Capitolo IV Anna Albanese racconta: Raffaele tornato dalla guerra

«Prima che mio figlio tornasse passarono altri due anni; cominciavo a dubitare che non gli fosse accaduto qualcosa dopo il suo rimpatrio. Infatti qualcosa gli era effettivamente accaduto.

Quand'era giunto a N. stava molto male, aveva perso quindici chili ed era già magro di costituzione, poi soffriva d'insonnia e di feroci mal di testa, aveva incubi, non parlava quasi ed era completamente inappetente. I miei parenti si spaventarono molto quando videro che anche dopo un paio di settimane di riposo e di alimentazione quasi normale Raffaele rimaneva abulico e depresso. Stava ore disteso sul letto guardando il soffitto oppure camminava per la stanza fumando sigarette. I miei parenti fecero di tutto per aiutarlo, ma ogni sforzo sembrava destinato al fallimento.

Mio cugino aveva un'impiegata, lei pretendeva di essere una disegnatrice di moda, ma visti i tempi, non trovando lavoro, si adattava a fare la dattilografa, cosí almeno aveva raccontato ai miei. Quel che è certo, era molto bella e molto bisognosa, aveva una numerosa famiglia piena di difficoltà economiche. Bene, mio cugino la prega di venire a battere a macchina a casa sua: non sta bene, sua moglie non vuole che esca, e ha molto lavoro da sbrigare. Cosí la ragazza comincia a girare per casa e incontra Raffaele, casualmente, entrando o uscendo. Dopo qualche giorno mia cugina le propone di rimanere a pranzo, cosí, per non perder tempo. La avverte che a tavola ci sarà anche il giovane reduce, è un architetto suo parente – le spiega – un ragazzo di prim'ordine, di una ricca e buona famiglia, purtroppo gravemente sconvolto dalla guerra, non si meravigli se si comporterà in modo rude e scontroso.

Raffaele si siede a tavola, dopo aver mangiato due bocconi allontana il piatto e si mette a fumare. "Con queste sigarette! Mangia un altro poco!"

Raffaele fa un cenno per scusarsi, si alza da tavola e torna nella sua stanza. "Non si vuole scuotere, non vuoi dar retta a chi gli vuole bene e si ammalerà!"

La scena si ripete vari giorni; un pomeriggio mia cugina chiama Tina. "Vi vorrei pregare di un favore. Vedete, se ci vado io da mio nipote si arrabbia, prendete voi questo vassoio, portategli questi dolci e questo caffè."

Tina bussa alla porta. "Avanti!" Raffaele è steso sul letto a fumare, non si aspetta che sia Tina, si alza sorpreso, imbarazzato e un po' seccato.

"State comodo. Vostra zia vi manda questo!"

"Grazie, mi dispiace... Lei è molto gentile."

Tina rimane quasi ogni giorno a pranzo e quasi ogni pomeriggio mia cugina le dà dolci e caffè da portare a Raffaele. Raffaele accetta educatamente con due parole di gelida cortesia, lo trova sul letto con un libro sulle ginocchia o alla scrivania, un foglio e una penna davanti.

Un pomeriggio mia cugina esce e Tina non gli porta il vassoio. Il giorno seguente quando Tina entra, le dice:

"Credevo che mia zia l'avesse esonerata da questo obbligo, vedo invece che è implacabile."

"Vostra zia si preoccupa di voi. Vi vorrebbe vedere contento."

"Mia zia si preoccupa troppo!"

"Lo fa per il vostro bene."

"Credete?"

A partire da quel pomeriggio poco prima dell'ora del caffè, Raffaele usciva e nessuno sapeva dove andasse.

Il lavoro a casa di mio cugino ebbe termine e Tina non riapparve più. Aveva smesso di lavorare nella ditta, era riuscita a entrare in un atelier. Una sarta di via dei Mille aveva bisogno di un'indossatrice per mostrare i modelli alle clienti e la ragazza poteva anche fare il suo lavoro di figurinista, disegnava le modifiche e le varianti secondo le esigenze delle signore, aveva gusto.

Passano due, forse tre settimane, Tina pensava che non avrebbe mai più rivisto quel ragazzo pallido e stralunato.

Una sera verso le sei suonano alla porta della sartoria, Tina va ad aprire. Era Raffaele: "Sono venuto a cercarla, perché desidero offrirle un caffè!"

