V. LA TEORIA DEI FUNZIONALI APPLICATA AI FENOMENI EREDITARI

« Atti Congr. intern. dei Mat. a Bologna,
3-10 settembre 1928», vol. I; pp. 215-232.

Gli studi da me incominciati circa 45 anni or sono intorno a ciò che io allora chiamavo funzioni di linee, e che più tardi ebbero il nome di funzionali, erano fondati sul concetto del passaggio dal discontinuo al continuo (suggerito dall'analogo passaggio che è la base del calcolo integrale) e, prendendo le mosse dai procedimenti del calcolo delle variazioni, miravano ad un'estensione di esso. Anzi può meglio dirsi ad una sua doppia estensione, sia perché davo la maggiore generalità possibile al modo di far dipendere una quantità da tutti i valori di una funzione in un dato intervallo (dipendenza che nel calcolo delle variazioni è limitata al processo di quadratura), sia perché non ponevo alcuna limitazione alla natura dei problemi nei quali figuravano i nuovi elementi introdotti, problemi che nel calcolo delle variazioni sono invece ristretti a quelli di massimo e di minimo. La derivazione di una funzione di linea fu il primo concetto stabilito, donde scaturì quello di differenziale di una funzione di linea: se però allora seguii questa via, è certo che oggi conviene, come hanno osservato Hadamard, Fréchet, Paul Lévy ed altri, che hanno ripreso in esame la questione, partire piuttosto dal concetto di differenziale e ricavare in conseguenza quello di derivata.

Applicai quindi questo concetto alla estensione della serie di Taylor allo scopo di gettare le basi di sviluppi analitici e funzionali analoghi a quelli che si hanno per le ordinarie funzioni analitiche. A questo proposito è da osservare che la varietà delle espressioni analitiche, proprie a rappresentare i funzionali, supera di gran lunga l'insieme delle rappresentazioni delle funzioni ordinarie, il che ha colpito tutti coloro che hanno avuto occasione di trattare questo soggetto. Si poteva inoltre subito riconoscere che i differenziali delle funzioni di linee dovevano essere classificati in varie categorie secondoché essi contenevano o meno dei termini affetti dalle variazioni della funzione (costituente l'elemento variabile) in punti determinati o anche le variazioni delle sue derivate pure in determinati punti. Già il calcolo ordinario delle variazioni offriva di ciò un esempio nel caso che la variazione di un integrale semplice dipenda dalle variazioni ai limiti. Ma il nuovo concetto di funzionale portava a nuove forme di differenziali. Avremo l'occasione più tardi di tornare sopra questo punto, mettendone in luce l'importanza in un'applicazione di carattere meccanico.

La proprietà delle derivate dei funzionali, che si rilevano con le simmetrie loro relative ai parametri da cui dipendono, e le integrazioni del differenziale di un funzionale con un procedimento che si basa sopra un'estensione del teorema di Stokes, insieme a ciò che abbiamo detto precedentemente, costituivano e ritengo che costituiscano tuttora i capisaldi della teoria.

Questi concetti fondamentali avevano però bisogno di un'ulteriore chiarificazione mediante un'analisi delicata e sottile. Nella sua bella opera sull'analisi funzionale, Paul Lévy ha assolto magistralmente questo compito riproducendo ed estendendo quanto era stato fatto prima di lui da Hadamard e da molti altri su questo argomento. Io non avevo potuto condurre a termine questo studio critico, in quanto la mia attenzione era stata subito attratta in altre direzioni: infatti l'applicazione dei principî teorici ai nuovi problemi che si presentavano, le possibilità di risolvere antichi problemi insoluti, suscitavano per primi la curiosità e l'interesse; onde era naturale la tendenza a non approfondire subito queste parti più astratte della ricerca, rimandandone a più tardi lo studio.

Non ritengo sia oggi opportuno di esaminare le diverse vie per cui si è svolta l'analisi funzionale. Ciò mi condurrebbe troppo lontano ed esorbiterebbe dal soggetto che mi sono prefisso e che la ristrettezza del tempo mi concede solo di svolgere. Non posso però passare sotto silenzio che una delle prime applicazioni che si presentò fu quella di impiegare il passaggio dal discontinuo al continuo per estendere i problemi algebrici. Naturalmente le equazioni integrali lineari (estensione immediata dei sistemi d'equazioni di primo grado) richiamarono subito la mia attenzione e per conseguenza uno dei primi risultati da me ottenuti fu la soluzione loro nei casi più semplici ed elementari impiegando per la prima volta il detto passaggio. Ho largamente esposto nelle mie lezioni svolte sedici anni fa alla Sorbona questi argomenti, ponendo in luce sia il concetto fondamentale che fu la guida nel procedimento impiegato, sia il legame con le teorie generali delle equazioni integrali e di altre più generali.

Accennando io qui alle equazioni integrali, alla loro teoria generale e al loro legame coi metodi che si ispirano al passaggio dal discontinuo al continuo, il mio pensiero si rivolge reverente alla memoria di un matematico illustre che oggi abbiamo il dolore di non vedere tra noi. Il mesto ricordo va alla memoria di Ivar Fredholm, il cui nome onora la Scuola Matematica Svedese, la quale, capitanata dal Mittag Leffler, anch'egli con nostro immenso dolore scomparso da poco più di un anno, rese così eminenti servigi alla Analisi Matematica.

Ma le equazioni integrali non furono che un primo passo nel campo delle estensioni algebriche, nel quale il prof. Hilbert (circa quindici anni dopo che le prime ricerche sui funzionali erano cominciate), ed altri dopo di lui, dovevano ottenere risultati così notevoli.

