PRIMO INTERMEZZO

L'appartamento degli ospiti, dove ero stata sistemata, era una vasta mansarda, un po' più di metà del tetto: comprendeva una grande camera da letto e un grande bagno, pieno di vecchi ottoni. Una stufa di ceramica verde al centro della stanza divideva lo spazio in due zone, da una parte i letti, di fronte a una finestra, da cui si vedevano le cime dei rami del tiglio in giardino, dall'altra parte due poltrone, una scrivania, uno scaffale di libri e una finestra che guardava verso la montagna, in fondo la porta del bagno.

La signora Albanese aveva preso l'abitudine di raccontarmi le storie di famiglia sempre in fondo alla terrazza, sempre intorno al tavolino con le bibite; verso le cinque (non ogni giorno, ma di frequente) mi diceva: «Venga, andiamo a continuare la nostra storia.» Si sedeva e aggiungeva: «Allora, è comoda? È pronta ad ascoltare?» Alle sette circa: «L'aria sta rinfrescando, è meglio rientrare, continuiamo domani.»

La mia ospite e i suoi familiari mi avevano subito accolta come una persona che trascorreva le vacanze con loro, era come sottointeso che sarei rimasta a lungo.

Al mattino andavo in biblioteca o all'archivio a lavorare, al pomeriggio me ne stavo nelle camere che mi avevano assegnato a mettere a posto il materiale raccolto oppure scendevo in terrazza o in salotto a leggere, uscivo in giardino, facevo passeggiate, scendevo in città. Il sabato e la domenica restavo nella villa tutto il giorno.

La signora Albanese si alzava molto tardi e passava il resto della mattinata in bagno e nella sua camera. Non compariva prima di mezzogiorno (salvo la domenica): elegantissima e profumatissima. Non faceva colazione se non con un caffè, che la cameriera le portava a letto. La colazione del resto non era un momento di incontro, i ragazzi andavano in cucina a farsi un panino, gli adulti, se lo desideravano, prendevano un caffè che la cameriera lasciava sul tavolo della camera da pranzo con le tazzine.

All'una si pranzava piuttosto rapidamente e spesso mancavano dei commensali, usciti in gita all'alba. Il pomeriggio era molto lungo, spesso c'erano visite fino a tardi e la cena era considerata il momento di incontro della giornata: adulti e ragazzi dovevano presentarsi in ordine, cambiati d'abito, sicché, per permettere a tutti di riassettarsi, era fissata piuttosto tardi.

Questo ritmo di vita della vasta casa si era chiaramente delineato fin dal primo giorno.

La signora Albanese infatti aveva interrotto il suo racconto alle sette, aveva chiamato la cameriera e le aveva detto di accompagnarmi nella mia stanza. Mi ero lavata la faccia, avevo bevuto un po' d'acqua e mi ero stesa sul letto a riposare. Verso le nove la cameriera aveva bussato: «La cena è servita, se vuoi scendere.»

Scendo nella penombra della sera, al pianterreno è tutto acceso e la luce si diffonde verso l'alto: la scala di pietra grigia, i pianerottoli di graniglia sono vastissimi, ottogonali. La forma interna, spigolosa e circolare insieme, dà un senso di ampiezza e di comodità, anche se ha poco a che fare con l'esterno, molto più squadrato. Al primo piano tutte le porte sono chiuse, si tratta di bagni e camere da letto; a pianterreno le due porte di fronte alla scala sono aperte, piene del vociare di diverse persone.

Mi affaccio: è una sala immensa, tre stanze comunicanti una accanto all'altra; un lungo tavolo imbandito sta davanti a me, nelle altre stanze poltrone e sofà, tende un po' troppo pesanti alle finestre, velluti sulle sedie, mobili di legno e vetro piuttosto imponenti, argenti, pizzi, coppe, vasi, non belli. Tuttavia questo soggiorno troppo grande è piacevole.

«Venga, signora, si accomodi.» La padrona di casa e seduta su una poltrona di pelle marrone, ha una coperta di lana scozzese sulle ginocchia e uno scialle più pesante e più scuro di quello che indossava in giardino. «La sera qui fa freddo. Lei ha di che coprirsi?»

«Sí grazie, per ora non ho freddo.»