E cosí mio figlio s'interessò di nuovo alla vita. In breve tempo rifiorì, gli tornò il suo bel carattere allegro, riprese colore, peso, smise di fumare. Ma ahimè la cura si rivelò ben presto più pericolosa del male, non dava più notizie, non tornava più a casa, era completamente preda della ragazza.

C'erano difficoltà di comunicazione e i miei parenti, d'altra parte, non sapevano come dirmi che mio figlio non tornava da me per stare con una ragazza, sicché non ne sapevo nulla.

A un certo punto tornò. Fu una grande emozione rivederlo.

Non mi disse nulla, né delle sue peripezie, né del suo innamoramento, ma io mi avvidi che stentava a riprendere la sua vita e il suo lavoro. Non ci volle raccontare mai della guerra, disse soltanto che erano ricordi troppo violenti, storie ch'era meglio non evocare mai più. Cosí io attribuii all'ansia passata il suo silenzio e rispettai il suo desiderio di non parlare della guerra. Mi resi conto tuttavia che aspettava con trepidazione la posta, che s'informava continuamente delle condizioni delle comunicazioni con il Sud, cosicché cominciai a sospettare qualcosa. Gli chiesi se a N. avesse lasciato qualche persona oltre ai nostri parenti e mi rispose con il tono di chi vuol troncare un discorso: "Assolutamente nessuno." Io mi convinsi che aveva conosciuto qualcuna e che aspettava sue notizie.

Cercai varie volte di tornare sull'argomento, ma Raffaele sfuggiva, prendeva l'aria assente, non rispondeva come se non avesse sentito.

Una mattina aspettai che se ne fosse andato allo studio dove lavorava. Aveva ripreso il lavoro di progettista presso un architetto, amico del professore con cui si era laureato. Conoscevo un po' la moglie di questo architetto: persone straordinarie per cultura e raffinatezza. Aspettai che la cameriera avesse messo in ordine la sua stanza e poi entrai col preciso proposito di cercare qualcosa. Non fu difficile: nel cassetto della scrivania c'era una lettera proveniente da N.

Lei forse mi giudicherà male, però se ha dei figli mi capirà. Ci sono situazioni in cui a una madre sono concessi certi gesti.

La lettera diceva all'incirca:

Caro Raffaele mio. Penso sempre a te. Lavoro moltissimo ma la situazione è sempre più difficile. Ti ringrazio per quello che dici di mia sorella. Vita mia ti aspetto. Ti bacio Tina.

La lettera non aveva in sé nulla di drammatico, ma era volgare: vergata con la calligrafia incerta di una mano poco abituata a scrivere, era corretta, ma lasciava vedere la difficoltà di esprimersi.

Mi stupiva che mio figlio non avesse mai nemmeno vagamente accennato a qualche storia: mai un sorriso, una battuta che lasciassero pensare. Mi dissi: si tratterà di una donna sposata. Mi preoccupò subito l'accenno alla sorella (rivelava intimità e consuetudine) e anche il progetto di rivedersi. Non mi risultava che mio figlio volesse tornare a N., com'era possibile che non ce ne avesse parlato?

La sera quando eravamo tutti seduti a tavola gli dissi: "Non pensi che dovresti andare a N. a ringraziare tutte le persone che ti hanno aiutato al tuo ritorno?"

"Lo farò, ma non certo ora. Ho appena ripreso il lavoro e ho incominciato un progetto importante per lo studio. Perché dici questo?" e mi guardò interrogativo e preoccupato.

Rinunciai per qualche tempo a cercare di capire. Se mio figlio avesse intuito che mi ero accorta sarebbe diventato anche più cauto.

Un giorno lo andai a chiamare in camera sua, lo cercavano al telefono; quando aprii la porta, vidi che stava scrivendo una lettera. La sera usci con l'architetto R. e io andai a vedere se la lettera c'era ancora. Era nel cassetto, diceva:

Mia cara Tina, finalmente ho ricevuto tue notizie, ero molto preoccupato e triste di non sapere più nulla di te.