Le equazioni integrali furono inoltre il primo avviamento agli studi sulle equazioni integro-differenziali e sulle equazioni alle derivate funzionali. Molte questioni di fisica e di meccanica e numerose estensioni di ricerche classiche conducono a queste nuove relazioni fondamentali dell'analisi funzionale.

Tali problemi si presentarono da principio come questioni di carattere particolare; ma una lunga esperienza insegna che sono appunto i problemi particolari, sorgenti dall'esame dei fenomeni naturali, che danno luogo alla creazione dei metodi analitici più fecondi e suscettibili col loro svolgersi di maggiore estensione, mentre invece le questioni generali stabilite a priori artificialmente non sono spesso le più proficue.

Per restare strettamente nel nostro soggetto, tralasceremo di parlare delle equazioni, le quali dipendono dalla estensione, studiata fra gli altri dal Fréchet, dei metodi di Hamilton e di Jacobi ai sistemi continui, di quelle stabilite da Hadamard e Paul Lévy per le funzioni di Green, e di tante altre che si ricollegano anche alle più recenti ricerche di meccanica ondulatoria. E così non ci sarà possibile di parlare degli studi di Evans e di Pérès, delle ultime memorie del Fantappiè e di molti altri che hanno portato così utili contributi al calcolo funzionale, e dovremo limitarci solo a citare gli studi generali sugli spazi astratti e sulle loro corrispondenze che sono fra i più larghi e comprensivi della matematica moderna, dei quali tratta la recente opera del Fréchet ricollegante in una vasta sintesi il calcolo funzionale coll'analisi generale del Moore.

Ci converrà invece soffermarci su quelle equazioni integro-differenziali che discendono dai problemi di natura ereditaria.

Ho avuto già spesso occasione di parlare sopra questo argomento ed ho esposto i fondamenti della teoria matematica dei fenomeni ereditari nelle mie lezioni della Sorbona.

Un fenomeno che ha luogo in un dato mezzo o in seno ad un dato sistema materiale è di natura ereditaria quando il suo modo di svolgersi in un certo istante è determinato, oltre che dalle condizioni del mezzo o dal sistema in quell'istante, anche dalle condizioni attraversate in passato, durante tutto un periodo di tempo, dal mezzo stesso o dal sistema materiale. Il fenomeno cessa di essere di natura ereditaria se si svolge solo dipendentemente dallo stato attuale del mezzo o del sistema materiale considerato.

Le equazioni che regolano i fenomeni non ereditari sono in generale di natura differenziale. Tale qualità conservano anche le equazioni che si riferiscono ai fenomeni ereditari, ma in questo caso le equazioni diventano di natura più complessa. Infatti, siccome i fenomeni stessi dipendono dagli infiniti stati attraversati dal sistema nei tempi che han preceduto l'istante attuale, dovranno esistere delle azioni che si esercitano presentemente, ma che sussistono in virtù delle condizioni che si sono svolte durante tutto il tempo passato. Queste azioni si calcoleranno quindi mediante dei funzionali, i quali alla loro volta in casi particolari potranno esprimersi mediante integrali definiti estesi ad intervalli di tempo facenti capo al momento presente. Le espressioni di queste azioni, che compariscono nelle equazioni, daranno dunque alle equazioni stesse un carattere funzionale e nei casi particolari, a cui abbiamo fatto allusione, daranno loro un carattere integrale. Questo si aggiunge a quello differenziale preesistente: perciò si otterranno equazioni aventi contemporaneamente i caratteri di equazioni differenziali e di equazioni integrali, donde il loro nome di equazioni integro-differenziali.

Nelle lezioni citate e in altre memorie ho svolto lo studio delle equazioni integro-differenziali che si trovano per vari fenomeni ereditari di natura meccanica e fisica relativi sia a sistemi d'un numero finito di gradi di libertà sia a sistemi continui.

L'esame di queste equazioni ha dato luogo ad una classificazione delle equazioni integro-differenziali, alla ricerca di metodi per integrarle ed allo studio degli elementi arbitrari che da esse nascono. Vari metodi classici, come quelli di Green e quelli delle caratteristiche, si possono estendere allo studio delle equazioni integro-differenziali e si possono ottenere soluzioni analoghe alle soluzioni fondamentali delle equazioni alle derivate parziali.

Tutto ciò costituisce la parte matematica delle ricerche le quali conducono ad un principio di carattere generale la cui portata va, a mio modo di vedere, molto al di là del campo analitico propriamente detto, pur avendo notevoli ripercussioni nel campo stesso.

Per maggior chiarezza, esprimiamoci con linguaggio matematico. Chiamiamo q il parametro da cui dipende un certo fenomeno e denotiamo con t il tempo. Se noi scriviamo

F (q (t))

avremo una quantità che dipende dal valore del parametro nell'istante t (istante attuale). Ora

q (t – τ)

è il valore del parametro stesso in un istante t – τ, cioè in un istante che ha preceduto di τ l'istante attuale, quindi

(1)                        o∫ToΦ(τ)q(t – τ)dτ

sarà una quantità che dipende da tutti i valori del parametro q in un periodo di tempo di ampiezza To che precede l'istante attuale. Essa è una particolare espressione propria delle quantità che risentono la eredità del parametro q durante l'intervallo di tempo (t –To , t).

Analogamente

aq(t) +o∫ToΦ(τ)q(t – τ)dτ,

ove a denota una costante, dipenderà dal valore attuale di q(t) e dall'eredità lasciata da questo parametro durante l'intervallo di tempo (t –To , t).

