venturi, et l'altra al signore Giannozo, pregandoli vi provegga: et in effecto mi hanno promesso lo faranno. Io ci uso ogni extrema diligentia, et credo bucherare tanto, ve li manderò. Nec plura.

Florentie, die 28 octobris 1502.

Blasius.

Nicolao Maclavello, suo

plurimum honorando.

In Imola.

9

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

3 novembre 1502.

Niccolò mio. Perchè costà non venga huomo sanza mia lettere, vi fo questi pochi versi, havendovi scripto li oggi insieme con una del Gonfaloniere, il quale, poichè intrò in Palazo, pare si sia omni cosa cominciata ad indirizare: et di già ha dato principio di volere che le faccende si faccino ad buon'ora, perchè la mattina a 18 hore, et la sera a 3 omniuno sbuca. Et questa sera ha fatto imbasciatore in Francia il vescovo de' Soderini suo fratello, con tanto favore che è stata cosa mirabile; et ha parlato, poi che fu facto alli Ottanta, et decto che, benchè habbi ad essere al Vescovo cosa grave, pure lui farà ultimum de potentia, che vi vadia, et di certo vi andrà, et con lui Alexandro Nasi. Èssi hoggi cominciato ad assettarli la audentia de' Dieci nel modo sapete; et la nostra Cancelleria per hora servirà a' Dieci, et la sala a noi: et questo vi basti.

Io vi ho scripto havere li 30 ducati, nè volere mandarli sanza vostra commissione; sichè advisate, et tanto farò. Il capitano che pagò il fante ritenne li 30 soldi: faromeli dare se vorrà; se non, harò patentia, et di tutto harete buon conto.

La Lessandra non è ita alla Marietta, perchè la non si parte di casa Piero del Nero, et lei non sapeva la casa; manderovela come prima potrà.

Io vi manderò la berretta di velluto, se voi non scrivete in contrario. Nec plura.

Florentiae, die iij novembris 1502.

Blasius.

Carlino Bonciani, quel bello, è stato morto, nè so da chi.

Giovanbatista Soderini si raccomanda a voi.

Nicolao Malclavello, suo

honorando.

Imola

10

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

5 novembre 1502.

Niccolò mio. Chi iudica le cose troppo presto, spesso si ha ad ridire, come di presente adviene a me. «Il nuovo Gonfaloniere comincia ad rassettare la Città dal volere scemare li salarii a' cancelieri,» et ha facto di havere in nota tutti li ordinari, et il salario loro, in modo che se questa cosa si desta, farà dua cattivi effecti: l'uno della diminutione, l'altro che non obterrà nessuno. Et io vi havevo scripto mirabilia, parendomi pure il principio buono: non errerò più, perchè mi governerò dì per dì, et anche mi parrà lungo tempo, et piutosto farò hora per hora. Voi medesimo conoscete l'importantia della cosa, et quello faccino di malo effecto simili rumori, però non ve ne scriverò altrimenti ad lungo. Io con ser Antonio Vespucci ho facto una diligentia, ma ad dire meglio, ho voluto fare, che mi pareva ci havessi ad giovare assai, et questo era, che in su la nota si mectessi il salario risquotavamo ad punto il mese, ad ciò si vedessi dove battevano le centinaia, et che le non tornavano nulla: non credo si facci anche questo. Et così omni uno s'arrovescia, «et il Gonfaloniere» lo fa sanza saputa nostra: ma perchè io vi ho decto non volere iudicare più sì presto, di questo anchora fo il simile, per non mi havere ad ridire, perchè potrebbe essere che così come elli ha volsuto in nota et tavolaccini et cavallari et omni altro, volessi questo, per il medesimo effecto, cioè per vedere et sapere una volta quanti ministri habbi. Harei caro fussi ad questo fine, benchè il rumore sia in contrario, et parlisi di quello vi ho decto disopra. Stareno ad vedere, et pregherreno Dio ci aiuti.

El tempo della rafferma ne viene forte, et io non piglierò già cura per voi di andare ad dire dello albero et de' fructi, et della mula et della..., perchè non lo farò per me, et anco non satisfarei. Pensate a questo che importa.

Scrivendo ho ricevuto la vostra de' iij, et benchè io sia in faccende, et perciò, Niccolò mio, disperato, sendomi facto forza ad ire in Francia con questi oratori, che sono il vescovo de' Soderini et Alexandro, come vi scripsi, pure ho lasciato stare, o ad dire meglio, lascerò et farò quanto mi dite; et in Francia mi lascerò prima impiccare che andare. El drappo l'acconcerò in modo non si guasterà, et advertirò il cavallaro come advisate.

Dello accatto voi intendesti quello vi scripse il Salviato, et il medesimo mi ha confermato dipoi, dicendomi vi servirà di suo, ma non in su quello assegnamento, volendo, perchè non si può trarre la cosa dell'ordinario: et di quello ve ne havete ad rimborsare hora, lo dirò al Guidotto, et farò quello mi dirà.

Il velluto lo riebbi et andò ad casa.

A Lorenzo ho dato ducati 29, et mi manderà il drappo, et scriverravi, secondo mi ha promesso, del costo et di omni altra cosa; sichè io me ne rimecto a lui.

Scrivendo, Lorenzo è stato ad me et mi dice che, per non havere in bottega raso nero, che sia cosa da servirvi, bisogna lo compri, et che per esser tardi et cattivo tempo, ad volere servirvi bene, bisogna differisca ad lunedì; et io che vorrei fussi contento et havessi honore, non me ne sono curato.

Li ambasciatori vanno via domani, et io credo mi sgabellerò al certo; et portano seco lettere di cambio di Xm scudi per la paga, etc. Et se l'amico fussi vivo, rinnegherebbe Dio, perchè Monsignore subito che acceptò, dixe era a cavallo, et sollicitò Alexandro, et così col nome di Dio andranno. Nè altro di presente mi accade.

La lettera alla Marietta mandai subito, et così manderò l'altra ad Andrea.

Florentiae, die iiiii novembris MDII.

Frater Blasius.

Nicolao Maclavello, suo

plurimum honorando.

11

Lettera di Marcello Virgilio Adriani al Machiavelli.

7 novembre 1502.

Spectabilis vir, etc. Il Gonfalonieri stamani mi ha decto che non li pare ad verun modo che tu ti parta, per non li parer anchor tempo, et lasciare cotesto luogo vacuo di qualche segno di questa Città; per havervi ad mandare un altro, non sa chi si potessi essere più a proposito, respecto a molte cose. Però mi ha decto ch'io ti scriva così, et ti advertisca ad non partire; et se io lo fo volentieri, Dio lo sa, che mi truovo con le faccende mie, con le tue et con la lectione addosso. Et se tu harai ad seguire il Duca o non, andando ad Rimine, per la publica ti si dirà più appunto. Vale.

Ex Palatio Florentino, die VII novembris MDII.

Marcellus Virg.

Spectabili viro Nicolao Malchiavello, Secretario et mandatario Florentino, apud Ill.mum Ducem Romandiole, tanquam fratri.

A Imola.

12

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

12 novembre 1502.

Niccolò honorando. Io vi scripsi hier sera per Carlo cavallaro et non vi pote' mandare quelli danari, che ne ho havuto dispiacere grandissimo per vostro amore, et così la berretta, la quale, benchè havessi nello scannello aconcia, non me ne ricordai. Questa mattina dipoi Lorenzo è stato ad me, et hammi portato li 29 ducati che io li havevo dati, et così per il presente cavallaro, che sarà un Caio, ve li mando, et con epsi la berretta, la quale vi costa uno ducato, che per essere colore vario non ho potuto fare meglio. Habbiate patientia.

[A Li]onardo ho dato la poliza, che risquota quelli 2 fiorini vi toccano hora dello accatto; et havendoli, li manderò ad madonna Marietta, o li farò scrivere a lui ad vostro conto, così li 30 soldi che ancora non li ho riscossi, ma sono in buon luogo; et volendo altro, advisate, che volentieri farò omni cosa.

Di quello vi scripsi dello scemare, etc., non se n'è sentito altro; ma c'è chi dice che non è necessario farlo solamente de' salari, ma anchora delli huomini, Dio lasci seguire il meglio. Et io vi credo ne siate stucco, et che non vi habbi ad dare molta briga; et doverresti fare omni instantia di tornare, come havete facto infino ad qui....

Florentie, die XII novembris 1502.

Frater Blasius.

Niccolao Malclavello maiori

suo honorando.

13

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

15 novembre 1502.

Niccolò honorando. Poichè io hebbi scripto la alligata, comparse la vostra de' 10, et dipoi una delli 8, venuta per uno vetturale. Che vi venga il cacasangue. Et scrivendo la vostra de' 13, et circa ad quello ne ricercate per la preallegata de' dieci, di intendere se io sono ito in Francia, et in che modo me ne liberai, in primis vi respondo, che io mi credo essere in Firenze. Potrebbe essere me ne ingannassi, perchè, considerato la calca me ne fu facto, mi pare ancora essere in compromesso; nè altro mi liberò da tale gita, che una extrema diligentia usata dalli amici, et con lo havere facto io intendere chiaramente lo animo mio al Vescovo, il quale, benchè ancora insieme con Alexandro me ne riscaldassi, pure, mònstroli che io ero per sopportare omni pena piuttosto che andare, mi promisse di aiutarmene, et così fece.

La cagione che ha mosso Monsignore ad andare così presto, non è stata ad altro fine che per amore del fratello, et per credere al certo avere ad fare là qualche buono frutto, per essere appresso la Maestà del Re la Città in buona gratia, et havere tal sicurtà del nuovo Gonfaloniere, che non li sarà dato cagione di alterarla, perchè non se li mancherà de' pagamenti debiti, di uno dì solo. Et hora hanno portato seco li diecimila ducati; et omni bene che ha ad havere la Città, et honore che ha ad havere il fratello, ha ad dependere dalla Maestà del Re, dove, per fare et l'una et l'altra cosa, è ito volentieri, et con animo li habbi ad riuscire, secondo mi dixe al partire suo: et io, conosciutolo, ne sto di bonissima voglia. Hallo mosso anchora la necessità, perchè li pareva si fussi troppo indugiato ad mandarvi oratori, come pareva anchora a voi quando eravate qui, et lui è huomo resoluto. Et dello augmento non ha parlato, ma sì bene Alexandro, il quale per l'auctorità del Gonfaloniere ne è stato contento, benchè nel favorirlo, il Gonfaloniere promectessi al Collegio che per l'advenire non se ne parlerebbe più.

Di quello vi scripsi dello scemarci, etc., non s'è poi altrimenti parlato, nè anche credo se ne habbi ad parlare; et dello ambulare io ne sto di buona voglia, perchè la dispositione universalmente è buona, pure li appetiti sono varii. Et voi staresti meglio qua che costà, et credo desideriate di tornare, ma voi vedete quello vi fa scrivere il Gonfaloniere: governatevene in quel modo che voi crediate obtenere il desiderio vostro, et anche non li dispiacere.

Il presente apportatore vi porterà la berretta et li danari, et sarà Carlo, et vengono ad vostro ristio. Harò caro venghino ad salvamento, che così piacci a Dio et a' ladri.

Mandai la vostra alla Marietta, et le racomandatione et ambasciate ho facte a tutti, et di più raccomandatovi a Giovambaptista Soderini, che li parlo omni mattina allo studio. Et tornate per l'amore di Dio, che io non posso contentare «Piero Guicciardini,» benchè quasi habbi preso la piega: diguazomi il meglio posso, et duro troppa fatica....

A questi Signori pareva che voi indugiassi ad scrivere, perchè una allegata da voi de' dì 5 non comparse mai, nè voi forse la scrivesti; et quel c.... del Totto penò 8 dì ad giugnere, et Carlo hora ha servito benissimo....

Dove si acconci per il Gonfaloniere ve l'ho scripto diffusamente, et di lui non vi ho da dire altro, se non che omni dì li cresce la reputatione, et lui se la saprà mantenere.

Niccolò, voi berete bianco, perchè credesti «fare costì qualche conclusione che piacesse a cotesto Signore,» et questa risposta «la intorbida,» et siate uno c..., se voi credessi che noi voliamo «comperare tanto tanto a punto penitere.»

Mandovi in uno legato 29 ducati, 25 scempi et 2 doppioni, et la berretta. Advisate della ricevuta, et non guardate se non fussi così bello oro, che mi parve fare un mondo ad haverlo così. Vorrei scrivessi ad Niccolò Valori, et lo ringratiassi della opera fece per voi, perchè è huomo che per natura è tirato ad servire li amici. Bene valete.

Florentiae, die xv novembris 1502.

Frater Blasius.

14

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

18 novembre 1502.

E' bisogna che io mi adiri con voi in omni modo, perchè voi mi scrivete per questa vostra de' 14, come se da me venissi lo havere differito ad mandarvi li danari et non da voi, che havete tanta fermeza che non vi basta una hora, ad stare in uno proposito. Voi sapete ch'e' danari io li haveo dati a Lorenzo, et bisognommi poi, havendo voi mutato sententia, expectare Lorenzo che era in villa, ad poterveli mandare; et se io ho differito qualche poco, è stato per il desiderio havevo di contentarvi; et quando io vi offersi de' mia, che di nuovo lo raffermo, non haveo anchora ritracti de' vostri. Et basterà solo un cenno, quando ne vogliate, che io non sono come voi, che vi venga 40 mila cacasangui, che voi havete tanta paura di non havere ad spendere 20 soldi, poi vi richiesi per compare, che io non vi potevo scrivere peggio, che si disdirebbe a me, havendo havuto per maestro uno che era principe delli avari: andate ad recere. Et il voler hora così ad punto intendere della mancia, mi chiarisce più che doverresti a simili cose minime non pensare. Sichè voi la havesti col malanno che Dio vi dia; che io non ho procurato per voi, qui in questa vostra absentia, li casi vostri, come facesti voi nella mia; et il provveditore non è in Firenze, ma a Arezo. Et se voi non volete vi scriviamo più la festa dei Magi, scriverrenvi quella dell'asino, et fareno in modo che vi contenteremo....

Di Dieci non si ragiona per anchora, et di omni altra cosa vi ho scripto adbastanza.