Come ti ho già scritto il rientro non è stato facile, le persone intorno a me sono cambiate. Pensavo che ciò dipendesse dalla mia assenza e dalla guerra, dalla sua capacità di distruggere i morti e i superstiti. Mi sembrava che avrei dovuto cominciare da capo a conoscere le persone, non esclusi mio padre e mia madre. In realtà la persona più cambiata, quella cambiata davvero sono io. E non è stata soltanto la guerra, sei stata piuttosto tu. L'amore per te mi ha insegnato nuovi e più complessi sentimenti.

La tua lontananza ha come sospeso e rinviato ogni mia capacità di affetto verso gli altri, senza di te mi sembra che manchino le condizioni essenziali per provare qualsiasi emozione.

Sono quindi tornato con grande volontà al lavoro, ci sono pochi soldi, ma molte possibilità si vanno predisponendo e l'architetto R. mi ha inserito in un lavoro che dovrebbe risolvere la mia situazione economica. Si tratta di una collaborazione con una ditta di M. e questo comporterà frequenti spostamenti.

Lavoro con entusiasmo perché penso che questo ci consentirà di sposarci. Desidero infatti moltissimo che ciò avvenga, come tu sai, ma voglio rendermi indipendente dai miei e voglio risolvere adeguatamente il problema di tua sorella. Non voglio che partendo tu lasci i tuoi nei guai e non voglio dover chiedere aiuto ai miei. Penso che il trasferimento comporterà per te delle difficoltà non indifferenti. Le persone qui sono diverse, non mancano di qualità e di attrattive, ma l'inserimento non è facile e tu sei abituata a una famiglia vasta e a tanti amici. Cosí desidero che tu goda di molti agi e che tu disponga di larghezza di mezzi. I miei genitori sono molto affettuosi con me, ma non so come reagiranno al mio matrimonio. Specialmente mia madre ha molto sofferto per la mia assenza durante la guerra e da che sono tornato si comporta come se fossi tornato definitivamente a casa e certo sarà molto turbata, quando me ne dovrò andare. Non sembra rendersi conto che il tempo è passato anche se ero lontano...

Proseguiva con informazioni sulla vita d'ogni giorno e sul lavoro, sull'architetto R.

Io rimasi come annichilita da quella lettera. Non sapevo che pensare né che fare, la tenevo fra le mani e la guardavo senza crederci, ma insieme ben sicura e ben consapevole di cosa voleva dire.

La rimisi al suo posto e me ne andai in camera mia a riflettere.»

«Che cosa la preoccupava tanto? Dopo tutto era una lettera d'amore e suo figlio aveva un'età e una maturità da poter scegliere una moglie forse senza volerne prima parlare con i genitori.»

«No, non di questo si trattava! Vede, ciò di cui mi resi subito conto non era scritto in parole, ma risultava evidente dal succedersi degli eventi che fin qui le ho raccontato.

La ragazza era chiaramente una donna da letto alla ricerca di un marito e stava purtroppo abbindolando mio figlio! Il silenzio stesso di mio figlio! Perché non dirci che si era innamorato, che si voleva sposare? Niente di più bello, dopo tante ansie! La preoccupazione di preannunciare a lei la nostra ostilità, senza che noi nemmeno sapessimo nulla!

Sono situazioni estremamente delicate in cui per evitare che si consumino autentici drammi bisogna intervenire con abilità ed estrema risolutezza.

Pensai di parlarne a mio marito, ma non lo feci. Mio marito avrebbe senz'altro proposto di parlare "da uomo a uomo" con suo figlio e io proprio questo non volevo. Le parole quando uno ha perso la testa non servono, anzi sono pericolose: rendono tutto irreparabile e fanno consolidare anche i più vaghi desideri. Il matrimonio non sembrava imminente, decisi cosí di stare ancora a guardare, tenendo gli occhi ben aperti.

Non passò molto tempo che giunse una nuova lettera di lei; la vidi subito, nella cassetta della posta: decisi di prenderla. Aveva lo stesso tono da romanzo a fumetti della precedente; grandi dichiarazioni d'amore, frasi fatte a piene mani e poi aggiungeva:

"Ho ricevuto i soldi che mi hai mandato; non erano necessari, ma ti ringrazio molto. Le cure per Rita sono costosissime e i risultati non si fanno ancora vedere."