Essa sarà un'espressione lineare e perciò la corrispondente eredità si dirà lineare. Quella più generale corrisponde a un funzionale che dipende da tutti i valori di q(t – τ) per τ compreso fra 0 e To; essa si scriverà col simbolo generalmente adottato

F│[q(t – oτTo)]│ = F│[qt–T0(τt)]│.

Riprendiamo l'espressione (1); allorché essa denota un'azione (forza) questa sarà acceleratrice se Φ(τ) sarà positivo, mentre se Φ(τ) sarà negativo l'azione sarà ritardatrice. Inoltre ogni elemento dell'integrale

Φ(τ)q(t – τ)dτ

può assumersi come una componente dell'azione totale e precisamente può ritenersi esser quella componente che dipende dall'eredità del parametro q nell'intervallo di tempo (t – τ – dτ, t – τ). Vedremo tra poco come può modificarsi questo concetto dell'azione ereditaria elementare.

Nelle formule precedenti noi abbiamo tenuto conto dell'eredità limitatamente all'intervallo di tempo To anteriore all'istante attuale; noi abbiamo cioè supposto che l'eredità vada dissipandosi col tempo, tanto da poter ammettere che sia

Φ(t) = 0        per        t ≥ To.

In tal caso To si chiama la durata dell'eredità.

Ma si può supporre che si debba tener conto dell'eredità anche in tempi infinitamente lontani, allora all'espressione (1) dovrà sostituirsi l'altra

(1')                        o∫∞Φ(τ)q(t – τ)dτ

che ha significato analitico ben determinato assumendo convenientemente l'ordine di infinitesimo di Φ(τ) per τ=∞. Lo stesso si dica quando l'eredità non è lineare, sostituendo alle precedenti espressioni l'espressione funzionale:

F│[q(t – oτ∞)]│

Le formule (1) e (1') sono suscettibili di scriversi anche nel modo seguente:

t–To∫tΦ(t – τ)q(τ)dτ         ,        –∞∫tΦ(t – τ)q(τ)dτ.

Come abbiamo detto sopra, Φ(t – τ)q(τ)dτ è la parte di eredità lasciata al tempo t dal valore q(τ) dal parametro nel tempuscolo (τ, τ + dτ). In tal modo noi assumiamo a priori che questa parte di eredità dipenda solo dalla distanza di tempo t – τ tra l'istante attuale e l'istante τ. Ma nulla c'impedirebbe di supporre che in generale Φ fosse una funzione, oltre che della distanza di tempo t – τ, anche di t, cioè che si avesse Φ (t, t – τ). Si verrebbe così ad ammettere che la legge che individua il contributo lasciato per eredità variasse col tempo. Questo che noi diciamo per l'eredità lineare può evidentemente ripetersi per l'eredità non lineare nella quale devesi ricorrere al concetto generale di funzionale. Vengono così a distinguersi due sorta di eredità: quella la cui legge resta invariabile col tempo e quella che invece si altera col tempo. Ora il principio cui sopra alludevo serve a distinguere le due specie di eredità, giacché esso suona così: se a cause periodiche, con qualunque periodo, corrispondono effetti ereditarii periodici, l'eredità deve essere invariabile col tempo, e reciprocamente, se l'eredità segue una legge invariabile, le cause periodiche generano sempre effetti periodici.

Tali relazioni fra cause ed effetti, allorché l'una e l'altra possono rappresentarsi mediante le due coordinate di un punto di un piano (punto rappresentativo), hanno per immagine geometrica un ciclo chiuso indefinitamente percorso dal punto rappresentativo nel piano, coll'infinito volgere del tempo. Perciò a questo principio ho dato il nome diprincipio del ciclo chiuso. I fenomeni suscettibili di essere rappresentati con cicli chiusi possono distinguersi con questo nome ed i nuclei Φ(t – τ) corrispondenti a eredità di natura invariabile vengono detti nuclei appartenenti al ciclo chiuso. I fenomeni di natura ereditaria, che ci rivela il mondo fisico, appartengono in generale al ciclo chiuso.

I cicli contengono in taluni casi delle singolarità dovute probabilmente a cause che si aggiungono alla semplice eredità.

I fenomeni biologici, sebbene non definibili sempre con precisione matematica, non ci fanno pensare anch'essi ad una periodicità di effetti dovuta ad una periodicità di cause? E perciò entro i limiti d'una tale periodicità non dovrebbe forse verificarsi un'invariabilità nella legge ereditaria? Limitiamoci a queste semplici suggestioni senza approfondire un soggetto che ci condurrebbe troppo lontano.

Certo finché studiamo dei fenomeni fisici di natura ereditaria sarà giustificato fare uso di nuclei appartenenti al ciclo chiuso. Ora, come già abbiamo accennato, ciò è di notevole importanza dal punto di vista analitico. Infatti alle equazioni integrali ed integro-differenziali corrispondenti a tali nuclei sono applicabili dei metodi di una notevole semplicità ed eleganza. Conviene perciò introdurre un'operazione da eseguirsi sulle funzioni la quale può esprimersi con simboli matematici mediante la formula