Lionardo Guidotti riscosse quelli dua ducati dello accatto, et halli messi ad vostro conto, come mi ordinaste. Se altro vi accade, semate. Le vostre si dettono.

Florentie, die xviii novembris MDII.

Frater Blasius.

Nicolao Malclavello, suo

honorando.

Imole.

15

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

21 dicembre 1502.

Io vi vorrei scrivere uno guazabuglio di cose, che se io lo facessi vi farei spiritare; però me la passerò di leggieri, et Totto vi raguaglierà della opera che io ho facto col Gonfaloniere, che voi siate provisto; et se l'à havuto buono fine, il provedimento ve lo dimonstra, et della licentia, voi vedrete per la alligata quello vi scriva lo Ill.mo Gonfaloniere nostro. Bastavi che per le cose vostre ho havuto una buona fortuna, non so come io havessi facto nelle mia; ma io dubito che la mancia vostra non vadi ad sacco, perchè qui si grida tra questi cancellieri che voi siate una cheppia, et non facesti mai loro una gentilezza. Et io che desidero purgare omni infamia che vi venissi a dosso, la riempierò loro alle spese et barba vostra; et andate ad recere, se voi non ve ne contentate, che così ha ad ire....

Dalla Corte non c'è anchora lettere, cioè da Monsignore, da una breve letteruza infuora, da Lione; ma bene c'è hoggi lettere inpru.... dalla Corte proprio, et danno nuove dello adrivare suo là, et dicono esserli stato facto honore grandissimo, et visto tanto volentieri quanto huomo che vi andassi mai: intenderete quello seguirà. Ma io vi expectavo in queste belle stanze ad fare buona cera, et per adventura avanti torniate, chi ambulerà qua et chi là. Dio ci aiuti. Io governo in buona parte questo officio al comando vostro, et così mi vo dignazando, et expectovi per Dio con grande desiderio, et non credo veder l'ora; et Madonna Marietta riniega Dio, et parli havere gittato via la carne sua et la roba insieme. Per vostra fè, ordinate che l'abbia le dotte sua come l'altre sua pari, altrimenti non ci si harà patientia.

De' mogliazi ci si sono facti di nuovo, vi ho scripto abbastanza, et il vostro Albertaccio Corsini è delli Octo nuovi.

Io sono successo nel luogo vostro, quando questi Dieci fanno certe cenuze, et ser Antonio sta intozato, tal sia di lui....

Florentie, die xxi decembris MDII.

Frater Blasius.

16

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

9 gennaio 1503.

Niccolò. Io non so quale sia stato maggiore o il carico che havate del non ci adrivare vostre lettere, o il contento che dipoi si è havuto, visto per queste vostre che siate vivo; perchè qui non se ne stava sanza sospecto, veduto che da otto dì che era seguito il caso, non ci era vostre lettere, et pure da omni banda et da omni altri ci piovevano li advisi. Adrivò hieri la vostra dell'ultimo di dicembre, scripta in sulla presura di coloro, la quale fu data in quello di Urbino a uno viandante, et quello che voi spacciasti fu svaligiato, et qui non comparse mai. Et la lettera capitò al Borgo, ad Giovanni Ridolphi, il quale per tucte sua lettere si rimecteva de' particulari a voi, et visto quella breve lettera, si immaginò quello che in facto era, cioè che da voi non si era mancato di diligentia, scrivendo queste formali parole: che s'è portato amorevolmente verso di voi. Le altre vostre del primo et de' dua sono adrivate hoggi, che siamo a dì 9, et così habbiamo havuto cattiva fortuna in questi advisi di questa cosa, benchè di assai luoghi sempre habbiamo havuti li particulari, et assai veri. Doverrete hora poterle mandare più facilmente, avendo più luoghi de' nostri vicini dove fare scala, et non se ne perdere più, che da quella dell'ultimo dì infuora, et queste dua, non ci è capitata altre lettere. Subito che adrivò hieri quella prima, mandai uno correndo alla Marietta, ad ciò non stéssi più sospesa; et hoggi sono stato col signore Domenico Stradi, che fa lo officio del depositario, et hammi promesso di rimborsarmi de li 5 ducati, li quali manderò subito alla Marietta vostra.

Hovi scripto più volte ad questi dì, et datovi molti advisi, et così molte chiachiere. Harò caro intendere se le havete havute. Bene valete.

Florentie, die viiii ianuarii MDII.

Frater Blasius.

Nicolao Maclavello,

suo plurimum honorando.

DOCUMENTO XX.

(Pag. 430)

Lettera dei Dieci al Commissario di Borgo a S. Sepolcro.

Petro Ardinghello Commissar. Burgi. Die xiiij maij 1503. - Noi haviamo questo dì ricevute tre tua, l'una di hieri et l'altre d'avanti hieri; et commendiamoti della diligentia che usi et hai usata in intendere et advisarci. Et perchè tu desideri sapere prima quello che delle genti venute ad Perugia noi ne intendiamo, et dipoi quanto noi confidiamo nella natura et fortuna di quello Duca, ti rispondiamo, che da Roma di coteste genti nè dell'altre non se ne è mai inteso nulla; et se ci havessimo ad rapportare ad quelle lettere, ad Perugia non sarebbe un cavallo; nè ce ne maravigliamo come fai tu, perchè le vengono di verso Roma et non da Roma, sendo sute alloggiate 30 o 40 miglia discosto; et movendosi ad nutum Principis, et ad hora che lo Oratore nostro non ne può havere notitia, non ce ne ha possuto advisare. Pertanto conviene rapportarcene ad te, del quale crediamo li advisi essere fedeli ed ben fondati; nè possiamo di coteste cose fare altro iuditio che si possa chi è costì, nè dartene altro adviso.

Et se noi habbiamo da pensare alla natura et fortuna di quello Signore, non crediamo che la meriti disputa, perchè tucti gli andamenti et cenni suoi meritono di essere considerati et advertiti da chi è discosto, non che da noi ad chi lui è addosso. Nè manchiamo di pensare che quelle genti conviene sieno venute là, o per venire alle stantie, o per assicurarsi di quella città, o per assaltarci per divertire el guasto, o per darci tali sospecti che noi o non diamo el guasto a' Pisani, per paura di essere divertiti, o, dandosi, non si dia gagliardamente, come si farebbe quando fussimo liberi da ogni sospecto. Le prime dua cagioni ci dànno piccola brigha, la terza pensiamo che el Duca ne habbi voglia grande et che la desideri, quando e' non habbi ad havere altro rispecto che 'l nostro. Et perchè noi non veggiamo però che sieno cessati tucti e' rispecti, ne stiamo alquanto sollevati con lo animo, perchè nè lui nè el Papa sono sì pochi obbligati ad el Re, nè el Re ha tanti impedimenti, che loro non li debbino havere, non vogliamo dire reverentia, ma respecti grandi, o che lui facciendo loro qualche temerità non li possa correggere. Et benchè noi conosciamo quello Duca volonteroso, giovane et pieno di confidentia; tamen non lo giudichiamo al tucto temerario, et che sia per entrare in una impresa che facci alla fine ruinarlo, come delli altri che infino ad qui vi sono entrati. Noi siamo però obstinati in questa opinione, anzi crediamo che facilmente ci potremo ingannare, et per questo si pensa ad non lasciare cotesto paese al tucto abbandonato di forze. Diciamoti bene questo, che se si ha da dubitare di assalto manifesto ad 12 soldi per lira, e' se ne ha da dubitare ad 18 soldi di furto, et acciò che lui sotto qualche colore potessi nascondersi, come sarebbe di fare rebellare una di coteste terre, et possere excusarsene. Et perchè ad questo si ha ad pensare più noi, più te lo haviamo sempre ricordato, et di nuovo te lo ricordiamo, che ti guardi dagl'inganni, et di non essere giunto incauto in modo, o che di nocte non ti truovi e' nemici in corpo, o di dì non sia ad tempo ad serrare le porte.

Nè possiamo dirti altro in questa materia, nè dartene altri advisi, perchè quanto ti si discorre et scrivetisi, ti si dice in su li advisi tuoi; et quando quelle genti vi fussino venute per quella quarta cagione di farci risolvere la presa o ire freddamente, siamo disposti che ci facci male la forza et non la opinione. Nè voliamo desistere, nè allentare un punto da lo incepto nostro; perchè ci conforta ad questo el malo essere dei Pisani, el desiderio di toccarne fondo, la causa iusta et li conforti della Maestà del Re, el quale non vorrà che le cose cominciate sotto gli auspitii suoi habbino altro fine che honorevole....

DOCUMENTO XXI.

(Pag. 431)

Lettera dei Dieci ai Commissarî nel Campo presso Pisa.

Commissariis in Castris. Die 27 maij 1503. - Questo giorno occorre fare risposta alla vostra di hiarsera, data ad 2 1/2 di notte, per la quale restiamo advisati della cagione perchè hieri non passasti Arno, et come hoggi disegnavate ad ogni modo passarlo, et noi crediamo lo habbiate facto. Et quanto a' fanti da pagarsi di nuovo, vi si mandorno hieri e' danari, et con lo adviso come havessi ad soldare et pagarli, et così come e' danari dovettono arrivare hiarsera di buona hora, così questa sera debbono essere arrivati Lazzero di Scaramuccia et il Guicciardino, perchè così ci promissono. Et perchè voi ci dite circha el capo da darsi ad quelli cento fanti da farsi costì, non vi parere ad proposito Bernardo di messere Criacho, rispecto alla emulatione, ci conformiamo facilmente nell'opinione vostra; et se per la nostra vi se ne scripse, fu più per ricordo che perchè ne fussimo al tucto resoluti; et però ve ne governerete come vi parrà, et noi tucto approvreremo.

El discorso che voi ci fate del passare in val di Serchio, et la prontepza dello animo vostro, non ci potrebbe più satisfare, il che tanto più vi si adcrescerà, quanto voi vi vedrete provisti di quella forza più per li fanti 200 nuovamente ordinati. Nè vi potremo più confortare ad procedere animosamente et tirare la 'mpresa avanti; perchè veggiamo el tempo fuggirsi fra le mani, et essere in preiuditio nostro et in favore de' nemici, e' quali si vede che non pensono ad altro, se non come e' possessino temporeggiarci. Voliamo nondimancho ricordarvi più per el debito dello ofitio nostro, che per credere che bisogni farlo, che noi equalmente desideriamo et stimiamo la salute di cotesto exercito quanto il danno dell'inimici, et però vi confortiamo ad adoperare in questa parte animo, et in quella prudentia, et ad pensare bene ogni accidente che potessi nascere, non perchè vi facci stòrre dalla impresa, nè dal procedere avanti; ma per farvi entrare ne' periculi con maggiore securtà et più cautamente. Le cose che noi vi havemo ad ricordare in questa parte sarebbono molte; ma non ci pare da dirle per giudicarlo superfluo, sapiendo voi el paese come egli è facto, le fiumare come le stanno, quello possete temere da Pisa per la disperatione loro, quello da Lucha per la invidia et odio naturale di ogni nostro bene. Et havendo innanzi ad gli ochi tucte queste cose, potrete facilmente pensare ad li rimedii, e' quali noi giudichiamo facili, stando voi ordinati sempre, et ciascuno sotto le bandiere sua, non permettendo ad alchuno che esca dell'ordine, o per cupidità di preda, o per altra insolentia che suole disordinare e' campi, et fare spesso ruine grandissime: di che stiamo di buona voglia per conoscere e' capi, et sapere che tenete bene el segno nostro, et vi fate obbidire.

Noi, perchè la desperatione de' Pisani non ci offenda, haviamo provedute quelle tante forze havete con voi; ma perchè l'odio de' Luchesi non vi nuoca oltre alle forze vi trovate, come più dì fa vi si dètte notitia, si mandò Andrea Adimari in montagna di Pistoia, L°. Spinelli in Val di Nievole, et prima si era mandato Girolamo de' Pilli in Lunigiana, con ordine tenessi parati tucti gli huomini delle loro provincie et in su quella frontiera di Lucha, per assaltare e' Luchesi da quella banda, quando e' movessino contro a di voi in su la factione del Val di Serchio. Commissesi loro s'intendessino con voi, et colli cenni, ordini et consigli vostri si governassino. Non si sono dipoi altrimenti sollecitati, per volerli lasciare disporre ad voi, e' quali scriverrete quanto sia necessario, componendovi con quelli del modo, acciò che altri stia a' termini, et che disordine non segua sanza bisogno.

Et perchè voi ci dite, che non potendo condurre con voi in una volta tante vectovaglie in Val di Serchio, che voi potessi fare quella factione, et che, bisognandovi ritornare per esse, è bene pensare di farne una canova o ad Bientina o ad Monte Carlo, vi si risponde che questa cura ha ad essere vostra, et di quello di voi che ha ad rimanere ad Cascina, dove è bene rimanghi tu, Pierfrancesco, ad ogni modo, perchè una volta havete la Comunità obbligata ad portare el pane, havete costì la farina, havete e' ministri che ne hanno carico, a' quali potrete ordinare dove le habbino ad volgere et ad farne canova, per rinfrescarne lo exercito, anchora che ad noi paressi che fussi più ad proposito fare capo con quelle a Bientina che ad Monte Carlo, per potervi servire del lago, et condurvele co' navicelli incontro.

Noi crediamo che vi sia venuto in consideratione in questa passata d'Arno, ch'e' Pisani non possono havere altro expediente ad molestarvi, che assaltare Cascina o qualchuno di cotesti luoghi nostri; et siamo certi, havendovi pensato, vi harete anchora proveduto. Et noi, stimando questa cosa, disegnavamo mandare ad Cascina gli huomini d'arme di Luca Savello, e' quali questa sera in parte debbono essere comparsi ad Poggibonzi. Ma non volendo noi etiam abbandonare in tucto le cose di sopra, per esservi pure qualche cavallo del Duca, c'è parso fermarle ad Poggibonzi, per potercene servire ad un tracto, et ad Cascina et di sopra. Haviamovi voluto scrivere la verità, et voi darete nome che decte genti habbino ad venire subito costì ad Cascina, per tenere e' nemici addreto, et valervi di questa reputatione....

DOCUMENTO XXII.