Pensai di non darla a mio figlio, di non far più arrivare le lettere di lei, ma rischiavo che si preoccupasse e magari andasse di persona a vedere cosa accadeva. Poi se avesse interrotto la corrispondenza avrei perso il controllo della situazione; cosí incollai nuovamente la busta, la mescolai all'altra posta e la misi sul tavolo in entrata dove mio figlio la trovò con sua grande gioia.

Passarono alcuni mesi, le lettere sia pure a un ritmo molto lento, continuarono ad arrivare e a partire.

Lei cominciava a mostrarsi impaziente, "non ne poteva più" di N., sperava che si sposassero presto, sperava che lui l'andasse a trovare; lui prendeva tempo, "voleva essere in condizione di piena indipendenza dalla famiglia", stava lavorando e si avvicinava il momento in cui il matrimonio sarebbe stato possibile. Qualche missiva mi era di certo sfuggita ed ero preoccupata perché il tempo passava e mio figlio sembrava sempre molto preso anche se un po' reticente.

Un giorno, stavo leggendo dopo pranzo, ero sola con la cameriera, suonano, vado io stessa ad aprire, è il postino, mi porge una lettera raccomandata, firmo, la prendo, riconosco la calligrafia, la apro, dice due parole e poi: "parto, vengo da te. Il signor P. viene a T. e mi può portare con sé, arriverò martedí o mercoledí ti manderò ancora un telegramma..."

Era chiaro che lei passava all'azione e voleva accelerare il suo disegno di accasarsi.

Come prima cosa distrussi la lettera, poi mi precipitai dalla signora R., moglie dell'architetto presso cui mio figlio lavorava. La trovai in casa, mi ricevette subito e io senza preamboli le dissi che doveva assolutamente ottenere da suo marito che mandasse via, a M., mio figlio per venti giorni, a partire dalla settimana prossima. Si trattava di una storia molto delicata: mio figlio ovviamente non era al corrente della mia visita né tanto meno della mia richiesta e non doveva ne sapere né sospettare nulla. Sia lei che suo marito erano persone troppo civili per ignorare che non avrei chiesto un simile favore se la situazione non fosse stata realmente senza uscita. Mio figlio era perseguitato da una donna, una signora che, avevo saputo, sarebbe venuta a cercarlo la settimana seguente. Imbastii una storia molto misteriosa e complicata, che sollecitasse la pettegola e intrigante signora R. e le lasciai intendere che se faceva quanto le chiedevo io le avrei poco alla volta raccontato proprio tutto, compreso il nome e il cognome della signora in questione; le lasciai anche intendere che era un nome che proprio nessuno avrebbe mai pensato! La signora R. aveva una vera passione per queste storie, bigotta e bruttina com'era non aveva certo molte occasioni di sperimentare sentimenti travolgenti e se ne appropriava per vie indirette, facendo le viste, naturalmente, del massimo scandalo! Continuava a ripetere: "Ma guardi che cosa le doveva capitare! Povera signora, suo figlio! Ma creda, non tema! Mio marito capirà e poi era già sua intenzione... Non dubiti. Oh, povera signora, ma non mi dica!"

Io infatti non aggiunsi verbo e me ne andai. Sapevo davvero due storie di mio figlio con due signore ineccepibili, bastavano un nome, un volto e la signora R., se necessario, sarebbe stata placata e messa a tacere.

Era martedí, fino a venerdí non accadde nulla. Venerdì sera mio figlio giunse a casa dicendo che sarebbe andato a M. per quindici forse venti giorni, doveva andare a vedere un lavoro per avviare un progetto. Parti fin dalla domenica. Nessun segno della ragazza, mi rammaricavo già delle mie manovre, cominciavo a temere che arrivasse più tardi, quando invece il martedì giunse il previsto telegramma. "Arrivo giovedí 26, Hotel Adria, ore 16."

Mi resi conto che non potevo più reggere il gioco da sola. Decido di mettere al corrente di ogni cosa mio ma rito. "Nostro figlio ha ricevuto un telegramma, l'ho aperto perché lui non c'è: è di una donna, arriva da N. Da mezze parole, da brevi accenni di Raffaele, io so da tempo che esiste una donna e da tempo penso che sia una storia poco chiara, finalmente abbiamo l'occasione per capirne qualcosa di più."