xy f(x, ξ)φ(ξ, y)dξ

e che chiamasi la composizione delle funzioni f e φ. Essa gode delle proprietà associativa e distributiva. Ora tutte le funzioni per le quali vale anche la proprietà commutativa costituiscono un gruppo, giacché l'operazione stessa genera nuove funzioni che appartengono al gruppo, come appartengono al gruppo tutte quelle generate per combinazioni lineari a coefficienti costanti delle funzioni stesse. Tale gruppo chiamasi un gruppo di funzioni permutabili. Ora le equazioni integrali ed integro-differenziali, dipendenti da nuclei appartenenti ad uno stesso gruppo di funzioni permutabili, si risolvono partendo dalle soluzioni di equazioni algebriche o differenziali del tipo classico sviluppate in serie di potenze e sostituendo in esse alle potenze algebriche quelle che si chiamano potenze di composizione. Ma le soluzioni delle equazioni integrali ed integro-differenziali, ottenute mediante questa trasformazione, hanno, rispetto alle soluzioni delle equazioni classiche da cui si ricavano, un vantaggio notevole in quanto le serie sono illimitatamente convergenti anche se non lo sono quelle di partenza.

Esaminiamo ora i nuclei appartenenti al gruppo del ciclo chiuso. Essi formano un gruppo di funzioni permutabili nel senso sopra stabilito, onde si può applicare alle equazioni integro-differenziali ed integrali che si hanno nel caso della eredità di tipo invariantivo i metodi e l'analisi che abbiamo ora sommariamente esposto e risolvere così con grande facilità i numerosi problemi che si presentano.

Le operazioni di composizione e le funzioni permutabili, man mano che se ne esaminano le proprietà, si approfondiscono le questioni che ad esse si riattaccano, e si procede alle estensioni che nascono spontaneamente dal loro studio, danno luogo ad una teoria che si svolge parallelamente a quella dell'algebra e del calcolo infinitesimo classico. Il Signor Pérès ed altri Autori hanno aggiunto alle primitive ricerche su questo soggetto dei capitoli interessanti che ho raccolto insieme al succitato autore in un volume. Esso dà un'idea dell'insieme di questi studi.

Tralasciamo questi sviluppi analitici e ritorniamo ad esaminare le vere e proprie questioni ereditarie, anzi esaminiamole in quello che esse hanno di più essenziale, cioè dal punto di vista energetico.

Questo è quanto andrò ora ad esporre e ciò che ritengo oggi nuovo, giacché ha costituito la ricerca a cui mi sono consacrato in questi ultimi tempi e di cui ho pubblicato un saggio nell'ultimo fascicolo del «Journal de mathématiques». Quale forma assume il principio di conservazione dell'energia, allorché si considerano i fenomeni di tipo ereditario? Dei numerosi casi che devono prendersi in considerazione cominciamo da quello che si presenta sotto la forma più semplice ed elementare.

Immaginiamo un sistema meccanico avente un sol grado di libertà, la cui configurazione sia quindi individuata da un solo parametro q. I piccoli movimenti spontanei di un tale sistema dipenderanno dall'equazione differenziale ben nota

d 2 q(t)
——— + a 2 q(t) = 0.
dt 2

Se noi supponiamo che la forza viva o energia cinetica del sistema sia

( dq(t) )2
½ ——— = T.
dt

e il potenziale delle forse interne sia

P = – E = – ½a 2 q 2

l'equazione delle forze vive avrà la forma

d(T + E) = 0

ossia

T + E = cost.

E = ½a 2 q 2 esprimerà l'energia potenziale interna del sistema.

Se il moto anziché libero sarà forzato, l'equazione fondamentale si scriverà

d 2 q(t)
(2) ——— + a 2 q(t) = Q(t).
dt 2

denotando con Q(t) la forza esterna ed in questo caso avremo

d(T + E) = Qdt.

Questa equazione dice che il lavoro delle forze esterne va impiegato ad aumentare l'energia totale del sistema, cioè la somma della forza viva (energia cinetica) e dell'energia interna (energia potenziale). Supponiamo ora che il sistema sia soggetto ad azioni interne ereditarie, e per considerare il caso più semplice supponiamo ch'esse siano azioni ereditarie lineari. Dovremo allora aggiungere l'azione ereditaria al termine a 2 q che figura nel primo membro. Come abbiamo detto precedentemente questa azione ereditaria potrà scriversi

o∫ToΦ(τ)q(t – τ)dτ

supponendo l'eredità di natura invariabile col tempo e supponendo che To sia la sua durata.

Dovremo ora ammettere quest'azione ereditaria acceleratrice o ritardatrice? È facile persuadersi che essa opera in senso opposto all'azione interna a 2 q(t), in modo che, come equazione generale da sostituirsi alla (2), dovremo assumere

d 2 q(t)
(3) ——— + a o q(t) + o∫ToΦ(τ)q(t – τ)dτ= Q(t).
dt 2

ove Φ(τ) è una quantità essenzialmente negativa. Si ponga ora

a2 +o∫ToΦ(τ) dτ= m

e l'equazione precedente diverrà

d 2 q(t)
(3') ——– + mq(t) +o∫ToΦ(τ)[q(t) – q(t – τ)]dτ= Q(t).
dt 2

Un semplice ragionamento ci porta a concludere che m è positivo. Infatti se m fosse nullo, sopprimendo la forza esterna e prendendo q(t) = q(t – τ) si avrebbe q'(t) = 0, mentre dalla equazione precedente seguirebbe q''(t) = 0, onde q non cambierebbe valore. Se m fosse negativo risulterebbe q''(t) > 0, perciò q tenderebbe a crescere. Ambedue queste conseguenze contraddicono all'andamento dei fenomeni ereditari.

