CAPITOLO V Anna Albanese racconta: un questore

«Quando ci siamo sposati non era molto ch'eravamo giunti qui. I primi anni di matrimonio sono stati difficili senza dubbio, ma alla fine mio marito è riuscito a inserirsi, a distinguersi professionalmente e cosí abbiamo cominciato a fare nuove conoscenze, a essere cercati.

Una sera a cena da un cliente di mio marito conoscemmo il questore e sua moglie, una coppia classica del luogo: integerrimi.

Lei era bella, ma questo non veniva subito in mente guardandola. Gli occhi bassi, i movimenti schivi, un gestire composto, sembrava voler dire continuamente: "non mi metto in mostra e mi vesto sobriamente." Aveva decine di abiti costosi sempre blu o beige, tutti cosí simili che si sarebbe detto che non si cambiava mai. Blu o beige che fosse sembrava un effetto di chiaro-scuro della luce piuttosto che una sua volontaria civetteria. Bastava però conoscerla un poco di più per capire che il suo aspetto modesto era una specie di trincea dalla quale sparava sul resto del mondo con una inesauribile volontà di distruggere. Qualunque colore era "chiassoso", qualunque ornamento "vistoso" o "superfluo", ogni gesto non del tutto contenuto era "grossolano". Poche persone si salvavano ai suoi occhi, occhi grigi. Quasi nessuna donna sfuggiva alla sua "moralità". La signora dispensava giudizi con sguardi, pochissime parole e un sapiente dosaggio d'inviti e di esclusioni.

Dio li fa e poi li accoppia: suo marito era identico a lei, per quanto di ottima famiglia e al sommo della carriera, non sembrava che il potere gli desse alcun piacere, non aveva un tono magnanimo e superiore come ci si può attendere da chi è in alto. Aveva invece un modo di fare diffidente e presuntuoso: l'intera umanità gli era in gran sospetto.

Arcigno e imbronciato sempre, non parlava quasi mai, se si decideva a farlo erano solo brevi domande. Il lavoro sembrava l'avesse inventato lui, poteva arrivare in ritardo dovunque senza che ciò destasse il minimo dubbio di villania, tutti sembravano essere sicuri che era stato trattenuto altrove da eccellenti motivi. Lui alimentava questa credenza non giustificandosi mai.» La signora Albanese si interruppe brevemente, per aggiustarsi lo scialle e per assumere un tono ironico e più confidenziale. «Signora – riprese a narrare – lei non deve lasciarsi ingannare dal mio aspetto attuale; le ingiurie che il tempo si è permesso nei miei confronti, le impediscono forse di credermi, ma io sono stata piuttosto carina ai miei tempi, cosí potevo permettermi un certo gusto estroso nel vestire. Mi piaceva molto vestirmi, mi divertiva. Mi piacevano le stoffe luccicanti, i colori intensi. Quando giunsi qui mi resi subito conto che i colori forti non andavano bene. Qui si vedevano solo mezzi-colori, allora puntai sull'unico colore intero accettato: il nero.

Una cosí totale severità mi autorizzava a godere un po' dei colori, in tutto ciò ch'erano particolari, accessori, ornamenti. Avevo un armadio di fiori di seta, da puntare qua e là; scialli, cappelli, sciarpe e guanti. Non ero piaciuta alla moglie del questore, alla signora Ines: alla terza o quarta occasione in cui ci incontrammo, lanciandomi un'occhiata d'insieme mi disse: "Da voi si porta ancora molto il nero?"

Il questore trattava me come tutti gli altri, con la minima cortesia indispensabile per non essere apertamente maleducato. Mai un sorriso, mai un gesto cordiale, sempre piccoli cenni, risparmiava tutte le sue energie per immobilizzare di continuo il suo viso in una smorfia di disprezzo e di cattivo umore. M'incuriosisce sempre in questo tipo di personaggi capire fino a che punto sono scontenti del mondo, se davvero non gliene importa nulla degli altri. Il questore aveva raggiunto un alto grado di permeabilità reale ai sentimenti, tuttavia osservandolo bene mi ero accorta che c'era ancora un guizzo di luce in fondo ai suoi occhi quando guardava alcune signore. Questa scoperta rendeva più comprensibile la malevolenza astiosa della moglie, la signora Ines non sopportava nemmeno questo piccolo insuccesso nel dressage del manto. Mi resi conto che il questore, quando pensava di non essere visto, spingeva la sua audacia fino a osservarmi. Per le relazioni di lavoro che intercorrevano fra mio marito e il questore la signora Ines non si poteva nemmeno permettere di non invitarci. Io mi divertivo a prendere un'aria annoiatissima e silenziosa, respingevo tutti i loro giochi.

"La prego di voler scusare mio marito, è stato trattenuto.

"Sarebbe sorprendente non fosse accaduto!"

Il questore, da buon poliziotto, si domandava perché non lo vezzeggiassi come facevano tutti. E dire che la risposta era molto semplice: non ci riuscivo proprio.

Erano due giorni appena che Tina se n'era tornata a N. e io mi stavo arrovellando su quel che sarebbe successo, quando la signora Ines invita me e mio manto all'opera. Avevano un bel palco e sarebbero stati tanto lieti... Accetto senz'altro, anziché mio marito verrà mia figlia, mio marito è occupato quella sera e mia figlia desidera tanto vedere la Butterfly che, se consentono, approfitterò della loro cortesia."

"Certo, venga con la deliziosa signorinetta."»

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