Il giovedí 26 alle ore 16 all'Hotel Adria si presenta mio nipote. Chiede della signorina Tina S. e l'aspetta nella hall, la ragazza scende.

"Sono il cugino di Raffaele. Raffaele non poteva venire all'appuntamento e mi ha pregato di avvertirla, i signori Albanese l'aspettano a casa, desiderano conoscerla!"

"Ah! Grazie, si, ma Raffaele non è dai suoi?"

"Guardi, non so dirle, io ho l'ufficio qui vicino, mio zio mi ha telefonato pregandomi di venire qui subito per accoglierla, perché era sopravvenuto un contrattempo e Raffaele sarebbe giunto in ritardo. Mi ha fatto molta fretta cosí mi sono precipitato qui e non ho chiesto bene."

"Ho capito."

"Se crede l'accompagno dai miei zii."

"Grazie, preferisco cambiarmi e riposare un momento, ci andrò fra una mezz'ora con un taxi."

Non so perché non abbia voluto venire con mio nipote. Forse voleva far la parte della ragazza che non accetta la compagnia di un uomo, sia pure di tutta fiducia. Non so. Forse era turbata e nervosa di fronte a una situazione inattesa e voleva prendere tempo.

Arrivò da noi circa un'ora dopo: elegantissima e bellissima.

Dissi alla cameriera d'andare ad aprire e di farla passare in salotto. Non la feci attendere per nulla, ma volevo che fosse chiaro che l'accoglievo in forma solenne e insieme rigorosamente privata.

Entrai: era vicino alla finestra, guardava fuori, si volse verso di me, smarrita per il protrarsi dell'assenza di mio figlio, ansiosa di capire quale sarebbe stato il mio atteggiamento e che cosa significava quel che stava accadendo.

Andai verso di lei, le braccia tese, gli occhi lucidi, la strinsi a me con trasporto: "Cara, cara ragazza!

Raffaele mi ha tanto parlato di voi! Io so che vi devo la vita di mio figlio. Desideravo tanto poterle manifestare tutta la mia gratitudine! Il vostro affetto me l'ha restituito."

Rispose al mio abbraccio, si commosse e mi disse: "Anch'io ho sentito tanto di voi, e sono contenta di conoscervi." Poi aggiunse: "È successo qualcosa a Raffaele che non c'è?"

"No, no, Raffaele sta benissimo. Solamente non è a T."

"Ma come, non ha saputo che venivo?"

"Si, l'ha saputo, ma è dovuto partire... Non so come – mi strinsi il volto fra le mani – non so come giustificarlo."

"Giustificarlo? Che significa?" gridò quasi la ragazza.

Mi chiusi in un dignitoso silenzio per un lungo momento e poi proseguii.

"Questo figlio è la mia disperazione, io mi vergogno di lui, io mi vergogno per lui!"

"Cos'è accaduto, cos'è accaduto?"

"È voluto partire, non intende più sposarsi e non si sentiva di dirvelo. Sono desolata." Mi misi silenziosamente a piangere, asciugandomi gli occhi.

Era una magnifica ragazza, non stupiva proprio che mio figlio se ne fosse tanto innamorato. Di corporatura ben proporzionata, sottile e sinuosa, la pelle olivastra, i capelli neri.

Benché rivelasse nel modo di muoversi un temperamento sensuale e volitivo, nulla lasciava trasparire in lei volgarità. Aveva i modi disinvolti e sicuri di una signora: tailleur grigio pallido, scarpe e borsa nere. Non mi riuscì antipatica, tuttavia mi confermò l'impressione che fosse molto temibile. Le diedi il tempo di controllare la sua emozione e aggiunsi:

"Appena tornato, ci ha subito parlato di voi. Era talmente felice quando ci raccontava, cosí entusiasta e allegro che a me sembrava di conoscervi. Mio figlio prima di partire aveva avuto un lungo legame con una donna sposata: non lo lasciava vivere, una storia che mi addolorava tantissimo, non mi pareva vero che fosse finita. Ero tanto contenta. Mio marito e io gli abbiamo detto che poteva farvi venir qui a T. e che dovevate sposarvi. Mio marito ha un piccolo appartamento e almeno per i primi tempi avreste potuto viverci. Eravamo ansiosi che potesse essere finalmente felice, dopo tante sofferenze! Sembrava d'accordo con noi (il lavoro andava benissimo) quando poco alla volta si è chiuso in se stesso, ha smesso di parlarci dei suoi progetti e di voi. Se noi facevamo domande si stizziva. Ha cominciato ad andare e venire senza preavviso, a tornare di notte, a essere nervoso, malcontento..."