Consideriamo il funzionale

(I)        Ep = ½mq 2(t) –½o∫ToΦ(τ)[q(t) – q(t – τ)]2 dτ;

il suo differenziale potrà scriversi

mq(tq(t) –o∫ToΦ(τ)[q(t) – q(t – τ)]dτ·δq(t) +
+o∫ToΦ(τ)[q(t) – q(t – τ)]δq(t – τ)dτ

Il primo termine che, nella classificazione dei differenziali dei funzionali di cui abbiamo parlato sopra, prende il nome datogli dal sig. Paul Lévy di parte irregolare del differenziale, è il prodotto della forza totale interna attuale cambiata di segno per il differenziale δq(t) dello spostamento attuale. Potremo dunque chiamare –Ep il potenziale dell'insieme di tutte le azioni interne.

Ep è un funzionale il quale dipende dallo stato attuale del sistema e da tutti gli stati che ha attraversato il sistema nell'intervallo di tempo To che ha preceduto l'istante attuale. Ora dal punto di vista ereditario il sistema si trova nelle stesse condizioni in due istanti diversi quando, non solo i parametri che definiscono lo stato del sistema hanno gli stessi valori nei due istanti, ma sono rispettivamente uguali tra loro anche i valori dei parametri stessi nei due intervalli di tempo d'ampiezza To che precedono i due detti istanti.

Ep è dunque un funzionale che riprende il valore iniziale allorché il sistema ritorna, dal punto di vista ereditario, nelle stesse condizioni iniziali. Nella equazione (3') la forza interna attuale è scritta sotto la forma

mq(t)+o∫ToΦ(τ)[q(t) – q(t – τ)]dτ;

ora quest'espressione può interpretarsi dicendo che il contributo di forza interna attuale proveniente dal tempuscolo (τ, τ + dτ)è dato da

Φ(τ)[q(t) – q(t – τ)],

ossia è proporzionale alla differenza tra il valore attuale del parametro q ed il suo valore nell'istante t – τ. Ciò modifica il concetto di azione elementare ereditaria che avevamo precedentemente esposto. Fu appunto questa modificazione del concetto primitivo di contributo elementare ereditario, al quale abbiamo già alluso precedentemente, che diede luogo alle più feconde conseguenze.

Noi abbiamo detto che Φ(τ) deve assumersi negativo, ma vi è da ricordare un'altra ipotesi sopra questa quantità. Siccome l'azione ereditaria tende ad estinguersi col tempo, così il valore assoluto di Φ(τ) deve andare continuamente decrescendo col crescere di τ; quindi potremo scrivere

Φ(τ)<0 , (0≤τ<To) ; Φ(To)=0 ; Φ'(τ)>0 , (0<τ<To).

Abbiamo adesso tutti gli elementi per stabilire la relazione energetica fondamentale e faremo uso per ottenerla di un artificio che mi è stato suggerito da uno studio di natura diversa, ma che rientra sempre nel campo delle questioni ereditarie.

È possibile infatti costruire sopra basi matematiche una teoria delle fluttuazioni che si osservano nei numeri di individui di specie biologiche diverse, allorché, vivendo esse in un medesimo ambiente, esercitano le une sulle altre delle azioni di aiuto o di distruzione, il che avviene, per esempio, quando alcune specie si nutriscono degli individui di altre o si disputano uno stesso nutrimento. Un primo esame conduce a regolare tali fluttuazioni mediante equazioni differenziali non uguali, ma simili alle equazioni differenziali della dinamica classica. Un esame più profondo conduce invece a riconoscere un carattere ereditario nelle azioni che sono in gioco. Ed infatti la maggiore o minore quantità di nutrimento ingerita oggi dagli individui di una specie ha un'azione che si manifesta solo dopo un certo tempo sulla quantità degl'individui della specie stessa.

Si è così condotti a modificare le equazioni primitive di natura differenziale sostituendole con equazioni integro-differenziali. Le leggi delle fluttuazioni che si ricavavano dalle equazioni differenziali in parte si conservano in parte si trasformano impiegando alcuni artifici analitici.

Questi stessi artifici possono adoperarsi (ed anzi con maggior successo nel caso della ordinaria dinamica ereditaria ed anche nello studio di altri fenomeni fisici sempre di natura ereditaria. Sono appunto questi artifici di cui faremo uso per ottenere il principio energetico che vogliamo stabilire.

Riprendiamo perciò l'equazione (3'). Se noi vogliamo ottenere il lavoro della forza esterna Q durante il tempuscolo dt dovremo calcolare

Q(t) q'(t)dt

e questo si esprimerà sotto la forma

q''(t)q'(t)dt+mq(t)q'(t)dt–q'(t)dto∫ToΦ(τ)[q(t)–q(t–τ)]dτ.

I primi due termini, come risulta ovviamente dall'analisi che conduce al principio dalle forze vive, sono due differenziali esatti e cioè insieme formano

d½[q' 2(t) + mq 2(t)].

Il terzo termine non è un differenziale esatto ma differisce da

d[–½o∫ToΦ(τ)[q(t)–q(t–τ)]2 dτ]

per la quantità

dq(t–τ)
dt·o∫ToΦ(τ)[q(t)–q(t–τ)] ——— dτ.
dt

Ora quest'espressione può scriversi

d[q(t)–q(t–τ)]2
dt·½o∫ToΦ(τ) —————— dτ
dτ

e, con un'integrazione per parti, osservando che

Φ(To)=0 , (q(t)–q(t–τ))τ =0=0

si trasforma in

dt ½o∫TΦ(τ)[q(t)–q(t–τ)]2 dτ,

onde otterremo finalmente

d q' 2(t)+½mq 2(t)–½o∫ToΦ(τ)[q(t)–q(t–τ)]2 dτ}++dt/2 o∫ToΦ'(τ)[q(t)–q(t–τ)]2 dτ= Q(t)dq(t).