(Pag. 431)

Lettera dei Dieci ai Commissarî nel Campo presso Pisa.

Commissariis in Castris. Die 14 iunii 1503. - La vostra lettera data questa nocte ad 7 hore, ci dètte et piacere et speranza grande di quello che è poi seguìto, come per l'altra vostra data ad 9 intendiamo, cioè Vico et la forteza essere venuta nelle mani nostre, la quale nuova è stata da tucta questa Città ricevuta con allegreza grande, et ciascuno insieme con epso noi ne ringratia sommamente lo Omnipotente Iddio, et ne exalta et lauda con infinita laude la virtù del signore balì et del signore messer Hercole, et di cotesti altri signori et conductieri nostri, et ne commenda la vostra diligentia et amore verso la patria sua. Et ciascuno crede che questo principio buono et felice ci habbia ad partorire presto fructo più desiderato da noi, et di che ne habbi ad seguire maggiore honore et utile ad cotesto nostro exercito. Et perchè noi conosciamo quanta sia la prudentia di cotesti capitani, et così quale sia la diligentia vostra, et come voi conosciate che la fortuna buona si fa optima collo andare avanti et usare bene l'occasione, nè lasciare freddare la caldeza del vincitore, nè respirare ad chi perde, pensiamo che subito voi harete di già pensato di andare avanti et levarvi dinanzi alli occhi la Verrucola, la quale ci è stata sempre una continua molestia et uno impedimento ad cotesti nostri luoghi all'intorno, et adiuto non piccolo alli inimici. Et tanto più crediamo vi sarete vòlti ad expugnarla, et noi tanto più desideriamo lo facciate, quanto per altri tempi et da chi è capo di coteste genti è stata giudicata tale impresa non molto difficile. Desideriamo adunque che voi la facciate subito et sanza perdere una hora di tempo, perchè non perderemo tempo anchora noi in dare la pagha ad cotesti soldati nel tempo debito. Et quando pure in questa impresa voi vedessi qualche difficultà, la quale non crediamo, ce ne darete subito risposta, significandoci lo animo vostro et opinione di cotesti signori capitani, perchè, come vi si è detto, el desiderio et voglia nostra è che non si perda una hora di tempo; et ci adviserete quando tale impresa non paressi da farsi, quello vi occorra, et così quello che fussi da fare poi, faccendo la 'mpresa della Verrucola, et havendola expugnata. Vale.

DOCUMENTO XXIII.

(Pag. 436)

Lettera in cui Beltrando Costabili, ambasciatore ferrarese in Roma, al Duca di Ferrara, narra la morte di Troccio. - 11 giugno 1503.

Mercuri de nocte passata fu tagliato la testa a Iacobo de Sancta Croce, et la mattina seguente se ritrovò el corpo cum la testa tagliata in Ponte, et lì stette tutto el dì; poi alla sera accompagnato da multi homini et done romane, fu portato a la casa sua, et poi sepulto.

La zobia de matina fu menato Trochia; et secondo intendo, essendo giunto in Ostia la notte, li andò don Michele (capo delle navi pontificie), il quale lo fesce descendere da nave in terra, et dètte voce che 'l se fusse gitato in mare. Poi lo condusse qui, et venendo in Transtevere, intrò nel barco apresso una torre rotunda de le mura, fece fare Papa Nicola, et lì lasciò dicto Trochia guardato da alcuni alabarderi, et lui andò a la Santità del Papa et a la Excelentia del signor Duca; et poi ritornò, dopo spacio de due hore, et fece partire tutti quelli lo haveva lasciato a la guardia de Trochia, restando lui cum due altri soli. Et secondo intendo, el Duca poi li andò, et parlò cum Trochia per un poco; poi, mettendosse Sua Excelentia in loco dove la poteva vedere et non essere vista, Trochia fu strangolato per mano di don Michele. La matina seguente fu dipensata tutta la roba sua, la quale insino a quella hora non era stata mossa, ma solo inventariata, et la famiglia fu licentiata. Et secondo intendo, la Santità de Nostro Signore, havendo longamente parlato de esso Trochia in camera, affirmò che lo era morto, se ben la monstrò che 'l se fusse gitato in mare ad Ostia ed annegato, et poi che 'l corpo fusse stato trovato et portato qui. Et dopoi intendo, che Sua Santità ha pur dicto al cardinal Sancto Severino la cosa come la sta, dicendoli che 'l Duca lo ha facto amaciare a quella torre che è nel barcho, et che Sua Santità non se ne è impaciata.

De li beneficii de dicto Trochia intendo chel migliore ha havuto el cardinale de Trani, uno altro ne ha havuto el cardinale de Euna, et uno altro è in Viterbio ha havuto el cardinale Farnese.

Del fallo suo, altro non se intende se non che Nostro Signore ha havuto a dire più volte, che 'l se ne era fugito perchè el voleva essere cardinale. Dopoi intendo che, havendo veduto Trochia la lista de li cardinali se haveano a creare, el se dolse cum la Santità del Papa, per non li essere lui descripto. Et dicendo Sua Beatitudine che 'l signore Duca havea facto la scripta, intendo che 'l se dolsse poi anche più cum Sua Santità del signore Duca; et che la Santità Sua li dixe che l'hera uno pacio a dire cussì, et che se 'l signore Duca intendesse quello che 'l diceva, lo farìa morire: et per le parole de Sua Beatitudine pare che, impaurito, la matina el se ne fugisse. El che tutto per mio debito significo a Vostra Illustrissima Signoria; et a la sua bona gratia de continuo me ricomando

De V. Ill.ma S.

Rome, xj iunii 1503.

Servo Beltrando De Costabili.

DOCUMENTO XXIV.

(Pag. 449)

Lettera dei Dieci al Commissario in Castrocaro.

5 ottobre 1503.

Amerigo Antinori, Capitaneo et Commissario Castricarii. Die quinta octobris. - Questa mattina si è ricevuto la tua di hieri, et con piacere habbiamo inteso la venuta costì del signor Antonio degli Ordelaffi, che veramente la liberalità sua dello essersi rimesso nelle mani nostre et lo honore che gli ha facto ad questa Repubblica ci ha in modo satisfacto, che quando e' non ci havessi ad muovere altro rispecto ad piacerli, ci ha ad muovere questo. Et perchè e' si hanno in questa materia ad praticare più cose, che hanno necessario della presentia sua qui, e conviene, ad volerne deliberare bene, parlarli ad boca, voliamo gli facci intendere per parte nostra, che, quanto prima e' può, ne venga alla volta nostra. Et t'ingegnerai che parta subito, perchè lo attendiamo acciò non si habbi ad perdere tempo, quando o la occasione o altra cosa si mostrassi favorevole ad li disegni di Sua Signoria et nostri; et ce li offerirai.

Post Scripta. - L'allegata ti si scrive, acciò la possa leggiere et comunicare al signor Giovannantonio, et appresso fare opera come in quella si contiene, che detto Signore ne venga qui; et perchè noi pensiamo che lui habbi bisognio di qualche danaio per potersi levare, voliamo che, ricercandotene lui o bisognandogli, lo serva al più di 25 ducati d'oro, et noi ci obblighiamo ad rimborsartene al primo tuo adviso. Et in summa lo ofitio tuo debbe essere circa al decto Signore, di fare con ogni dextreza che subito ne vengha ad questa volta. Ulterius, noi pensiamo che questa venuta costà di decto signor Antonio habbi dall'un canto dato buona speranza ad quelli di Furlì, che desideravono e' ritornassi per le mani nostre, et fàccilli stare sollevati; et è ragionevole che ti mandino ad fare intendere qualche cosa di loro animo. Dall'altra parte crediamo che 'l maiordomo et altri huomini, ofitiali et partigiani del Duca Valentino, e' quali per ordine nostro da Giovambaptista Ridolfi sono stati intractenuti infino ad qui et favoriti, insospectischino al presente di noi, et dubitino che noi non voliamo perturbare lo Stato di Furlì, et disfavorire el loro Signore con questo signore Antonio, et che quello che noi vedevamo di non potere fare con Madonna et li figliuoli, per le conditioni loro, noi lo vogliamo fare con cotestui. Et essendo certi che le cose di quella terra saranno in tali dispareri, et non ci venendo per ancora ad proposito farci inimici di alcuna delle parti, voliamo, in quanto fare si può, che le s'intractenghino tutte addua, in questo modo: che ad li huomini ed ministri del Duca facci intendere, quando gli vedessi ne' sospecti predecti, che decto signor Antonio si è facto venire di qua solum ad benefitio del Duca loro, per levare ad li Vinitiani questa via di perturbare quella città di Forli, et per chiudere loro quella porta che solo pareva fussi loro aperta; et con questa iustificatione li intracterrai. Et per adverso, a' Furlivesi che favorissino el signore Antonio predecto, et che ti facessino intendere alcuna pratica, mostrerai come noi lo haviamo facto venire qui in Firenze per pratichare, ordinare et disporre seco quanto sia da fare, et che non si mancherà di cosa alcuna. Et così da ogni parte verrai bilanciando la cosa, acciò noi ci guadagnamo tempo, el quale stimiamo assai in questo maneggio; ma bisogna haverci buona prudentia et dextreza, et governarlo secretamente et in modo colorirlo, che nessuna delle parti si advegha di essere o adgirata o tenuta in pratica. Et sappiamo che non ci mancherai dentro, et sopr'ad tucto ci scriverrai spesso quanto harai o inteso o operato in questa materia.

Ricorderenti solo questo, che di tucte quelle cose che aspectono tempo, te ne rimetta ad scrivercene et pigliarne ordine et parere da noi.

DOCUMENTO XXV.

(Pag. 456)

Due lettere del Buonaccorsi al Machiavelli in Roma.

15 e 17 novembre 1503.

1

Niccolò. Elli è comparsa questa mattina la resposta vostra alla nostra delli 8, spacciata ad posta per le cose di Romagna, dove voi discorrete coteste cose lungamente, et maxime di quello si possa sperare costà, che in facto saranno provisioni a fare poco fructo. Et qui si è facto tutto il possibile, et pare a ogniuno che qui la Città, oltre allo interesse suo, habbi ancora operato in beneficio di cotesta Santa Sede, tanto da haverne qualche grado. Et presto si vedrà che Vinitiani non fanno questo per odio del Duca, ma per loro sfrenata cupidità et ambitione, etc.

Io non voglio mancare di farvi intendere in privato anchora, benchè per la nostra di hieri lo harete possuto vedere, che «qui è tanto in odio cotesto nome solo del Duca, che ogni volta che gli è ricordato in una lettera, non pare che vi possi essere cosa più accetta. Et vogliovi dare questo segnio di questa cosa: che, proponendosi ieri per via di parere ne li Ottanta et buon numero di cittadini, se si haveva ad dare il salvacondotto o non, quelli che non volevano furono circa novanta, et quelli del sì circa venti. Et qui» è ferma oppinione che «il Papa voglia levarselo presto dinanzi, et ad questo fine dica di mandarlo in Romagnia, et non per altro; et voi ne lo universale ne siate uccellato,» scrivendo «di lui gagliardo. Nè è chi manchi di credere che voi ancora vogliate cercare di qualche mancia, che non è per riuscirvi,» perchè qui non bisogna «ragionarne,» ma sì bene di qualche cosa che «gli avessi ad nuocere.» Hovi voluto fare intendere questo ad vostra informatione.

Il vostro figliuolo et la Marietta sta bene, et così tutti li altri vostri, et qua vi desiderano. Pregovi che, venendovi alle mani una plasma, ma vorrei fussi piccola, la togliate ad mia instantia, et io rimborserò chi ordinerete. Io non vi scrivo questo, perchè creda ne habbiate ad usare una minima diligentia; ma perchè io non sono chiaro anchora ad facto di voi, et sono un pazo.

Florentiæ, die 15 novembris 1503.

Noi operreno che quello tallo sia di qualità da haverne honore, non dubitate; ma pare uno corbachino, si è nero.

N[icolao] Maclavello, Secretario

flo[renti]no, Romae, suo honorando.

2

Questa mattina ho ricevuto la vostra delli XI, col postscripto de' XIII, che dovesti ricordarvi di me ad punto quando andavate al cesso, poichè voi la trovasti tra li scartafacci, cercando di qualcosa per uno paragone. A l'usato, et basti.

Voi doverresti esser chiaro che nelle cose che vi importano, io non le ho altrimenti mai havute ad quore che le mie proprie. Et però, se vi scripsi del fanciulo mastio, vi scripsi la verità; et di più vi dico che la Marietta l'à dato ad balia qui in Firenze; et lui et lei sta bene, gratia di Dio. Vero è che la vive con grandissima passione di questa vostra absentia; nè vi è rimedio. Et quando la Lessandra potrà andarvi, non ne mancherà, che pure domenica vi fu. Et lei et io pensiamo sempre ad farvi piacere. Così pensassi voi ad me.

Io vi scripsi ultimamente, non mi ricordo già del dì, tutto quello mi occorreva, che vi fu qualcosa da haverlo caro. Se voi harete facto all'usato, non lo harete letto. Vostro danno. Nè io vi scrivo con altro animo. Dal canto mio non si mancherà mai del debito, benchè alle volte mi adiri, et ad ragione.

Piacerami habbiate aggiunto alla lettera mia al Cardinale quello dite, di che ne dubito. Non dubito già della ricevuta, perchè ne ho da lui risposta. Voi sapete il desiderio mio; et buscando per voi, ricordatevi che io sono qui in tanta fatica et servitù quanto posso, con quello emolumento vi è noto.

Li ambasciatori per costì s'apprestano, et hanno il tempo assignato tutto dì 25 di questo. Et Niccolò Valori anchora presto ne andrà in Francia.

Erami scordato respondere alla domanda vostra delli altri compari, che furono messer Batista Machiavelli, messer Marcello, Lodovico, il capitano Domenico et Io, di bella brigata: et demovi tutti grossi nuovi. Bene valete.

Florentiae, die xvii novembris MDiii.

Uti frater Bl.

N[icolao] Maclavello, Secretario

F[lore]ntino, Romae, suo honorando.

Romae.

DOCUMENTO XXVI.

(Pag. 463)

Lettera di Biagio Buonaccorsi al Machiavelli.