"È riapparsa forse?"

"Figlia mia! Non lo so! Non ho idea, Raffaele non ci rivolge quasi più la parola. Ho tentato di chiedergli se era successo qualcosa fra voi. Mi ha detto seccamente che i vostri rapporti non mi riguardavano e che lui voleva vivere la sua vita senza che io mi immischiassi. Qualche giorno fa è arrivato il vostro telegramma. Raffaele era cupo, sconvolto, dopo ventiquattr'ore è venuto da me e mi ha mostrato il telegramma e mi ha detto: Non posso vederla, non voglio che si faccia illusioni, mi dispiace prendere questa decisione ma è meglio cosí. Arriverà a T. il giorno 26, dille di tornare a N., io non intendo sposarmi né con lei, né con altre!"

"Ma...?"

"Ogni tentativo di saperne di più è stato vano; ho gridato, ho protestato, gli ho detto che fuggiva davanti alla felicità, l'ho supplicato di dare finalmente un senso alla sua vita. Alla fine gli ho chiesto di assumersi almeno le sue responsabilità di lasciarmi una lettera per voi, mi ha risposto che aveva troppo rimorso per poter scrivere, che l'avrebbe fatto poi, di dirvelo. Non è stato possibile ragionare. Io sono profondamente mortificata per il comportamento di mio figlio e vi garantisco che avrei voluto potervi accogliere in ben altro modo. Non ho parole per esprimere tutto il mio dispiacere."

"Ma voi credete...? C'era stata qualche... non mi sembrava che fossimo a questo punto!"

"Non lo so, non mi sento tuttavia di darvi soverchie rassicurazioni. E un ragazzo chiuso, che non si lascia capire. In passato abbiamo avuto a ridire per quella signora e cosí ora, qualunque cosa ci fosse, non me ne parlerebbe certo. Sa quanto mi farebbe adirare. Cosí non sono in grado di prevedere come evolverà questa vicenda.

Badate, vi posso dire che vi ha voluto bene, dovete credermi. Voi avete ragione di detestarlo, ma non crediate di essere stata giocata, questo no, davvero, vi garantisco che era onesto con voi, voi gli avete dato un periodo di serenità, di felicità. Poi la sua natura ha ripreso il sopravvento, l'ho visto cambiare sotto i miei occhi."

"Vorrei almeno che mi desse una spiegazione."

"Certo, io credo che ne abbiate diritto, figliola; quello che non vi so dire è quando ciò avverrà, anche se credo proprio che se ne sia andato perché non trovava una spiegazione dentro di sé."

La ragazza appoggiata allo schienale del sofà, le mani incrociate in grembo, le gambe accavallate, se ne stava raccolta, mi guardava aspettando qualche parola di conforto.

"Mi ha detto di avere intenzione di andare a N., io sono sicura che lo farà, è questione di un po' di tempo, di un po' di pazienza."

"Pensate che possa cambiare idea?"

"Non sono in grado di rispondervi con sicurezza, ma il mio intuito mi dice quanto meno che ciò è possibile. Vedete, cara, mio figlio era, anche prima della guerra, un giovane sensibile, la guerra l'ha turbato profondamente e ciò di cui ora ha paura è di non padroneggiare i suoi sentimenti, di non conoscerli a fondo."

"Forse ho sbagliato a venire?"

"Ma?!"

"Volevo soltanto convincerlo che non avevo bisogno di molto perché ci potessimo sposare. Mi pareva che si preoccupasse troppo. Invece ha pensato che lo volessi obbligare a sposarci subito."

"Non saprei, può essere cosí può essere altrimenti, non credo che il vostro comportamento sia stato sbagliato. Le cose alle volte vanno come vogliono, al di là delle intenzioni. Non vi tormentate."

"Quando tornerà?"

"Fra una settimana, dieci giorni al più."

"Non posso e non voglio aspettare tanto."

"Non è andato via perché voi siete venuta, se ne è andato per un lavoro, diciamo che avrebbe potuto benissimo rinviarlo! È un atto di vigliaccheria, non un gesto contro di voi."