E siccome (vedi (I))

½q' 2(t)=T , ½mq 2(t)–½o∫ToΦ(τ)[q(t) – q(t – τ)]2 dτ = Ep

e possiamo porre

E∂ = ½o∫ToΦ(τ)[q(t) – q(t – τ)]2 dτ

avremo

d (T + Ep) + E∂ dt = Q (t) dq(t).

Ora E∂ è una quantità positiva, dunque il lavoro delle forze esterne supera sempre l'incremento della quantità

T + Ep.

Se noi scriviamo T + Ep = Em ed integriamo tra due tempi t o e t, dall'equazione precedente risulterà

(II)                 Em Eo m + t ot E∂dt = L,

ove Em e Eo m, sono i valori di Em ai tempi t 0 e t, e L è il lavoro delle forze esterne.

È questa la equazione fondamentale energetica che volevamo stabilire.

Chiamiamo per definizione Ep l'energia potenziale interna ed Em l'energia meccanica. Si avrà allora il principio energetico:

Il lavoro delle forze esterne oltrepassa sempre la variazione dell'energia meccanica di una quantità positiva.

Se L è positivo questa legge può enunciarsi:

Il lavoro delle forze esterne non si trasforma completamente in energia meccanica, ma resta sempre una parte residua positiva del lavoro stesso che non si trasforma in energia meccanica. Se mancano forze esterne (e quindi L = 0) l'energia meccanica diminuisce costantemente e, se il lavoro delle forze esterne è negativo, l'energia meccanica si trasforma solo in parte in lavoro esterno.

Supponiamo ora che il sistema ritorni dopo un certo tempo alle condizioni iniziali (dal punto di vista ereditario), allora l'energia potenziale riprenderà il valore primitivo, onde avremo che, se, alla fine di un certo periodo di tempo, il sistema ritorna, dal punto di rivista ereditario, nelle stesse condizioni iniziali, le forze esterne eseguiscono un lavoro positivo. In questo caso nulla si cambia dal punto di vista meccanico nel sistema, perciò questo lavoro positivo è un lavoro dissipato dal punto di vista meccanico. Esso si calcola subito dalla formula (II) prendendo Em = Eo m, onde sarà

to∫t E∂dt

il lavoro meccanico dissipato. Naturalmente secondo i principî della conservazione dell'energia esso deve essersi trasformato in altre forme di energia.

E allora può domandarsi: se il ciclo percorso dal sistema non è chiuso, cioè se il sistema non ritorna al tempo t nelle stesse condizioni (dal punto vista ereditario) nelle quali si trovava al tempo to, la quantità

to∫t Eδ dt

ci darà sempre una quantità di lavoro meccanico trasformato in altre forme di energia? Noi non possiamo affermarlo. Bisogna a questo proposito intendersi bene sul significato delle parole delle quali abbiamo fatto uso. Non è infatti che per definizione, come è stato detto esplicitamente sopra, che Ep si è chiamata l'energia potenziale interna ed Em l'energia meccanica. Ciò che preme di mettere in luce è che tali definizioni sono compatibili con i principî della energetica e che abbiamo mostrato l'esistenza di un funzionale, di cui si è data l'espressione analitica, dipendente dalle condizioni del sistema dal punto di vista ereditario, tale che il lavoro delle forze esterne nel passaggio da uno stato ad un altro ne oltrepassa sempre le variazioni.

Il funzionale considerato non è il solo che goda di queste proprietà.

Il risultato ottenuto conduce a molte conseguenze ed esso può ancora estendersi notevolmente.

In primo luogo si dimostra che i moti spontanei sono limitati e vanno indefinitamente smorzandosi, o mediante oscillazioni, o mediante moti asintotici.

Si può poi estendere i risultati al caso di un sistema avente un grado qualunque di libertà. La estensione può farsi con un'analisi delicata, introducendo nuove condizioni e nuovi postulati che generalizzano ed integrano quelli posti nel caso di un solo grado di libertà. Anche i sistemi continui possono studiarsi dallo stesso punto di vista. In particolare è interessante lo studio dei solidi elastici allorché si tien conto dell'eredità. Il procedimento il quale conduce alla relazione energetica fondamentale non differisce essenzialmente da quello di cui abbiamo esposto poco fa le basi fondamentali.

Oltre all'equazione energetica, che abbiamo precedentemente ottenuta, possono aversene anche altre. Ciò è legato ad alcune considerazioni generali sulla eredità che brevemente riferiremo. Sia ρ un parametro il cui valore al tempo t dipende linearmente ed ereditariamente dal parametro q, cioè sia

(4)                ρ(t) = aq(t) +–∞∫tq(τ)Φ(t – τ)dτ.

La funzione q(τ) individua la storia del parametro q (storia primitiva) e la funzione ρ(t) la storia del parametro ρ (storia ereditaria). In questo caso la eredità si dirà completa. Se Φ si annulla per valori dell'argomento eguali o superiori a To, come abbiamo veduto precedentemente, la eredità è limitata alla durata To ed abbiamo

(4')                ρ(t) = aq(t) +t–To∫tq(τ)Φ(t – τ)dτ.

Ma, se la eredità anteriore ad un istante t o è trascurabile, l'equazione (4) assumerà la forma

(4'')                q(t) = aq(t) +to∫tq(τ)Φ(t – τ)dτ.