4 dicembre 1503.

Compare honorando. Questa mattina ho ricevuto dua vostre de' 29 et 30, et mi maraviglio non habbiate ricevuto mie lettere da' 21 in qua, che pure vi ho scripto dua o tre volte, et ultimamente per le mani di Bolognino, quale venne in costà con danari del Re; la quale mi sarà caro intendere habbiate ricevuto, perchè per vostro amore ne desidero risposta, ad ciò si mitigassi il signor Agnolo Tucci, il quale, come per quella harete visto, era alterato gravissimamente contro di voi, per non li havere mai resposto, che dice havervene facto scrivere dal Gonfaloniere et da quanti Cancellieri è in questo Palazo. Scripsivi qualcuna delle parole che, in presentia di tutti Signori, haveva usato contro di voi, che invero «furono di mala natura;» et tutti gli altri Signori «stettano ad udire, che chi per una passione et chi per un'altra, non si hebbono per male. Et alla tornata vostra vi raguaglierò di cose che non le iudico da scrivere. Bastivi che ci è di maligni cervelli, et a chi dispiace scriviate bene di Volterra, et a chi un'altra cosa; et così altri con poco suo grado si affatica, et con mettervi del suo.»

Se voi fusti stato presente alla resposta, haresti iudicato vi amo più che me medesimo. Non mi sforzerò già di persuadervelo altrimenti, perchè un dì harete tanti riscontri di questo che lo crederrete, et forse userete verso di me altri termini non havete facto fino qui. Et dove io possa farvi honore, o di parole o di facti, sanza respecto la do per il mezo. Nè sono per mutarmi mai di questo animo, anchorachè poco vi possa fare. Chi vi scrive che troviate altro exercitio non vi vuole bene, perchè io non veggo altro pericolo ne' casi nostri che il consueto. Il Vespuccio una volta ha carpito il tordo, che buon pro li facci, et anche a noi altri se ci riuscirà. Credo habbiate speso assai, et spendiate anchora: non so già come qui habbiate ad esserne satisfacto. Una volta li ambasciatori verranno, fra 4 o 5 dì, et voi harete subito licentia. Et io non so per anchora niente di venire, nè qui si pensa a questo. Verranno honorevolissimamente ad ordine, et maxime il Girolamo et Matheo Strozzi, che si fanno vesti et altre cose sumptuosissime; et credo hareno honore....

«Intendo che il Gonfaloniere pensa mandarvi con Roano verso Alamagnia, per essere là a questo loro Parlamento.» Se fa per voi, bene quidem; se no, ordinate li defensivi. «Ma questo sia secreto, chè mi faresti danno assai.»

La Marietta non ha possuto fin qui scrivere, per essere in parto; credo lo farà per lo advenire. Et pure hieri vi andò la Lessandra, et per Dio non è possibile farla acquiescere che stia in pace.

Duolmi delli affanni vostri, et a Lodovico Morelli farò l'ambasciata. Sarà in una poliza in questa, quello desideri per il fratello, quello de' Tucci; et dice che, spendendo, vi rimborserà. Pregovi ne riscriviate una sola parola. Bene valete.

Florentiae, die 4 decembris MDiij.

Frater Bl.

Nicolò vostro dice non vi scrive per non vi dare noia, che ha raguagliato Totto vostro; et li casi sua non vi ricorda.

Nicolao Maclavello, mandatario [et] Secretario fiorentino, tanquam fratri honorando.

Romae.

DOCUMENTO XXVII.

(Pag. 469)

Lettera dei Dieci ad Antonio Giacomini.

20 agosto 1504.

Antonio Jacomino. Die xx augusti 1504. - Hiarsera ti si scripse della deliberatione facta da noi circha el voltare Arno alla Torre ad Fagiano, et come noi volevamo fare questa factione subito dopo el guasto, et che per questo egli era necessario che tu pensassi dove, dato el guasto, stéssi bene el campo, per rendere securo chi lavorerà ad tale opera. Di nuovo ti replichiamo per questa el medesimo, perchè tale deliberatione è ferma, et voliamo ad ogni modo che la si metta innanzi; et però bisognia che oltre allo aiutare tale cosa collo effecto, la si aiuti etiam colla demostratione. Questo ti si dice, perchè se fussi costì alcuno condottiero ad chi non paressi, voliamo tu li possa fare intendere quale sia lo animo nostro, et che noi voliamo unitamente et con le parole et co' fatti la sia favorita.

Et perchè noi non voliamo che si perda punto di tempo, domattina manderemo costà Giuliano Lapi e Colombino, ad ciò sieno teco, et, mostroti el disegnio, possiate ordinare quanto sia necessario. Et acciò intenda qualche particolare, e' si è ragionato che bisognino dumila opere il dì, et che gli habbino le vanghe et zappe; voliamo pagare questi huomini ad dieci soldi el dì per ciascuno. Bisogna adunque pensare se di cotesto paese all'intorno se ne può trarre tanti, perchè bisognia che siano buoni, pagandogli noi nel modo soprascripto. Et havendo ragunato così 1000 marraioli, secondo lo adviso di Francesco Serragli, potrai examinare fra loro quali sieno sufficienti all'opera soprascripta, et li farai fermare et provedere degli instrumenti loro; et el resto provedere in quel modo che ti occorrerà meglio. Et non ti bastando ad adempiere el numero questi luoghi convicini, te ne andrai ne' luoghi più propinqui; et quando non si potessi el primo dì cominciare la opera con dumila huomini, voliamo si cominci con quegli più si può, et così quanto prima si può, adempia el numero decto.

Ragionerai tucte queste cose con Giuliano Lapi, et ti varrai dell'opera sua per comandare ad quelle cose che in tale factione sono necessarie. Mena decto Giuliano seco tre o quattro huomini per valersene, et noi facciamo conto che tu ti vaglia, oltre ad quelli, di Pagolo da Parrano et altri simili, che fussino in cotesto campo buoni ad essere soldati, et ad indirizare una simile faccenda. Nè ti scrivereno altro in questa cosa, ma ci rimettereno ad quello che ad bocca ti discorrerà Giuliano Lapi. Et el disopra ti si è scripto, acciò che intenda avanti allo arrivare suo, e' meriti di questa cosa, vi volga l'animo, et ti prepari ad quella con ogni modo possibile.

Fara' ci scrivere appunto da chi ne ha la cura, quante marre, vanghe, pale, et libbre d'auti si truovono costì in munitione, et di tucto ci darai adviso. Potrai cominciare ad fare comandare e' Comuni che venghino con quelli huomini ti parrà, et un dì, quale tu giudicherai che si possa, principiare l'opera; et farai che portino seco la metà vanghe, et l'altra metà meze pale et meze zappe.

DOCUMENTO XXVIII.

(Pag. 471)

Lettera dei Dieci al Commissario T. Tosinghi.

28 settembre 1504.

Tomaso Tosinghi, Commissario in Campo. Die 28 septembris 1504. - Questo dì si sono ricevute tre vostre lettere di hieri, le quali, perchè ci confermavano in quello medesimo che voi ci havevi scripto per la de' 26 dì, accrescendo le dubitationi et le difficultà circa el fornire coteste opere, deliberamo haverne consulta del Consiglio degli Ottanta, et di buon numero di cittadini, per vedere come havamo ad procedere. Et insumma, loro consigliono che per ogni respecto si debbe ire avanti et non abbandonare l'opera, anzi raddoppiare la buona diligentia, perchè l'abbi el fine si desidera, et non perdonare ad alcuna spesa, nè disagio; et lo hanno consigliato con tanta caldezza che non si potrebbe stimare. Pertanto è bene che si faccia in modo che nè per voi, nè per noi manchi, et se sturbo veruno habbi ad seguire, nasca dal tempo; perchè desideriamo, avendoci addolere di alcuna cosa, dolerci del tempo et non delli huomini. Et per non mancare dal canto nostro, questa sera manderemo danari per li operai, et così sollecitereno le altre cose che per noi si hanno ad sollecitare. Ma perchè e' danari et el tempo si spenda utilmente, ci pare che non si spenda ad nessuno modo danari in quelli operai che voi giudicate disutili, così di quelli che si truovono costì, come di quelli vi venissero per lo advenire. Et però potrete tali disutili licentiare, perchè voliamo piuttosto habbiate 500 huomini che sieno buoni, che 1000, et che ve ne sia 500 inutili.

Vorremo, oltre ad di questo, che si pensasse come infinite volte si è decto, che quando pure el tempo sforzassi ad levarsi, la opera restassi meglio et più perfecta che fussi possibile, il che ci parrebbe seguissi quando voi ordinassi in modo quello è facto, che tucto operassi qualche cosa. Et però vorremo che con sollecitudine si attendesse ad ridurre la pescaia in modo che la facessi qualche operatione, et che le piene la fermassino et facessino più forte, et così che si sboccassi ad ogni modo el secondo fosso. Et se non si potesse detto secondo fosso condurlo ad Arno tucto largo come e' fu cominciato, vi si conducessi con quella largheza si potessi, acciochè per qualche modo e' pigliassi le acque, et non havessi ad rimanere una buca in terra senza fructo. Parrebbeci anchora che voi facessi la sboccatura di quel fosso fornito, largo almeno cento braccia, ritirando la largheza in verso dove havessi ad essere la bocca del secondo fosso; et se voi non potessi fare questa tale sboccatura quadra, la farete smussata, facendo che el più largo fussi dalla parte del fosso fornito. Questa cosa ci parrebbe che déssi la via più facilmente all'acqua, che con maggiore empito entrassi nel fosso, et togliesse facilità a' Pisani di chiudere la sboccatura, sendo largha. Di nuovo vi si dice che noi desideriamo che l'opera si tirassi innanzi infino al fine, servendo el tempo. Ma perchè el tempo può guastarsi ad ogni hora, vorremo che si lavorasse in quello che facessi l'opera più utile, il che ci pare che sii il fermare la pescaia, sboccare quomodocunque el fosso secondo, et al fosso primo fare una sboccatura. Noi penseremo in questo mezo dove debbino andare cotesti huomini d'arme alle stanze, et te ne mandereno listra, acciochè, bisognando levarsi in un subito, tu sappi dove si habbino ad distribuire, et non segua disordine. Ma terrai questa cosa in te, acciochè, sappiendosi per il campo, e' non cominciassino a levarsi prima che tu non ordinassi o che non fussi el desiderio nostro. Et perchè tu ci scrivi che il sig. Marcantonio desiderrebbe essere alloggiato in Maremma, potrai nel discorso del parlare dirli, come tu credevi che si fussi pensato qui, per honore della sua persona, et per riputatione delle cose nostre costà, di alloggiare la persona sua et li cavalli leggieri in Cascina, et le genti sue d'armi ne' luoghi convicini et commodi.

Intendiamo oltre ad di questo quello tu scrivi delle castagne, le quali noi desiderreno tòrre ad li Pisani ad ogni modo; et però vorremo pensassi ad questa cosa, et ci scrivessi el modo come ti paressi da procedere, et se andandovi con una scorta grossa et con li huomini del paese ad ritorle, e' bastassi. Communicherai questa ad Giuliano Lapi.

DOCUMENTO XXIX.

(Pag. 471)

Lettera dei Dieci al Commissario T. Tosinghi.

30 settembre 1504.

Tomaso Tosinghi in Castris Commissario. Die xxx septembris 1504. - Hieri et avanti hieri et questa mattina ti si scripse particularmente quale fussi el nostro desiderio circa el procedere nelle cose di costà, et di nuovo brevemente ti replicheremo, come noi vogliamo si stia tanto in campagna et si seguiti cotesta opera, quanto el tempo ci serve, el quale, per essere questo dì bellissimo, ci dà speranza che, se non mancha da voi, cotesta impresa debbi havere el fine desideriamo. Et vi si ricorda particularmente el fortificare la pescaia, et ridurla in termine che la facci qualche fructo, et così che voi diate la perfectione ad quel secondo fosso, et lo riduciate in termine che pigli dell'acqua; et sopra ad ogni altra cosa, vi si ricorda fare l'abboccature de' fossi larghissime, in modo che fra l'uno et l'altro fosso presso ad Arno, almeno ad cento braccia, non rimanghi punto di grotta, anzi sia sgrottato ogni cosa, se non infino al piano de' fossi, almeno quanto più giù si può, acciò che venendo Arno grosso, et non trovando chi lo ritengha, e' rovini più facilmente verso quella parte donde se gli è cominciato ad dare la via. Noi ve lo replichiamo spesso perchè lo desideriamo, parendoci che, potendosi finire l'opera o non si potendo finire, questa sia una delle più utili cose et delle più necessarie che voi dobbiate fare. Non voliamo manchare farvi intendere come e' ci è venuto ad notitia, che in Barbericina et etiam da cotesta parte d'Arno donde è il campo, si truovono anchora ritte buona quantità di biade; di che ti diamo notitia, perchè vorremo che ad ogni modo le si togliessino o guastassino a' Pisani. Et se non si potessi nè guastare nè tòrre quelle di Barbericina, si guastassino almeno quelle che fussino da cotesta parte del fiume; però intenderai dove le sieno, et vedrai ad ogni modo di privarne e' nemici. Vale.

Sendosi dato per il Consiglio Grande della nostra Città, autorità amplissima a' nostri Excelsi Signori di potere per arbitrio loro perdonare et rendere e' beni ad qualunque Pisano, ti mandiamo, in questa, copia d'uno bando, per il quale si possi pubblicare tale loro autorità; el quale bando vorremo che tu mandassi ad quella hora ti paressi più comodo, in lato che chi fussi in sulle mura di Pisa lo potessi udire; et dipoi lo mandassi anchora in cotesto exercito nostro. Vale.

Per parte de' Magnifici et Excelsi Signori Priori di Libertà et Gonfalonieri di Iustitia del Popolo Fiorentino, si fa bandire et pubblicamente notificare, come egli è stato ad loro Excelse Signorie conceduta amplissima autorità et facultà dal Popolo et Consiglio Maggiore della città di Firenze, di potere concedere venia per arbitrio loro ad ciascuno di qualunque grado, stato o conditione si sia, el quale al presente habiti nella città di Pisa, et restituirli e' suoi beni, et adsolverlo da qualunque delitto, maleficio o oxcesso, per alcun tempo infino ad questo dì havessi commesso.