«Si sieda qui, Marta accosta quella poltroncina.» Una ragazzetta si precipita a sospingere la poltrona. «Questa è mia nipote Marta, è la seconda figlia di mia figlia.» La ragazzina sorride, brunissima con lunghi capelli neri tenuti da un nastro, occhi neri grandi. E la copia di una signora di mezza età seduta su una sedia, accanto all'anziana signora: «Mia figlia Emma.» Poco discosto c'è un tavolo da gioco e due ragazzi sui quindici anni stanno giocando a dama. «Filippo, Antonio, venite qui un attimo. Questi sono i figli di mio figlio.» Il più vecchio si china in un baciamano un po' goffo, il secondo mi stringe timidamente la mano; la signora lo guarda critica. Hanno dei pantaloni al ginocchio color kaki, camicia kaki a righe bordeau, calze bianche al ginocchio e sandali con suole larghe e pesanti. Sono entrambi biondo-castani, lentigginosi e di colorito chiarissimo. «Tornate a finire la partita, è quasi pronto. Mia nuora ha una passione per quei pantaloni, io non li capisco.»

«Antonella sfrutta il fatto che i suoi figli sono biondi e hanno quest'aria un po' nordica. Sono pantaloni inglesi.»

«Gli inglesi non hanno soltanto le lentiggini, sono dieci centimetri più alti di noi.»

In quella si affaccia alla sala e viene verso di noi una signora con un costume bianco da tennis e una racchetta in mano. «Buona sera mamma, sono in ritardo, mi scusi, salgo un attimo a cambiarmi e sono pronta per la cena.»

«Antonella, ti presento la signora.» «Buona sera, molto lieta, mi perdoni, scappo a cambiarmi e torno.»

«Mamma, Emilio mi ha telefonato che questo sabato non viene, ha delle grane in ditta. Marta, va a chiamare tua sorella.»

Marta ritorna con una ragazza sui quindici, sedici anni. La ragazza porta nei lineamenti la stessa contraddizione della casa: è bionda e pallida, ma cammina e si muove come fosse bruna e olivastra. Questo le dà un aspetto esitante, ma quando mi giunge vicina vedo che due occhi neri le illuminano il viso, imprimendo un piglio deciso all'espressione della faccia, inattesi in mezzo a fattezze tanto chiare danno a ogni gesto della ragazza un tono personale e imprevedibile. E sottile, ha un vestito blu a fiori azzurri.

«Questa è la nipote che porta il mio nome, è Anna.»

«E arrivata anche Antonella, andiamo a tavola.»

La signora Albanese si siede a capotavola: «Qui alla mia destra siede di solito Filippo, ma questa sera Filippo volentieri cede il posto alla signora con cui la nonna desidera parlare.»

«Certamente!»

«Signora, prego.»

Filippo si siede fra me e sua madre, quindi Antonio. A sinistra della signora Albanese c'è Anna, sua madre e poi Marta.

Entra una cameriera con un grande vassoio, robusta, dal viso aperto, il grembiule bianco e un'aria di persona di casa.

La signora Albanese distribuisce la minestra, iniziamo a mangiare.

«Allora ragazzi, questa signora è una studiosa, studia qui alla biblioteca in città. Ma non studia solo alla biblioteca, la signora è un'antropologa, dico bene?»

«Gli antropologi sono quelli che studiano i selvaggi. Che selvaggi studia?»

«Io, per ora, sto soltanto pensando a che cosa voglio studiare. Gli antropologi ora studiano tutti, studiano sempre le popolazioni lontane, ma anche le persone intorno a loro.»

«Certo, si saranno accorti che in ogni famiglia ci sono almeno un paio di selvaggi...»; senza parere, Marta aveva lanciato una pallina di pane a Filippo.

«Marta, stai zitta.»

«Se resta con noi, le faremo sentire un piccolo concerto.»

«Senti mamma come fa la civilizzata! La paura nera di passare per selvaggia...!»

«Marta vuoi tacere! Arriva un violinista e pensiamo di preparare un po' di musica e di suonare qualche pomeriggio.»

«Lei suona?»

«Sí il pianoforte, faremo un po' di Verdi e un po' di Beethoven, secondo le richieste delle amiche della mamma.»

«Che cos'hai Filippo, che storci la bocca?»

«Mi sono morsicato la guancia.»

«E come hai fatto?»

«Ho mangiato due olive contemporaneamente; ho perso il controllo dei noccioli, stavano per soffocarmi, sono riuscito a sputarli, ma mi sono morsicato.»

«Sei vivo per miracolo! Le mie congratulazioni. Questo ragazzo riesce abilmente a far convivere le aspirazioni della madre, che desidera farne un medico, con le sue che sono di fare il meccanico. Mia cara Antonella, si prospetta una soluzione soddisfacente per tutti: tuo figlio sarà un medico, specialista in infortuni!

Adesso però mangia con bel garbo, stai diritto, e vedrai che cosí cresci e farai quello che vuoi.»

I quattro nipoti durante la cena passavano sotto la giurisdizione della nonna, le loro due madri dovevano assumere le correzioni affettuose ma precise della nonna come altrettanti suggerimenti per perfezionare l'educazione dei loro figli. Non v'era dubbio che la signora era ben più tollerante con le ragazzine.

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