In questo caso la eredità si dirà posteriore all'istante t o e l'equazione integrale precedente potrà invertirsi e si otterrà:

q(t) = 1/aρ(t) +to∫tρ(τ)φ(t – τ)dτ.

ove la funzione φ si chiama il nucleo risolvente dell'equazione (4"). Si avrà dunque che, nello stesso modo che la storia primitiva posteriore a t o individua quella ereditaria, così la storia ereditaria posteriore a t o individua quella primitiva.

La eredità posteriore a t 0 può quindi completamente invertirsi e si può considerare q come dipendente ereditariamente da ρ.

Analoghe proprietà non si verificano allorché la eredità è completa o limitata, così, per esempio, in questi casi ad una stessa storia ereditaria possono corrispondere diverse storie primitive, a meno che non si pongano alcune condizioni restrittive.

L'essere l'eredità primitiva posteriore a t o, non esclude che essa possa essere anche limitata ad una certa durata To, però la eredità invertita può non essere limitata alla durata To, né essere in alcun modo limitata.

Tutte queste diverse classificazioni e proprietà ereditarie portano a forme diverse di equazioni energetiche.

Così considerando l'eredità posteriore ad un certo istante può estendersi la relazione energetica precedentemente ottenuta ed invertendo l'eredità può ottenersene una di forma diversa.

Come esempio di un'altra forma di relazione energetica esaminiamo i fenomeni elettromagnetici di natura ereditaria.

Prendiamo le equazioni fondamentali di Maxwell nel caso il più semplice dei mezzi isotropi ed omogenei. Per passare dal caso ordinario a quello in cui si tien conto della eredità si può sostituire alle due relazioni

Pe(t) = εFe(t) , Pm(t) = μFm(t)

ove Pe e Pm denotano i vettori polarizzazione elettrica e polarizzazione magnetica e Fe e Fm i vettori forza elettrica e forza magnetica nell'istante t, le relazioni di tipo integrale

Pe(t) = εFe(t) + o∫ToF(τ)Fe(t – τ)]dτ,

Pm(t) = μFm(t) + o∫ToΦ(τ)Fm(t – τ)]dτ.

In queste equazioni i coefficienti di eredità F(τ) e Φ(τ) debbono essere positivi e decrescenti ed annullarsi per t =To, ammesso che To sia la durata dell'eredità, allorché si assumono come storie primitive quelle della forza elettrica e della forza magnetica e come storie ereditarie quelle delle corrispondenti polarizzazioni.

Sostituendo nelle equazioni di Maxwell le precedenti espressioni delle polarizzazioni si ottengono subito le equazioni integro-differenziali che esprimono l'andamento dei fenomeni elettromagnetici nel caso ereditario.

Ora per stabilire la legge fondamentale energetica si può applicare alle equazioni di Maxwell il procedimento ben noto del Poynting. Bisogna allora calcolare la somma dei prodotti scalari

dPe dPm
—— × Fe , —— × Fm
dt dt

la quale si esprime, eseguiti tutti i calcoli e le trasformazioni necessarie, mediante la formula

d
(Ee + Em) – E∂,
dt

avendo posto

ε F2 e+o∫To F(τ)
Ee = —— F2 e(t – τ)]dτ
8 π
μ F2 m+ o∫To Φ(τ)
Em = —— F2 m(t – τ)]dτ

E∂ = –1/8 πo∫To{F'(τ)[Fe(t – τ) – Fe(t)]2 +
+ Φ(τ)[Fm(t – τ ) – Fm(t)]2}dτ

e ove con

F2 e(t) , F2 m(t) , [Fe(t – τ) – Fe(t)]2 , [Fm(t – τ) – Fm(t)]2

si intendono rispettivamente i quadrati dei tensori dei vettori

Fe(t) , Fm(t) , Fe(t – τ) – Fe(t) , Fm(t – τ) – Fm(t).

Se per definizione chiamiamo Ee l'energia potenziale unitaria elettrica ed Em l'energia potenziale unitaria magnetica, mentre chiamiamo E∂ la energia di dissipazione elettromagnetica unitaria dovuta all'eredità, queste quantità saranno tutte positive ed il flusso di energia elettromagnetica che penetra in un intervallo di tempo (t o , t) attraverso il contorno di un campo S sarà eguale a

S∫(Ee + Em)dS – S∫E0 e + E0 m)dS + to∫tdtS∫E∂dS + J,

denotando con J il calore Joule (misurato in energia meccanica) e avendo messo un apice 0 per denotare i valori iniziali (al tempo t o) di Ee ed Em. Da qui segue il teorema: il flusso dell'energia elettromagnetica attraverso il contorno di un campo supera la somma dell'energia Joule e dell'incremento dell'energia elettro-magnetica del campo di una quantità positiva o, in altri termini, solo una parte dell'energia elettro-magnetica che penetra attraverso il contorno accresce l'energia elettro-magnetica del campo e si trasforma in calore Joule. La parte che si dissipa (e che in generale verrà trasformata anch'essa in calore) viene calcolata dalla formula:

to∫tdtS∫E∂dS

Ciò potremo asserire almeno tutte le volte che il sistema torna dal punto di vista ereditario nelle condizioni iniziali.

Pur prescindendo dalle definizioni attribuite ad Ee, Em, E∂, anche in questo caso resta dimostrata per ogni campo l'esistenza di un funzionale dipendente dalle condizioni del sistema dal punto di vista ereditario, le cui variazioni in ogni intervallo di tempo aggiunte all'energia Joule sono sempre superate dall'energia elettro-magnetica che penetra nel campo dal suo contorno.