DOCUMENTO XXX.

(Pag. 471)

Lettera dei Dieci al Commissario T. Tosinghi.

3 ottobre 1504.

Tomaso Tosinghi, Commissario in Castris adversus Pisanos. 3 octobris 1504. - Per questa tua di hieri mattina, data ad levata di sole, siamo advisati di molti particulari del fosso facto, et dello ad farsi, et della pescaia, et così di tucta l'opera: commendiamoti del ragguaglio. Restaci hora solo un desiderio d'intendere quello habbi facto tanta acqua che voi ci scrivete havere preso et continuamente pigliare el fosso facto; perchè vorremo intendere bene dove l'approda, et quello che la fa, et quanto s'allargha, et che volta piglia, et se la è ancora condocta allo stagno. Intendiamo appresso con piacere grande che del secondo fosso sia fornito per tucta la sua lungheza, una largheza di 10 braccia, et come per tucto dì di hieri non vi doveva restare altro che 80 braccia di sboccatura, la quale voi disegnate largha 55 braccia; et benchè voi ci scriviate che con ogni studio et diligentia voi adtendiate ad decta sboccatura, nondimeno vi ricordereno quello ci occorre. Noi intendiamo quello che voi dite della difficultà che ha cotesta sboccatura ad cavarsi, rispetto alla strada et alla grotta dove è el terreno più fermo et più forte che in tucta la coda del fosso; intendiamo come fra sei dì credete haverla fornita, secondo el parlare di cotesti capi maestri, et come e' se ne potrebbono ingannare, etc.; et examinato con quante difficultà vi si conducono gli huomini, et con quanta, condocti vi sono, voi ve gli mantenete, stiamo con dispiacere in qualche parte di questa cosa; perchè, scorciandosi el tempo, giudichiamo che bisognerà levare mano subito, veggiendo maxime la voglia di coteste genti d'arme, et quando el tempo non si scorciassi, la pagha delle fanterie ci è addosso. Pertanto noi vorremo che si attendessi con quella più diligentia è possibile alle sboccature, et però ci parrebbe che voi deputassi al lavorare in su la sboccatura del fosso secondo, et in su el fare più largha quella del primo, tucte quelle opere che vi si possono maneggiare; et se ve ne avanzassi, non levando mano dalla pescaia, nelle cose necessarie, ci parrebbe le mettessi a lavorare in allarghare più, secondo el primo disegno, la coda del secondo fosso; et potrete cominciarvi da capo, andando lavorando col benefitio del tempo et della fortuna, perchè si potrà ogni volta levar mano, et tucto quello che sarà facto, recherà utile all'opera, et quello che rimarrà ad farsi, non la disturberà.

Tale modo ci pare da tenere per le cagioni dette; et perchè voi ci ricordate vangatori et danari, vi diciamo che bisogna teniate ordine che non si fughino, perchè fare venire nuovi huomini da San Giovanni et Mugiello non sarebbeno a tempo, et tucti questi Vicarii credono che voi teniate quelli vi si sono mandati infino all'ultimo dell'opera, perchè altrimenti loro non li possono ogni dì mandare. Pertanto, se voi gli lasciate fuggire ad stiere, voi rimarrete in secho, et quanto a' danari, noi hiarsera l'altra si mandò ad Giuliano Lapi 200 ducati, et questa sera se ne manda dugento altri....

E' caporali di coteste genti sono stati qui, et in summa ci siamo resoluti con quelli, si stia costì tanto che la opera sia finita, servendo el tempo; habbiamo bene detto loro questo: che fra sei o otto dì crediamo che la harà hauto el suo debito. Et perchè Marcantonio Colonna ci fa intendere desiderare venire infino qui, siamo contenti gli dia licenza vengha la sua persona, con ordine di ritornare in costà subito. Vale.

DOCUMENTO XXXI.

(Pag. 478)

Lettera dei Dieci a Giovan Paolo Baglioni.

9 dicembre 1504.

Johanni Paulo de Balionibus. 9 decembris 1504. - Havendo noi inteso più volte da qualche giorno in qua, et da più luoghi da prestar loro fede, come Bartolomeo d'Alviano ingrossa in terra di Roma di gente, non vi habbiamo vòlto molto lo animo, giudicando che la non possessi essere cosa di molto momento, et non appartenente allo Stato nostro. Ma havendo inteso nuovamente el medesimo, et di più come e' Vitegli fanno el simile, et richiamano tucti li huomini d'arme, usi ad militare sotto e' padri loro, et rassettono insieme tucte le bandiere delle lor fanterie, et che sono uniti con decto Bartolomeo, et che gli hanno delli altri seguaci; ci è parso, anchora che per questo non ci sia cresciuto molta dubitatione, di darvi notitia di quanto per noi s'intende, non per altra cagione che per riscontrare con Vostra Magnificentia questi advisi, et di più intenderne l'opinione et el parere suo, et che iuditio ne facci; et se tali ristringimenti sono veri, ad che fine si faccino, et se altri che Vitelli et Alviano convengono con questi preparamenti, et qual fine sia el loro; perchè in su l'opinione di Vostra Magnificentia ci riposereno assai; la quale per essere più propinqua loro, et per molti altri respecti, ne harà potuto intendere el vero o coniecturarlo. Et ad questo effecto le mandiamo ad posta el presente nostro cavallaro, ad ciò habbi più occasione di responderci indreto.

Ulterius, ricercando questi tempi che si riveggha spesso le sua armi in viso, per satisfarsi nel riconoscerle, et per potersene servire, bisognando, desiderremo che quelli suoi huomini d'arme et cavalli leggieri che per loro commodità si ritruovono nel Perugino, ritornassino alle stanze loro, acciò che in sul dare questi nuovi danari o prima, li possiamo vedere in viso et rassegnarli. Nè altro, se non offerirci alla Signoria Vostra.

DOCUMENTO XXXII.

(Pag. 478)

Lettera dei Dieci al Capitano di Livorno.

10 gennaio 1504 (1505).

Al Capitano di Livorno. Die x ianuarii 1504. - La Excellentia del Gonfaloniere nostro ci ha mostro una tua lettura che tu li scrivi, dandogli notitia delle cose di costà, et della buona et diligente guardia che per te si fa in cotesto luogo, il che ci è suto sommamente grato, perchè in vero non habbiamo al presente chosa che noi desideriamo più che cotesta. Et di tale tua diligentia ci fa assai buona testimonianza, lo esservi stato ropto la carcere, et tractone el prigione sanza che da te o da altri per tuo ordine sia suto sentito, et dipoi sanza essere visto se ne sia per le mura fuggito, in modo che ogni poco meno di diligentia che per te si fussi usata, posseva costì nasciere caso di maggiore importanza e per adventura inremediabile; perchè chi può uscir fuora per le mura senza esser visto, può etiam sanza esser visto entrar drento; et così chi sanza esser sentito può rompere una prigione, può etiam fare delle altre cose più pernitiose, le quali non hanno per adventura bisogno di tanto aiuto, et con mancho strepito si possono condurre. Pertanto noi non restereno mai satisfacti della tua diligentia, infino non intendiamo che tu l'habbi in modo raddoppiata, che costì non si possa muovere una foglia che la non si veggha o non si senta; et perchè noi speriamo che ad questa hora tu harai ritrovato chi è suto autore della roptura della carcere et della fuggita del prigione, voliamo ce ne dia subito notitia, scrivendoci chi furno et di quale compagnia sono et da quali cagioni mossi. Et quando tu non li havessi anchora ritrovati, userai diligentia in cercarli per poterci satisfare in darcene notitia.

Tu accenni, oltre ad di questo, nella preallegata lettera al Gonfaloniere nostro, come haresti da dire altre cose, oltre ad quelle scrivi che ragguardano alla salute di cotesta terra, et sono d'importantia grande; ma non lo fai per esser cose da riferire ad bocha. Donde e' ci pare che in questo caso tu non usi minor prudentia che ti habbi usata diligentia in quel primo; et veramente le cose d'importanza si debbono tener segrete, ma non tanto che per ignoranza di quelle non vi si possa provedere. Et però era bene considerare che tu parlavi di Livorno, et che bisognia parlar chiaro, et le cose d'importanza dirle, maxime scrivendo alla Excellentia del Gonfaloniere in particulare, del quale ragionevolmente doverresti confidarti. Et però se tu hai da dire alcuna cosa, dilla et scrivila larghamente, acciò che vi si possa fare provisione, et che noi non restiamo in aria per li advisi tuoi.

DOCUMENTO XXXIII.

(Pag. 486).

Lettera dei Dieci a P. A. Carnesecchi

Commissario in Maremma. - 6 giugno 1505.

Ad Pierantonio Carnesechi. Die 6 iunii, in Maremma. - Le ultime tue de' 3 et 4 del presente, per essere più copiose di advisi delle cose di Piombino, ci hanno dato alquanto più piacere, et più ci hanno satisfacto che le altre tua; perchè quanto alli advisi, come hiarsera ti si scripse, desideriamo essere tenuti un po' meglio raggualiati; dell'altre cose ne siamo sempre restati cumulatissimamente satisfacti. Habbiamo notato inter alia, in queste tue lettere, come tu ricordi che sarebbe bene, per fare venire in maggiore desperatione e' subditi di quello Signore, et per fare riconosciere lui de' suoi errori, prohibire alli suoi subditi che non potessino venire nel dominio nostro, nè godere el benefitio et commodo traggono delle mulina, come fanno continuamente; et havendo bene discorso et examinata questa cosa, laudiamo assai questo tuo motivo, et lo metteremo ad effecto, quando non credessimo che questo havessi ad essere un principio di zuffa. Et però, pensato ad tucto, voliamo che si tenti una terza cosa; et pare con questo pigliare occasione d'appiccare ragionamento, et intendere et scoprire in parte lo animo di quel Signore, et questo è che tu li scriva una lettera con quella prudentia che tu saprai; et li mostri maravigliarti assai della prohibitione che Sua Signoria ha facta, che non entrino subditi nostri nella sua terra; et che tanto più te ne maravigli, quanto tu non sai indovinare la cagione; et li dirai non havere voluto scrivercene, se prima non intenderai la causa da lui, perchè e' fa tale prohibitione, desiderando che più presto, con rimutare quel suo edicto, noi non lo havessimo hauto ad sapere, che, sappiendolo, noi fossimo forzati ad prohibire anchora noi e' paesi nostri a' subditi suoi. Et lo graverai ad volerci scrivere se si tiene offeso, o si truova in alcuno sospecto d'alcuno nostro, promettendoli essere parato ad iustificarlo con quella facilità che il vero si iustifica; et in questa sententia li scriverai con quella prudentia che ad te occorrerà, et della risposta ci manderai copia.

Quanto alla paga di cotesti conestaboli, qua non si pensa ad altro che alla expeditione d'epsa, et subito si manderà. Noi scriviamo l'alligata ad messere Criacho, per la quale l'imponiamo si transferischa in Cascina, dove voliamo stia per capo di quella guardia, et con la provisione sua ordinaria, et con cento provigionati: nè se li dà più compagnia, per non essere necessario accrescere quivi più guardia. Conforteralo ad risolversi et presto, secondo el voto nostro, monstrandoli che chi vuole bene da questa città, bisogna si lasci regolare et governare ad lei; et non voglia che lei sia regolata da lui; et che questa via è da ire insino in cielo, dove noi siamo per condurlo et presto: quando altrimenti, che sarà male consigliato. Vale.

DOCUMENTO XXXIV.

(Pag. 486)

Lettera dei Dieci al Governatore Ercole Bentivoglio.

28 giugno 1505.

Ad messere Ercole Bentivoglio Governatore. Die 28 iunii 1505. - Quanto la S. V. discorre per questa sua de' 26, ci satisfa assai, parendoci che sia tucto bene considerato et ragionevole. Et perchè quella presuppone che questi fanti venuti ad Piombino sieno paghati da' Sanesi et da' Luchesi, et che vi sieno condocti con consentimento loro (e' quali giudichano più facilmente farci ritirare da la impresa di Pisa, et per conseguens tenerla più viva in questo modo, che se li havessin seguitato di pagare e' fanti et cavalli di Pisa, come feciono lo anno passato); et così questi fanti, secondo quello scrive la S. V., satisfanno al desiderio de' Luchesi et Sanesi, et a Consalvo assicurarsi che Pisa non ci verrà sotto, non voliamo manchare di farvi intendere quello che contro ad tale opinione s'intende. Riferisce alcuno che ha hauta qualche tempo la mente del Signore di Piombino, come sendo decto Signore, poichè li entrò in quello Stato, vixuto sempre con paura che noi o Pandolfo non ne lo priviamo, monstrò prima di confidarsi di Pandolfo più che di noi, presupponendo che lui havessi meno animo ad ingannarlo; et Pandolfo, che dubitava che noi non ce ne insignorissino, attese sempre ad crescerli e' sospecti in modo, che nè e' nostri buoni portamenti, nè la fede observata, nè e' benefitii li habbiamo facti, li hanno mai possuto trarre questa gelosia dal capo. Nè si è però tanto diffidato di noi che interamente si fidassi di Pandolfo, come di sopra si dice; onde vivendo in questa diffidenza, pensò ricorrere ad un terzo aiuto, et non lo trovando propinquo, si gittò ad intractenere Consalvo, con el quale dice costui essere chiaro che li ha contracto parentado, et che sarà presto per scoprirsi. Et di questa confidentia che el Signore ha hauto in Consalvo, ne allega, che tenne già praticha di assicurarsi per via del Papa, et come e' trovò luogho in Consalvo, lo lasciò. Dice questo tale havere sollecitato decto Signore Consalvo al mandargli in casa questi fanti, per esserli cresciuto el sospecto di Pandolfo, rispecto allo havere alle spalle Bartolomeo d'Alviano, in campagna et sanza partito et sanza stato, del quale ha dubitato, che con consenso di Pandolfo, sotto colore di passare per ad Pisa, non se li gittassi in casa; et Consalvo ha mandati volentieri tali fanti, perchè li torna ad proposito haverli quivi, per tenerci indreto et sbigottirci da el fare la 'mpresa di Pisa; et che ad Consalvo non è importato molto el tenere questi fanti più ad Piombino che nel Regno, havendoli ad paghare in ogni modo; ma piuttosto ci guadagna per discaricarsene, faciendoli pasciere in sul paese d'altri.