"Preferisco andarmene. Lascio Raffaele solo, perché possa decidere. Mi dovrà cercare lui."

"Non sta a me dir nulla, ma non fatene una battaglia di orgoglio. È giusto aspettare che le cose maturino, anche se vi devo avvertire, poiché potreste essere mia figlia, che Raffaele è parecchio egoista, parecchio egocentrico, come tutti gli uomini."

A questo punto la conversazione era finita. Per tutto il tempo, lungo e lento, in cui avevamo parlato, mi aveva guardato, sempre più pallida, con due immensi occhi neri dove brillava una crescente tristezza. Un po' per volta lo sguardo era diventato carico come per la febbre e accanto alla tristezza era lentamente apparsa la rassegnazione. Mentre non si aspettava quel che io le ero andata dicendo, sembrava aver già disposto l'animo a questa delusione. Quasi la delusione fosse la più prevedibile e la meno sorprendente delle situazioni umane.

Le chiesi di rimanere a cena con noi, mio marito desiderava conoscerla.

"No, vi ringrazio, preferisco tornare in albergo e domani mattina ripartire."

"Mi serbate rancore?"

"No di certo – mi rispose con uno sguardo distante – Sono stanca."

"Ascoltate, prima di andarvene vi voglio ancora dire una cosa. Raffaele mi ha parlato della malattia di vostra sorella, mi sono interessata e attraverso mio cognato, che è medico, ho avuto tutte le indicazioni sia delle cure, sia delle spese necessarie. Sia io che mio marito desideriamo provvedere alle cure di vostra sorella."

"Non vedo..."

"Vi prego, cercate di capire. Lasciatemi fare questa piccola cosa per voi, io so benissimo che avete strappato Raffaele a una depressione che lo avrebbe potuto uccidere. So benissimo che ora lui si sta comportando malissimo con voi. So che per causa sua avete trascurato vostra sorella e so che lui aveva promesso di occuparsene. Non posso obbligare mio figlio a mantenere i suoi impegni, ma posso almeno riparare a un torto verso una persona del tutto estranea e che non merita di venir punita. Anche mio marito desidera che vostra sorella abbia ogni cura necessaria, indipendentemente da quello che sarà il futuro dei vostri rapporti con Raffaele."

"Voi siete molto generosa, signora, ma non posso accettare."

"Vi assicuro che potete, da parte nostra è un dovere. C'è stato un momento in cui voi avete potuto aiutarci e ora noi ci troviamo in condizioni di poter aiutare voi.

Mio marito ha predisposto delle lettere di credito per voi di due milioni."

"È enorme!"

"È la cifra che vi servirà, mio cognato vi ha preparato tutte le indicazioni dei medici e delle cliniche a cui dovete ricorrere."

"Non so che dire!"

"Non dite nulla. Non c'è proprio nulla da dire. Domani mattina mio marito verrà in albergo a portarvi tutto quanto, non è riuscito ad avere il denaro per oggi; vi spiegherà: il denaro è in parte in contanti in parte lo riscuoterete a N., io non so bene, vi dirà lui."

"Signora..."

"Vi prego di non aprire bocca!"

"Ma Raffaele è al corrente?"

"No, questa è una cosa fra me e voi, non credo che sia necessario che Raffaele lo sappia. Se non foste venuta era mia intenzione scrivervi e farvi arrivare la somma necessaria attraverso i miei parenti."

Le chiesi notizie dei suoi e di come stavano le cose a N. Mi fu chiaro ciò che già immaginavo. La sua numerosa famiglia versava in disastrose condizioni finanziarie e la mia offerta strepitosa non aveva mancato di fare il suo effetto.

Quando se ne fu andata raggiunsi mio marito in ufficio, cosa che non facevo mai: aveva dei clienti, aspettai che se ne fossero andati.

"Il colloquio è stato come prevedevo. La ragazza è una ricattatrice, pretende un risarcimento per il suo onore compromesso e per non accampare pretese con Raffaele. Naturalmente non è stata cosí esplicita. Mi ha parlato di promesse di Raffaele, di illusioni in cui si è cullata, di tradimento della sua buona fede, di reputazione rovinata irrimediabilmente e delle mille difficoltà che la relazione con Raffaele le ha creato. Insomma mi ha fatto intendere che se il risarcimento non sarà adeguato, non mollerà facilmente la presa.