Questo funzionale non è il solo che gode di tali proprietà. Infatti potrebbe calcolarsene un altro (analogo a quello trovato per i sistemi dinamici) dal quale il primo differisce perché in questo figurano soltanto i valori che individuano lo stato del sistema nel periodo di durata dell'eredità, mentre nell'altro compariscono le differenze tra gli elementi che definiscono lo stato del sistema nell'istante attuale e quelli che lo individuano nel tempo passato.

Tutto quanto abbiamo detto sin qui relativamente alla energetica ereditaria si riferisce al caso in cui essa sia lineare. Ora è del maggiore interesse vedere se i principî stabiliti sono estensibili al caso dell'eredità non lineare. Evidentemente tale estensione va riservata al caso dei sistemi dinamici, giacché per l'elettro-magnetismo conviene rimanere sempre nel caso lineare.

Ma se esaminiamo l'estensione stessa dal punto di vista analitico si riconosce facilmente che essa ci conduce ad un impiego molto più largo dei metodi del calcolo funzionale e dei suoi elementi fondamentali di quanto non sia stato fatto finora.

È forse l'esempio più istruttivo che si abbia del loro uso e la prova più sicura della facilità colla quale possono adoperarsi e della loro utilità. Infatti conviene valersi, fra le altre cose, dei differenziali dei funzionali, giovandosi ad un tempo della loro parte regolare e di quella non regolare ed applicare lo sviluppo funzionale analogo a quello di Taylor. Mi riferivo precisamente a questo al principio della conferenza.

Noi non staremo a svolgere nei suoi particolari tale estensione la quale ci condurrebbe troppo lontano. Diremo solo che conviene partire dalle equazioni dinamiche sotto la seconda forma di Lagrange, ed ammettere l'esistenza del potenziale ereditario dipendente dalla differenza dei valori attuali dei parametri che individuano lo stato del sistema e dei valori dei parametri stessi in tutti gli istanti di un intervallo di tempo che precede quello attuale, di ampiezza eguale alla durata dell'eredità. Questo potenziale è un funzionale il cui differenziale si suppone regolare. È possibile allora modificare le equazioni di Lagrange in modo da tener conto dell'eredità. Se in seguito noi applichiamo a queste equazioni il classico metodo che conduce al principio delle forze vive noi otteniamo una relazione differenziale la quale esprime il lavoro elementare delle forze esterne mediante il differenziale della somma dell'energia cinetica e di un funzionale dipendente dallo stato del sistema dal punto di vista ereditario. A questo differenziale è aggiunto un termine che esprime l'energia di dissipazione. L'operazione più difficile è la sua trasformazione, la quale può ottenersi mediante la costruzione di un nuovo funzionale dipendente in modo speciale dal valore d'una funzione in un punto determinato e di cui si conosce la parte non regolare del differenziale. Esso ci dà il funzionale di dissipazione che, in virtù di alcuni postulati, risulta positivo.

I teoremi quindi che abbiamo enunciati nel caso dell'eredità lineare possono senz'altro estendersi al caso generale.

Un esempio particolare di notevole interesse lo abbiamo allorché il funzionale che esprime il potenziale ereditario è sviluppabile in serie analoga a quella di Taylor, il che ci conduce alle espressioni analitiche complete e del potenziale ereditario stesso e della energia di dissipazione.

Ritengo così di avere dato un'idea generale dei fenomeni ereditari per quella parte che può chiamarsi la teoria pura dei fenomeni stessi la quale si basa sulla semplice ipotesi della esistenza di azioni che dipendono, oltre che dal presente, anche dal passato. L'esame di tali azioni costituisce a mio avviso un passo nello studio approssimativo dei fenomeni naturali.

Ma evidentemente se ciò avvicina la teoria analitica ai risultati delle osservazioni, questi sono ben lungi dal venire completamente spiegati in tutti i loro particolari. Molti fatti sfuggono alla teoria. Essi alla loro volta non vi rientreranno, almeno parzialmente, se non aggiungendo nuove ipotesi a quelle già fatte che riescano a stringere più da vicino la realtà. L'avanzarsi dunque per questa via, come in tutte quelle secondo cui procede la filosofia naturale, è e continuerà ad essere il risultato di successive approssimazioni.

La teoria si serve delle equazioni integro-differenziali e delle equazioni funzionali che esprimono matematicamente il fenomeno; si svolge con lo studio analitico di esso basato sulla dottrina del calcolo funzionale; stabilisce un principio fondamentale: quello del ciclo chiuso, il quale dal punto di vista matematico apre la via all'impiego dei metodi delle funzioni permutabili e della composizione. Infine la teoria stessa procede nel campo dell'energetica riuscendo ad esprimere mediante dei funzionali l'energia di dissipazione dovuta all'eredità nel caso dei cicli chiusi e dando un seguito di proposizioni compatibili con le leggi generali dell'energetica.

Le più importanti di esse provano l'esistenza, in ogni caso, di funzionali, le cui variazioni aggiunte a quelle dell'energia cinetica (fenomeni dinamici) o del calore Joule (fenomeni elettro-magnetici) sono sempre superati dal lavoro delle forze esterne o dall'energia che penetra dall'esterno nel campo in cui il fenomeno si svolge.

Queste diverse proposizioni esprimono in forma sintetica il modo di prodursi dei fenomeni ereditari e ne caratterizzano l'andamento generale.

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