Et così giudicha costui che, sendo venuti decti fanti sanza participatione de' Sanesi et Luchesi, che non sieno per havere altra coda, nè possino fare altra factione, nè che sia da temerli, se non per quanto possono per il numero sono. Nondimancho la conclusione vera è, che questi 800 fanti sono là in vicinanza nostra, et che bisogna pensare che possino havere coda et possino non la havere, et fare in ogni opinione quelle provisioni si può, delle quali non siamo per manchare. Et ad Volterra et ad Campiglia et ad Pescia si è ricordato quello habbiamo giudicato convenirsi per la salute di quelle terre, ad ciò si preparino che di furto non possino essere offesi. Alle forze si provedrà ogni volta s'intenda che maggiore bisogno lo richiegga; nè siamo per abbandonarci, nè dubitiamo etiam essere abbandonati. Et Vostra Signoria si transferirà personalmente in tucti quelli luoghi, dove ella crederrà fare qualche fructo per honore suo et securtà nostra. Valete.

DOCUMENTO XXXV.

(Pag. 490)

Lettera dei Dieci a P. A. Carnesecchi

Commissario in Maremma. - 30 luglio 1505.

Pier Antonio Carnesechi. 1505, die 30 iulii. - Noi habbiamo questo dì ricevute dua tua lettere di hieri, le quali ci hanno dato dispiacere, veduto quanto tu monstri di temere in su li advisi ci sono suti porti di Bartolomeo; et perchè tu intenda l'ordine nostro, quando infino ad qua non lo havessi inteso, sappi che in su questi movimenti di Bartolomeo, havendo noi considerato l'insulti ci poteva fare, et veduto ci posseva assaltare in Maremma et in Valdichiana, habbiamo sempre creduto che vengha più presto verso Valdichiana che in costà: le ragioni che ce lo facevono credere sono molte, le quali non adcade replicare. Et per questa cagione si era pensato fare testa grossa al Poggio, luogo comune ad potere soccorrere costà et le Chiane, dove fussi bisognio. Et quivi habbiamo vòlte tucte le fanterie che si sono facte, et tucta volta le spignamo ad quella volta, andando dietro ad el primo disegno nostro. Habbiamo questo dì hauto l'adviso tuo, per il quale scrivi Bartolomeo doveva essere infino hieri ad Scarlino; el quale adviso, quando fussi vero, harebbe chiarito la partita che venissi con le genti in costà et non nelle Chiane; et haremo facto spignere ad cotesta volta tucte le forze ordinate, se noi d'altronde non intendessino Bartolomeo a' 28 dì essere ad Istia in sul fiume. Et perchè questo riscontro habbiamo di più d'un luogho, lo crediamo; et essendo anchora in lato da potersi anchora voltare in Valdichiana, non ci determiniamo ad voltare tucte le forze costà. Pure alcuni conestaboli, che hanno la compagnia loro qui in Firenze, l'inviereno ad cotesta volta, nè manchereno, al primo adviso certo dove e' sia, d'inviare gli altri; nè siano per manchare di aiuto nè ad te, nè ad cotesto paese.

Et perchè tu intenda meglio le qualità del nimico, sappi che el conte Lodovico di Pitigliano, che ha 60 huomini d'arme, non solum non viene seco, ma noi questa mattina l'habbiamo condocto, et è diventato soldato nostro. El signore Renzo de Ceri, che ha più di 80 huomini d'arme, non vuole seguirlo; molti huomini da bene, spicciolati, come el Mancino da Bologna et altri, l'hanno lasciato, tale che non li resta 150 huomini d'arme et 200 cavalli leggieri: fanterie non ha; Gian Paulo nè Sanesi non lo aiutono. Viene ad questo insulto contro la voglia di Consalvo; et di questo ne habbiamo mille riscontri, in modo che delle fanterie di Piombino non è per valersi, nè per havere riceptaculo in quella terra.

Onde, considerato ogni cosa, non è tanto terribile questa sua venuta che non si possa opporseli, et che con le forze ti truovi costì non lo possi tenere ad bada tanto che li altri soccorsi venghino, che verranno subito. Et quando havessi dove fussi al certo, ne scriverrai al Governatore, chiedendogli quelle forze che ti può subministrare. Pertanto di nuovo ti si fa fede che noi non siamo per abbandonare nè te nè cotesto paese, purchè tu non l'abbandoni te medesimo. Et comunicherai li advisi di questa lettera ad el signor Marcantonio, ad ciò veggha in quanti passi d'acqua si trova el nemico, et conosca quanto e' si abbia ad temere di lui, ad ciò che non ci nuoca più la reputatione sua che le forze. Polvere, passatoi, gavette et molte altre cose ti se ne mandò infino domenica buona somma.

Se Girola[mo] Pilli si truova in cotesto paese, fermera'lo costì, et per la prima ti scriverreno quello voliamo ne facci.

DOCUMENTO XXXVI.

(Pag. 491)

Lettera dei Dieci al Commissario Antonio Giacomini.

16 agosto 1505.

Antonio Giacomino, Commissario Generali. 16 augusti. - Per la tua Δ, data hiarsera ad 6 hore, intendiamo come voi, per havere inteso per duplicate, Bartolomeo d'Alviano volere ire alla volta di Pisa, eri deliberati andarne questa mattina alle Caldanelle, per essere el passo dove lui è necessitato venirvi sotto, quando voglia ire ad Pisa per la Maremma. Intendiamo le genti dite che sono rimase ad Bartolomeo, et la opinione certa havete di metterlo ad mal cammino, quando vi vengha ad trovare. Noi habbiamo considerato et examinato bene questo scrivere vostro; et considerata la prudentia tua et della Signoria del Governatore, non ne habbiamo pelo che pensi e' vi possa incontrare per alcun conto alcuna cosa sinistra, perchè sappiamo harete pensato ad ogni cosa che potessi sforzarvi, et mettere in ruina coteste genti; et che harete considerato come, nonobstante che si dica che Gian Paulo sia ad Grosseto, e' potrebbe sanza la persona sua havere ingrossato Bartolomeo delle sue genti; et come nonobstante che el Signore di Piombino vi habbi testificato havere ad sospecto Bartolomeo, potrìa tamen essere che fussino confidenti, et che queste cose fussin facte per havervi più incauti. Crediamo che harete etiam pensato gli aiuti ch'e' Pisani possono dare ad Bartolomeo nel farsi avanti, et ad mille altre cose che noi non sapremo altrimenti discorrere.

Nondimancho, con tucta questa opinione, vi significhereno lo animo nostro, quale è che noi desideriamo assai, che Bartolomeo d'Alviano non passi per ad Pisa, per fuggire tutte quelle molestie che ci potrebbe fare, essendo congiunto co' Pisani. Ma noi desideriamo molto più, et senza comparatione, che si salvi cotesto exercito; perchè, passando lui ad Pisa, noi haremo mille rimedi, come potete per voi immaginare, mediante le nuove genti condocte, le quali fanno adcelerare forse Bartolomeo di darvi occasione d'appiccarvi, per non lo havere ad fare quando fussi tucti insieme, et mediante le pratiche che vanno adtorno, di che vi habbiamo dato piena informatione. Ma, perdendo coteste genti, non ci sarebbe remedio alcuno; et però desiderreno che si fuggissino tucte quelle zuffe, dove tucte coteste nostre forze s'havessino ad impegnare, et nelle quali bisognassi o vincere al tucto o essere ropti al tucto. Nè crediamo che voi la intendiate altrimenti, nè habbiate altro in disegno che questo, per le ragioni preallegate, per quelle che per altre vi habbiamo decte, et per quelle che voi medesimi conosciete et ad noi anchora havete scripte. Insomma noi ricordiamo di nuovo alle prudentie vostre la salute di coteste nostre genti, la quale voliamo si prepongha ad ogn'altra cosa. Noi non vi ricordereno che egli è bene pensare in ogni evento come rimane Volterra et Livorno; perchè, sendo certissimi che el fine habbi ad essere buono, governandovi con quella prudentia che noi ci persuadiamo, non scade pensarvi. Pure, quando ad voi paressi di havervi consideratione et provedervi in qualche modo, o voi lo farete costà, o voi ce ne adviserete; et così d'ogni altra cosa che ad voi occorra. Et noi di nuovo vi ricordiamo el salvare coteste genti.

DOCUMENTO XXXVII.

(Pag. 492)

Lettera del Commissario Antonio Tebalducci Giacomini ai Dieci, scritta in Bibbiena il 17 agosto 1505. Narra la rotta data dall'esercito fiorentino all'Alviano in quello stesso giorno.

Magnifici Domini mei observandissimi, etc. - Hiersera a hore una, fu l'ultima mia da presso a Campiglia, donde questa mattina, per haver notitia che il signor Bartolomeo si levava, ci mettemo in ordine ancora noi. Et stando in aspectatione alla volta di Pisa, nel levare del sole, lo vedemo sulla campagnia, con le battaglie, appresso le Caldane; al quale passo non parve al signor Governatore et ad me assaltarlo, ma andarne per la via che va da Campiglia a San Vincenti, con ordine che dove lo trovavamo, incontrarlo. Et affine di haverlo maturo et disordinato, et che non ci schappassi innanzi, li mandamo per dirieto, per la via delle Caldane, messer Malatesta et Pavolo da Parrana, con commissione che andassino tucta volta assaltando; et per davanti, per la via facemo noi, tucto il resto de' cavalli leggieri, per fare quello medesimo effecto che quelli mandati per coda, quali arrivati a Santo Vincenti avanti loro, furono alle mani. Et ancora che pigliassino parecchi cavalli de' nimici, non poterono risistere, et se ne tornorono per la via nostra, quali ci trovorono a mezo miglio discosto a Santo Vincenti, con li fanti et gente d'arme.

Et ritracto da loro che e' nimici erono in buona parte passati, piacque al signor Governatore che temporeggiando ci conducemo appunto alla coda de' nimici, nelle ruine di Santo Vincenti, dove havevono fatto testa di loro gente d'arme et fanti. Et noi, visto tale ordine, con il colonnello del Zitolo et messer Victorio, uniti insieme, et con le squadre del signor M. Antonio et signor Iacopo investimo ne' nimici, i quali al primo assalto ne detton le spalle: dove furono feriti et amazati buona parte de' fanti, talmente che mai più se ne vide nissuno. Così fu preso qualche cavallo. Et non più avanti ci detton le spalle, che una arcata passato il fosso di Santo Vincenti, verso Bibbona; et fatto testa, li ributtorono li nostri fino al detto fosso, tanto gagliardemente del mondo (sic): al che si provide con il tirare avanti il colonnello del signore Piero et Conte di Sterpeto uniti, et le squadre di messer Hanibale Bentivogli et lance spezate. Et fatto grandissima punta li inimici di riguadagnare tal passo, maxime la persona del signor Bartolomeo, quale fu ferito nella faccia, con tutto il fiore delle sue genti non potè mai spuntarne: dove fu guasti assai cavalli et huomini. Infra il qual tempo giunsono i falconetti, quali per insino allora non s'erono possuti operare: in su che facemo gran fondamento, et vincere a ogni modo sanza nissuno pericolo, et sanza cacciaregli altrimenti con le genti, battendo con detti falconetti il ristringimento delle loro genti, che era circa cento huomini d'arme. Quale cominciatosi per le artiglierie ad aprire et desordinare, ci parve tempo investirgli con tutte le forze, et così con li cavalli leggieri per marina, le gente d'arme per la strada, et li fanti dal canto di sopra per il boscho, li mettemo per quella via che più volte s'è detto a Vostra Signoria di fare, talmente che da Santo Vicenti sino in Ciecina, mai s'è facto che pigliare.

Et in effecto, abreviando, ritraiamo solo essere schappato il signor Bartolomeo con circa xx cavalli corridori, tutti disarmati, quali crediamo che da Musachino et quelli di Rosignano non possino schappare; perchè non potendo li nostri seguitarli sin là charichi di preda et di prigioni (che infino a' fanciulli et pastori di Bibbona n'ànno presi), usaron li nostri cacciatori farlo intendere a Rosignano. Donde in questa hora habbiamo lettere da Giovanni, che Musachino calava loro adosso, non sapendo però fussi della fuga de' cacciati da noi, non havendo nuova della rotta, ma indicando solo cavalli di Pisa. Harannoli trovati strachi talmente, che tenemo per certo non ne sia schappato nissuno; et maxime che intendiamo andavano per marina, dove sono passi strectissimi. Piaccia a Nostro Signore Dio che li nostri li arrivino, affine che lo insolente sia exemplo alli altri presuntuosi.

Se le Signorie Vostre non saranno per questa raguagliate secondo il desiderio di quelle, mi haranno per iscuso; et fia con la prima, altra con dire particularmente e' nomi de' baroni presi et numero della bella gente trovata, quali di cavalli, arme et veste sono benissimo addobbati, con presentia di huomini da bene: di che hanno facto prova, non havendo perso per difetto loro, ma di chi insolentemente li conduceva.

Scordavami dire che, poi havemo rotto e' nimici alla Torre, non havendo comodità di scrivere, spacciai il Zerino cavallaro, che a boca facessi intendere quel tanto haveva visto, et la speranza che havamo dipoi sotto Castagneto, seguitando la caccia de' nimici. Dètti fatica a Luca Cavalcanti di venire fino costì, per ragguagliare Vostre Signorie, quali haranno agiustar fede, per essere stato in fatto. Et se ho tardato fino a mo' a scrivere, l'à causato lo attendere le genti qui, con tanti prigioni che sono più di noi.

Domane et non prima che noi ci saremo tucti, piglieremo qualche luogo dove si possa stare; et in questo mezo Vostre Signorie diranno quel tanto voglion si facci, quali sono sapientissime, et noi siamo figliuoli di obbedientia. Que feliciter valeant. Ex felicibus castris iusta Bibbonam, die xvij augusti 1505, hora xxiiij.