Avevo una gran voglia di dirle che non credevo proprio che ci fosse nulla da compromettere, ma me ne sono ben guardata. Non credo che sia una buona strada per noi, credo che sia più economico crederla una povera tapina che rinfacciarle quello che è. E soprattutto non bisogna farne una martire agli occhi di Raffaele."

"Era proprio come sospettavi allora?!"

"Certo, come vuoi che fosse."

"Non aspetta il ritorno di Raffaele?"

"Mi ha chiesto quando tornava e se era al corrente del suo arrivo. Le ho detto che stava via una settimana e che pensavo che avesse ricevuto regolarmente le sue lettere. Mi ha detto che non intende aspettarlo e che ha una sorella malata e che lui le aveva promesso mari e monti e che sua sorella dev'essere curata. La sua famiglia è in difficoltà e lei ha promesso che avrebbe risolto lui il problema, ma si è fidata a torto, Raffaele è un mascalzone, ecc. ecc."

"E tu?"

"E io le ho detto che noi ci ripromettevamo appunto di provvedere alle cure per sua sorella e che sia tu che io desideravamo in questo modo esprimerle la nostra gratitudine per ciò che aveva fatto per nostro figlio."

"E a quanto ammonta la nostra gratitudine?"

"A due milioni."

"Due milioni, buon Dio!"

"Ti garantisco che non ho potuto discutere la cifra! Non voglio trattarla come una puttana, preferisco fingere che l'aiutiamo."

"Ma non so se ti rendi conto della cifra?"

"Me ne rendo conto."

"E nostro figlio che s'innamora d'una donna simile! La vuol sposare!"

"Ma via, è una bellissima ragazza, è in una situazione disastrosa, piena di debiti e di sventure, cerca soltanto di risalire la china e si serve di quello che ha!"

"Allora è da lodare?"

"No, non è da lodare, è da pagare. Ha certamente fatto passare qualche ora in allegria a mio figlio e io sono contenta che lui si sia divertito, che sia caro non mi dispiace, mi sembra che ne valesse la pena. Del resto potrai giudicare tu stesso. Le ho detto che le porterai tu le carte di credito domani mattina, in albergo!"

"Io?"

"Tu. Riceverla, abbracciarla, ma che tra me e lei corra anche del denaro mi sembra davvero troppo!"

"Prima la difendi poi..."

"Non la difendo, semplicemente ringrazio il Signore che la nostra famiglia non si è mai trovata nelle condizioni in cui si trova la sua e cristianamente non giudico. È facile quando si fa una vita agiata!"

"In ogni caso, come sai, a me sembrava meglio che questa storia l'affrontasse Raffaele. Tu sei sicura che dobbiamo occuparcene noi, ma se darò questi soldi alla ragazza intendo dire a mio figlio quel che penso. Voglio che sappia esattamente che tipo è. Tu per troppo proteggerlo, finisci di danneggiarlo."

"Gli dirai quello che credi, non ti ho mai impedito di parlare con tuo figlio! Del resto sono convinta che per lui è meglio un franco discorso fra uomini. Meno entro io in questa storia e meglio è."

"Che male ha la sorella?"

"Non ne ho la minima idea. Non ha alcuna importanza, qui ci sono gli indirizzi dei migliori medici di N. e di R. con delle lettere di presentazione, vedranno i medici di che cosa si tratta, ammesso che la sorella e la malattia esistano."

Mio marito non sembrava rendersi conto appieno delle difficoltà della situazione, in ogni caso la mattina seguente si recò all'albergo.

"Bella, senza dubbio, cortesissima, ma avida e gelida. Non il minimo accenno a Raffaele, si è comportata come una persona che conclude un affare. Dopo una breve conversazione sui nostri parenti di N. mi sono congedato" era stato il commento di mio marito.

La signorina Tina partì subito, credo.

Mio figlio doveva tornare di li a una decina di giorni, non avevo alcun dubbio che la partita era tutt'altro che chiusa.

Sapevo che le reazioni di mio figlio sarebbero state difficili, si sarebbero incontrati di nuovo: era certo che lui sarebbe andato a N.»

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