SECONDO INTERMEZZO

Quel pomeriggio non c'era musica e la signora Albanese e io avevamo avuto una lunga conversazione sul paese e sulle ragioni che l'avevano indotta a sceglierlo fra le numerose belle località intorno a U.; si era parlato anche delle case, di come fossero un po' rozze, ma fresche d'estate e calde d'inverno.

«Quella li accanto no, non è rozza per niente, sembra una casa di città. Ma chi abita in quella casa?»

«Come!? Non gliel'ho detto? La mia consuocera, la madre di mio genero, con il fratello di mio genero e la cognata di mio genero.»

Non me l'aveva detto e la sorpresa che aveva messo nella voce non persuadeva né lei, né me. Non aveva voluto parlarmene e del resto anche quando altre persone le avevano chiesto, aveva assunto un'aria ostentatamente poco informata, quasi volesse far intendere che pettegolezzi lei non ne faceva.

Non avevo fatto domande, volevo salire un po' in camera mia e riposarmi. Ero incuriosita ovviamente dalla reticenza sui vicini-parenti, ma nello stesso tempo ero un po' esasperata dal tipo di vita. La maggior parte del tempo scorreva via in comportamenti sistematicamente ripetuti: vestirsi, svestirsi, cambiarsi, preparare, spreparare, ricevere, congedare. Un limbo mi pareva quella casa a tratti. Eppure ero lí perché non pensavo più, come da ragazza: «le signore non fanno nulla.» Molte e complicate storie s'intrecciavano in quelle monotonie: il tempo lento dell'educazione sentimentale.

Marta, il mattino dopo, mi aveva informato che la nonna Maria era molto riservata e che le due nonne non si amavano anche se erano tanto ben educate e si dicevano «Cara signora qui, cara signora là.» Poi c'era la zia Alda che non era tanto simpatica, ma la nonna Anna non permetteva che nessuno dicesse queste cose, «perché le persone sono come sono e vanno rispettate.»

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