Antonius de Tebalducis

Generalis Commissarius

Magnificis dominis Decem Viris Libertatis et Balie Reypublice Florentine.... observandissimis.

DOCUMENTO XXXVIII.

(Pag. 472 e 498)

Lettere di B. Buonaccorsi al Machiavelli

in legazione presso Giulio II.

1

Niccolò honorando. Io ho ricevuto la vostra de' 30, et mandato le chiavi alla Marietta, con farli intendere quanto m'ordinasti. Il simile farò domani de' danari della Δ, benchè non vegga modo ad mandarveli securi. Et però vorrei ve ne valesti costì o da Monsignore reverendissimo o da qualcuno altro, et me li traessi qui, dove subito li pagherei. Expecteronne una risposta: dipoi ne farò quanto m'imporrete.

Le cose de' fanti vanno per quello ordine desiderate; et così feci pagare quelli 4 conestabili mi lasciasti in nota. Et se nulla mi mancava, questo rifiorisce, che voi non fusti partito di dua dì, che io ero per Palazo con tre drieto; et questa mattina n'ho rimandato il Tedesco, che volse ire in quello di Pisa ad vedere il paese. State di questo con lo animo posato, perchè sendo rinfrescati qui quelli medesimi advisi della passata dello Imperatore che scrivete voi, tra li primi ragionamenti in su tale accidente fu che le ordinanze si tenessino di presso, come cosa più salutifera et più importante per ogni respecto. Nè vo' mancare di dirvi che, havendo facto mettere dreto allo officio Bastiano da Castiglione, capo di quelli del Valdarno di sotto, per lo effecto sapete, et essendo domandato come haveva li homini ad ordine, rispose: - Io ve ne darò in 4 hore 700, et tutti homini da ogni factione. - In sulle quali parole si maravigliarono gustam[ent]e come cosa di grande momento; et così fu expedito di ciò che desiderava. Hovvi volsuto [dire] queste poche parole di questa materia, ad vostra satisfactione, stimando vi habbi[no ad] essere grate. Le altre cose tutte vanno per l'ordine loro.

Se io dicessi non vi havere invidia, non vi confesserei la verità; et per la fede mia, non per altro, se non per la continua conversatione harete col nostro reverendissimo Monsignore, la quale sono certo vi riuscirà tra le mani d'una gran lunga meglio non ve la haveva dipinta. Raccomandatemeli, ve ne prego, quando vi viene bene. Con le altre Dio vi dia migliore fortuna non dètte a noi, che credo le faccende vi adiuteranno assai, quale fanno destare li homini et mutare di natura.

Io non so che altro mi vi scrivere. Messer Iustiniano vi si raccomanda, et io fo il simile. Adio.

Florentie, die prima augusti 1506.

Vester Bla.

Nicolao Maclavello, Secretario florentino apud Summum Pontificem, Secretario, [su]o plurimum honorando, etc.

Alla Corte.

2

Niccolò honorando. Io vi ho scripto ad questi dì più volte et dectovi della ricevuta delle chiavi, et come s'eron mandate ad madonna Marietta, et dell'origine ad punto del tumulto di Casentino, et ciò che altro s'intendeva di nuovo, et di più quello che si pensassi. Et perchè io stimo pure che ad quest'hora le avete ricevute, non le replicherò altrimenti; perchè, quando bene volessi, non potrei, che non mi ricordo di quello feci due hore fa. Inoltre harete, per mano di Michelagnolo scultore, ricevuto li denari della Δ, di che expecto intenderne qualcosa, per la prima vostra. Hieri dipoi mi furono presentate l'ultime de' dua et de' 3, alle quali non mi accade che dire, perchè non ho udito brontolare persona, nè reprehendervi in cosa alcuna. Delle altre cose sapete ne sono del medesimo animo di voi, havendovi, alla tornata mia di cotesta Corte, assai bene expresso el modo del vivere, et le qualità et condictioni di ciascuno. A Alexandro farò l'ambasciata, et con quelli altri non harò a durare molta fatica, perchè non ce ne conosco troppi. Così voi farete per me l'officio d'amico col Monsignor reverendissimo di Volterra.

Hoggi è stato al magistrato de' Dieci uno Iacopo Doffi nostro cittadino, homo sensato et di bonissimo cervello, quale 3 dì sono tornò di Alamagna; et delle cose dello Imperatore referisce quanto vi dirò appresso. Et prima, haverlo lasciato qualche 5 giornate di qua da Anspruc, verso el Friuoli pure, dove attendeva ad fare buona cera, et alle caccie: et le gente sue essere tutte alle stanze, quali (quando le havea insieme) non erano, tra homini ad piè et cavallo, 4 mila: et quivi ragionarsi poco del passare, anchora che habbi comandato tutte quelle città che li hanno ad dare aiuti, che stieno ad ordine con epsi: et in effecto esservi poca preparatione al passare, et maxime di danari, che dice non ha un soldo. In Anspruch era il Consiglio suo et buono numero d'artiglierie, ma movimento alcuno non vi si vedeva. Et che del passare suo non ha udito, se non poichè fu in su quel de' Vinitiani, quali ne parlarono assai, et mandavono anchora qualche forza verso quelli confini, ma poche: et lui havea trovati quando 50 et quando 100 fanti: altre provisioni no. A Venetia era 3 sua ambasciatori, quali non havevono, tra tutti tre, 12 cavalli; et la expositione loro non si ritraheva. In modo che, udito costui, persona sensata, io credo certo che queste nuove della passata sua non sieno da' Vinitiani tracte fuora ad altro fine che quello scrivete voi.

Altro non ho da dirvi stasera, se non che di hora in hora si expecta el Catholico a Piombino; et qui non s'è anchora facto ambasciatori in alcun luogo....

Florentie, 6 7bris 1506.

Frater Bl.

Nicolao Maclavello, Secretario florentino apud Summum Ponti[ficem], maiori honorando. Alla Corte, in casa Monsignore reverendissimo di Volterra.

3

Carissimo Niccolò.... Le nuove dello Imperatore ogni dì rinfrescano qui, et l'ultime che ci furono per quello Iacopo Doffi venuto di là, per l'ultima mia vi scripsi particularmente, quale portò el canonico de' Serristori, con molte altre et pubbliche et private. Rinvenitele. Tamen, perchè la cosa importa quanto sapete, et lo haversi a fondare in su advisi incerti e confusi è periculoso, vi si manda Bernardo de' Ricci con salario di dua fiorini larghi di grossi el dì; et alla mano ha havuto 150 ducati. Doverranne fare meglio di voi; «et chi lo ha messo innanzi, ha facto per riuscitarlo, et darvi uno contrappeso: è homo che si sappia accomodare meglio di voi.» Dio li dia buona fortuna, et li altri non dimentichi, se li piace, che ce n'è bisogno, anzi necessità. La commissione sua è rappresentarsi a quello Principe, et in nome di questa Signoria offerirli come buon figliuoli tutti li loro favori, etc., con parole larghe et generali. Ma il fine della mandata è per havere certa notitia di questa passata, per potersi meglio deliberare a quello che si havessi ad fare, etc. Hoggi si faranno ambasciatori per ad Napoli, per honorare el Catholico; et se tocherà Piombino, vi si manderà messere Giovanvictorio, Alamanno, el Gualterotto et Niccolò del Nero, per riceverlo et honorarlo anchora in quello luogo. Sono homini di assai qualità et che lo sapranno fare; et quella Maestà doverrà restarne satisfacta.

Delle ordinanze non vi ho da dire altro, se non che Bastiano da Castiglione, che sta a San Miniato, 8 dì sono fece il battaglione generale; dove si trovò el Signore di Piombino che tornava da' bagni, ad instantia di chi fu facto, et molti altri di quelli di Cascina. Satisfece assai, secondo mi scrive Bastiano. Ma questa voce di darsi danari a Bologna et in Romagna, ha facto che qualcuno di quelli del vicariato di Firenzuola vi sono andati. Èvisi riparato in modo non si doverrà partire da casa persona.

La vostra brigata sta bene: così stéssi la mia, che io a ogni modo ho ad girare, in modo sono traficto! Et advisate se havesti da Michelagnolo quelli danari. Ringratiovi dell'oferta facesti, che anchorachè io sia in extrema necessità, so che a voi costà non avanza, et haresti bisogno di molti più. Non altro.

Florentie, die viiij 7bris 1506.

Frater B.

Nicolao Maclavello, Secretario florentino apud Summum Pontificem, [tan]quam fratri honorando.

4

Niccolò honorando. Io ho paura di non diventare con li amici un poco transcurato come voi. Dicovi questo, perchè mi pare un anno che io non vi scripsi, et solo è accaduto per infingardaggine, ad chiamarla per il nome suo. Dua dì fa riceve' la vostra, credo de' 26, con la alligata a Francesco, quale si mandò fidatamente. Et io, per respondervi al quesito, credo possiate domandare danari al publico securamente, perchè «de li ambasciadori facti non verrà nessuno, nè vi si pensa più per hora.» Et però credo la cosa sia per durare anchora qualche dì, non si mutando vento: et voi non lo dovete havere per male, perchè le faccende non vi assassinano. Dicovi bene questo, che le due vostre de' 25 et 26 giunsono ad tempo, perchè «digià Iacopo Ciachi diceva: si [v]ole farlo tornare, poichè non vi fa niente: con alttre parole de le sua, quali furono ribattute da Bernardo Nasi vostro amico.» Sì che scrivete più spesso, se vi pare. Al Soderino lessi quanto mi scrivete. Credo vi riscriverrà di nuovo, et voi farete quanto vi parrà.

Ad Napoli andranno li dua ambasciatori, cioè messer Francesco Gualterotti et Iacopo Salviati: et sarà bella legatione, et per la qualità delle persone, et per la compagnia de' giovani si dice andranno con loro: che tutto sarà ad proposito, perchè questo Catholico Re, che dua dì fa era a Savona, viene con tanta pompa di abriglamenti et di ogni altra cosa, che chi vi andrà bene ad ordine, li bisognerà ad volervi comparire. Consalvo a' dì 27 fu a Livorno, che andava incontro al suo Re, et dal Commissario nostro di decto luogo fu visitato et presentato, in modo se n'andò satisfactissimo, con dire che Italia riceverà molti beni per la venuta del suo Re, et che Firenze ne harà la parte sua; excusandosi delle cose di Pisa con dire che quelli tempi ricercavono così, ma che per l'advenire farà in modo che la Città conoscerà che ne fa capitale. Fu a Piombino, dove erano ambasciatori pisani; et non obstante lo pregassino ad ire in Pisa, absolute lo recusò. Le cose di Genova al continuo sono peggiorate per li gentili homini, quali tutti sono fuora; et di già hanno tolto tutte le terre teneva messer Gianluigi nella Riviera di Levante, o buona parte di esse. «Et il Re tiene da chi vince, a lo usato suo.» Questa mattina, per advisi privati da Lione, de' 23 dì, s'intendeva esservi stato lo homo di Ays che veniva di Corte, con commissione del Re ad Ciamonte, che déssi a Nostro Signore, per la impresa di Bologna, quelle tante lance vorrà. Così andrà l'impresa avanti a ogni modo, po' che costì si va di buone gambe. Qui non è altro di nuovo; et io non so che mi vi dire di più, se non che la brigata vostra sta bene, et li danari della Δ sono in quel medesimo legato, chè non seppi la venuta di Giuliano Lapi. Credo domani adoperarne uno ducato, che ne lo riporrò fra pochi dì, che ne ho preso sicurtà in sulle parole vostre. Nec plura.

Florentie, die xxx 7bris, hora 4 noctis 1506.

Quem nosti B.

Respondete della ricevuta almeno.

Nicolao Maclavello, Secretario florentino [apud] Pontificem, suo maxime honorando.

Alla Corte.

5

Niccolò honorando. Io non ho dato a Piero del Nero quelli danari, et la causa fu, perchè io sono sì bene agio, che non pote' valermi d'uno fiorino per rimectervi quello ne haveo cavato. Et poichè non volete gnene dia, non lo farò; anzi per il primo cavallaro che verrà ad Castracharo, li manderò al Ruffino, con ordine ne segua l'ordine vostro. Nè di questo accade parlarne più.

Questi Signori Dieci, in sulla domanda vostra di qualche danaio, dixono: - Elli è ben ragione, noi lo faremo ad ogni modo. - Et stamani mi dixe el Gonfaloniere, che voi gnene scrivevi per quella li decti; et che hoggi li parlassi, et così farò. Et credo, senza manco per il primo, mandarvi qualche provisione. Et statene sopra di me, che il chiedere non mancherà.

A Giovambatista Soderini leggerò quel capitulo, come feci l'altro; ma voi vi volete scusare sempre, o con la trascuraggine o con le faccende; et questo non basta alli amici, perchè vogliono essere riconosciuti per tali; et io sono in modo fracido ad fare scuse per voi, che se vo' fussi mie padre, harei più d'una volta decto: - Vadi ad recere. - Scrivete una volta se voi desti la lettera d'Alexandro a San Giorgio, o se mai lo rivedesti poi dal primo adviso me ne desti. Se voi sapessi quanto v'è amico, ne terresti altro conto. Ma voi siate un carellone, et chi vi vuole vi trassini col bastone.

Io non voglio mancare di dirvi, benchè lo potessi differire alla tornata, che, per chi vi fu presente et più d'uno, che «Alamanno sendo a Bibona, ad tavola con Ridolfo, dove v'erano anchora molti giovani, parlando di voi, dixe: - Io non commissi mai nulla a cotesto ribaldo, poi che io sono de' Dieci, - » seguitando el parlare in questa sententia o meglio. Notate questo, se voi non fussi bene «chiaro de lo animo suo ad facto.» Et ingegnatevi di esserci avanti le raferme. Potre' vi scrivere molte altre cose, sed coram copiosius.

Questa mattina ci sono suti advisi in questi Uguccioni, della morte dell'Arciduca, in 4 dì, di riscaldato et rafreddato: cosa veramente di grandissimo momento, perchè si tiene per certo, et ad quest'hora ne è l'adviso costì. Non si stima però che habbi tale nuova ad fare ritornare indrieto el Re d'Aragona, che per li ultimi advisi s'aspettava a Genova, perchè quelli baroni di Castiglia hanno el suo figliolino nelle mani, et vorranno governarlo ad loro modo, come feciono Fiaminghi del padre; nè anche si fiderebbono di lui, per essersi una volta inimicati, etc. Et però, vedendo Sua Maestà la cosa incerta, et sendo horamai vicino ad Napoli, che è suo certo, et da non lo stimare manco che la Castiglia, si fa iudicio verrà avanti: che Dio lo voglia per il bene d'Italia. Se pure tornassi indrieto, ci sarà pure questo bene, che li ha seco Consalvo, et non lo doverrà ragionevolmente volere più nel Regnio. È iudicata questa cosa molto ad proposito del Christianissimo, et il contrario de' Vinitiani, che non potranno più usare la maschera dello Imperatore, nè lui passare in Italia, et li dua Re sopradecti, sanza respecto, procedere all'acquisto di quello tengono di loro. Perchè mancando questo sospetto al Christianissimo della passata del Re de' Romani, mancheranno quelli respecti che lo facevano tanto intractenerli; et il Papa anchora doverà più liberamente et più animosamente cercare il suo. Sono cose che bisogna, ad non volere ingannarsi, rimectersene al successo.

Per lettere di Francia de' 25, s'intende il medesimo che scrivete voi, della larga et honorevole concessione facta al Papa delle gente; et di più una caldeza oltr'ad misura del legato in favore di Sua Santità. Ma la condotta di Giampaulo è dispiaciutali fino alla anima. Perchè, nel parlare, Sua Signoria dixe: - El Papa ci dovea adiutare castigare quello mecciante, che ci fece, etc. Ma avanti che 'l giuoco resti, noi ci varreno ad ogni modo: indugi quanto può, che non la camperà. - Dànno al Papa 550 lance, et di più messer Mercurio greco, con cento cavalli leggieri, 8 cannoni grossi et più altri pezi d'artiglierie, et Ciaimonte per capo. Et hanno ordinato che il conte Lodovico della Mirandola sia tracto di Stato, et messovi el conte Giovanfrancesco.

El Re d'Inghilterra non ha volsuto publicare el mariaggio di madama Margherita, perchè pare che il Duca di Savoia perissi di mal franzese, et che lei ne patissi: et in su questo sospecto sta sospeso. Di che Franzesi hanno pensato valersi, con tenere pratica di darli la damisella d'Angolème, «non per concludere, ma per tenerlo sospeso», et farlo ire ratenuto nello adiutare l'Arciduca contro ad Ghelleri.

El Christianissimo è partito da Bles, et viene verso Borges; et non passando l'Imperatore, si tornerà indrieto con animo resoluto venire ad primavera in Italia. Quivi non era anchora adviso della morte dell'Arciduca. Et di più hanno ordinato di guadagnarsi el Duca di Savoia per più respecti. Le vostre lettere mandai ad bottega di Piero del Nero. Adio.

Florentie, die 6 octobris 1506.

Quem nosti B.

Non rispondete dello adviso vi do di quello ragionamento «facto a Bibona.»

Nicolao Maclavello, Secretario florentino apud Pontificem... suo observ.

Alla Corte.

DOCUMENTO XXXIX.

(Pag. 506-507)

Relazione del Machiavelli

sulla istituzione della nuova Milizia.

Voi mi havete richiesto che io vi scriva el fondamento di questa Ordinanza, e dove la si truovi: farollo; et ad maggiore vostra cognitione, mi farò un poco da alto, et voi harete patienza ad leggierla.

Io lascierò stare indreto el disputare se li era bene o no ordinare lo Stato vostro alle armi; perchè ognuno sa che chi dice Imperio, Regno, Principato, Repubblica; chi dice huomini che comandono, cominciandosi dal primo grado et descendendo infino al padrone d'uno brigantino, dice iustitia et armi. Voi della iustitia ne havete non molta, et dell'armi non punto; et el modo ad rihavere l'uno et l'altro è solo ordinarsi all'armi per deliberatione publica, et con buono ordine, et mantenerlo. Nè v'ingannino cento cotanti anni che voi sete vissuti altrimenti et mantenutivi; perchè se voi considerrete bene questi tempi et quelli, vedrete essere impossibile potere preservare la vostra libertà in quel medesimo modo. Ma perchè questa è materia chiara, et quando pure la si havessi addisputare, bisognerebbe entrare per altra via, la lascierò stare indreto. Et presupponendo che la sententia sia data, et che sia bene armarsi, volendo ordinare lo Stato di Firenze alle armi, era necessario examinare come questa militia si avessi ad introdurre. Et considerando lo Stato vostro, si truova diviso in Città, contado et distrecto; sì che bisognava cominciare questa militia in uno di questi luoghi, o in dua, o in tutti ad tre ad un tracto. Et perchè le cose grandi hanno bisogno d'essere menate adagio, non si poteva in nessuno modo, nè in dua, nè in tucti ad tre e' sopraddecti luoghi, sanza confusione et sanza pericolo, introdurla: bisognava pertanto eleggierne uno. Nè piacque di tòrre la Città, perchè chi considera uno exercito, ad dividerlo grossamente, lo truova composto di huomini che comandano et che ubbidiscono, et di huomini che militano ad piè et che militano ad cavallo; et havendo ad introdurre forma di exercito in una provincia inconsueta all'armi, bisognava, come tutte l'altre discipline, cominciarsi da la parte più facile; et sanza dubbio egli è più facile introdurre militia ad piè che ad cavallo, et è più facile imparare ad ubbidire che ad comandare. Et perchè la vostra Città et voi havete ad essere quelli che militiate ad cavallo et comandiate, non si poteva cominciare da voi, per essere questa parte più difficile; ma bisognava cominciare da chi ha ad ubbidire et militare ad piè, et questo è el contado vostro. Nè parse pigliare el distrecto, anchora che in quello si possa introdurre militia ad piè, perchè non sarebbe suto securo partito per la Città vostra, maxime in quelli luoghi del distrecto dove sieno nidi grossi, dove una provincia possa far testa; perchè li humori di Toschana sono tali, che come uno conoscessi potere vivere sopra di sè, non vorrebbe più padrone, trovandosi maxime lui armato, et il padrone disarmato: et però questo distrecto bisogna, o non l'ordinare mai all'armi, o indugiarsi ad hora che l'armi del contado vostro habbino preso piè, et sieno stimate. Quelli luoghi distrectuali che sono da non li armare, sono dove sono nidi grossi, come Arezo, Borgo ad San Sipolcro, Cortona, Volterra, Pistoia, Colle, Sangimigniano: li altri dove sono più castella simili, come la Romagna, Lunigiana, etc., non importono molto, perchè non riconoscono altro padrone che Firenze, nè hanno particulare superiore, come interviene nel contado vostro; perchè el Casentino, Valdarno di sotto et di sopra, Mugiello, etc., ancora che sieno pieni di uomini, tamen non hanno dove fare testa, se non ad Firenze; nè più castella possono convenire ad fare una impresa. Et però si è cominciata questa Ordinanza nel contado, dove, volendola ordinare, bisognava darle ordine et modo, cioè segni sotto chi e' militassino, armi con che si havessino ad armare; terminare chi havessi ad militare sotto ciascuno segno, et dare loro capi che li exercitassino.

Quanto alle armi, quelle che sono date loro sono note. Quanto a' segni, è parso che le siano bandiere tucte con un segno medesimo del Lione, ad ciò che tucti li huomini vostri sieno affectionati di una medesima cosa, et non habbino altro per obiecto che 'l segno publico, et per questo ne diventino partigiani: sonsi distinti e' capi ad ciò che ciascuno riconosca la sua: sonsi numerate, perchè la Città ne possa tener conto, et comandarle più facilmente. Era necessario dare ad queste bandiere termine di paese; et ad questo bisognava, o terminare el paese vostro di nuovo, o pigliare de' termini suoi antiqui; et perchè e' si truova diviso in Capitaneati, Vicariati, Potesterie, Comuni et Populi, parve, volendo andare con uno di questi ordini, da terminare queste bandiere con le Potesterie, sendo li altri termini o troppi larghi, o troppi strecti. Et però si è dato ad ogni Potesteria una bandiera; et ad dua, tre, 4, et cinque bandiere si è dato uno conestabole che li struischa, secondo la commodità del ragunarli, et secondo la moltitudine delli uomini descripti sotto tali bandiere; tanto che trenta bandiere che voi havete, sono in governo d'undici connestaboli; et li luoghi dove le sono messe, sono Mugiello, Firenzuola, Casentino, Valdarno di sopra et di sotto, Pescia et Lunigiana. Pareva bene, anchora non si sia facto, scrivere sotto ogni bandiera, cioè in ogni Potesteria, più huomini si poteva, perchè, come dixe messer Hercole in uno suo scripto, questo ordine vi ha ad servire sempre in reputatione, et qualche volta in fatto; nè può servirvi in reputatione poco numero di huomini; nè etiam, in facto, del poco numero di huomini, quando pure bisognassi, si può trarre lo assai, ma sì bene dello assai el poco. Nè impedisce cosa alcuna el tenere ordinati ne' paesi assai huomini, non li obbligando ad fare più che 12 o 16 monstre lo anno, et dando loro libera licentia d'andare dove vogliono ad fare e' facti loro. Et però el tenerne ordinati assai è più prudentia, con animo di non havere poi adoperare, nè levare da casa chi ha honesta cagione di starvi, o chi si conoscessi inutile. Et così alla reputatione ti giova el numero grande, al facto el numero minore e buono; perchè sempre si potrà farne nuova scielta et meglio, havendogli visti più volte in viso, che non li havendo visti.

Voi dunque vi trovate scripti ne' sopra scripti luoghi, et sotto 30 bandiere et undici connestaboli, più che cinquemila huomini; havetene facto mostra in Firenze di 1200; et sono procedute le cose, sendo nuove, assai ordinatamente; ma le non possono stare più così, perchè e' bisogna, o che la 'mpresa ruini, o che la facci disordine; perchè, sanza dare loro capo et guida, non si può reggiere contro alli inimici che la ha. El capo che bisogna dare loro, è fare una leggie che ne dispongha, et uno Magistrato che l'observi; et in questa leggie bisogna provvedere ad questo, che li scripti stieno bene ordinati, che non possino nuocere, et che si remunerino. Ad tenerli ordinati, bisogna che questo magistrato habbi autorità di punirli, et facultà da farlo, et che la leggie lo necessiti ad fare tucto quello che è in substantia della cosa, et che, stralasciandola, le facessi danno; et però bisogna costringerlo ad tenerne armati un numero, almeno ad tenere le bandiere et e' connestaboli, ad provvedere all'armi, ad far fare loro le mostre et vicitarli, ad rivederne ogni anno cento, et cancellare in certi dì et in certo tempo, et rimetterli, ad mescolarvi qualche cosa di religione per farli più ubbidienti. Quanto ad ordinare che non possino nuocere, si ha ad considerare che possono nuocere in dua modi: o fra loro, o contro alla Città. Se fra loro, possono ferirsi l'uno l'altro particularmente, o fare ragunate per fare male, come soglono. Nel primo caso si vuole duplicare loro la pena, et maxime quelli che ferissino in su le mostre; ma ferendo altrove, si potrebbe observare le leggie vechie. Quando e' facessino ragunate in comuni, bisognerebbe fare ogni viva et grande demostrazione contro ad chi ne fussi capo, et uno exemplo basta uno pezo nella memoria delli huomini. Contro alla Città costoro possono fare male in questi modi: o con ribellarsi et adherirsi con uno forestiero, o essere male adoperati da uno magistrato o da una persona privata. Quanto ad lo adherirsi ad uno forestiero, li huomini ordinati nelli luoghi sopraddecti non lo possono fare, et non se ne debbe dubitare. Quanto allo essere male operati da uno magistrato, è necessario ordinare le cose in modo che conoschino più superiori. Et considerando in che articulo loro hanno ad riconoscere el superiore, mi pare che li habbino ad riconoscere chi li tenga ad casa ordinati, chi li comandi nella guerra, et chi li remuneri. Et perchè e' sarebbe periculoso che riconoscessino tucte queste autorità in uno solo superiore, sarebbe bene che questo Magistrato nuovo li tenessi ordinati ad casa; e' Dieci dipoi li comandassino nella guerra; et e' Signori, Collegi, Dieci et nuovo Magistrato li premiassi e remunerassi: et così verrebbono sempre ad havere in confuso el loro superiore, et riconoscere un pubblico et non un privato. Et perchè una moltitudine sanza capo non fecie mai male, o, se pure lo fa, è facile ad reprimerla, bisogna havere advertenza alli capi ad chi si dànno le bandiere in governo continuamente, che non piglino più autorità con loro si conviene; la quale possono pigliare in più modi, o per stare continuamente al governo di quelle, o per havere con loro interesse. Et però bisogna provedere, che nessuno natìo delli luoghi dove è una bandiera, o che vi habbi casa o possessione, la possa governare; ma si tolga gente di Casentino per il Mugiello, et per Casentino gente del Mugiello. Et perchè l'autorità con el tempo si piglia, è bene fare ogni anno le permute de' connestaboli, et dare loro nuovi governi, et dare loro divieto qualche anno da quelli governi primi; et quando tutte queste cose sieno bene ordinate et meglio observate, non è da dubitare. Quanto al premiarli, non è necessario ora pensarci; ma basterebbe solo darne autorità, come di sopra si dice, et dipoi venire a' premi di mano in mano, secondo e' meriti loro.

Questo ordine bene ordinato nel contado, de necessità conviene che entri ad poco ad poco nella Città, et sarà facilissima cosa ad introdurlo. Et vi advedrete anchora a' vostri dì, che differentia è havere de' vostri cittadini soldati per electione et non per corruptione, come havete al presente; perchè se alcuno non ha voluto ubbidire al padre, allevatosi su per li bordelli, diverrà soldato; ma uscendo dalle squole honeste et dalle buone educationi, potranno honorare sè et la patria loro; et il tucto sta nel cominciare addare reputatione ad questo exercito, il che conviene si faccia di necessità, fermando bene questi ordini nel contado, et che sono cominciati.

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