CAPITOLO VI Anna Albanese racconta: ancora un questore

«Mio marito era un vero signore, in tutta la vita non solo non mi aveva mai negato nulla, ma non aveva nemmeno mai posto alcun limite, né chiesto ragione alcuna dei miei acquisti: pagava i conti senza fiatare. Cosí era anche con la sarta: in primavera e in autunno solevo mettere a punto i vestiti vecchi, rinfrescarli un po' e farne dei nuovi, ne avevo sempre ben più del necessario e anche del superfluo. Non dovevo dunque chiedere nulla a mio marito, tuttavia sapevo che teneva enormemente a vederli per primo e in privato.

Quando arrivavano gli scatoloni dalla sartoria M. io preparavo un vero e proprio defilé per lui. Avevamo una grande camera da letto composta di due ambienti. Si entrava nel salotto: un sofà, due poltrone, un armadio degli abiti, un arco. L'arco, grande quasi quanto la parete, si apriva sull'altra stanza dove c'erano soltanto il letto e due comodini, una porta-finestra che dava su una terrazza.

Mio marito si sedeva sul sofà, io appoggiavo i vestiti sul letto, mi cambiavo nascosta nell'angolo dietro l'arco dove c'era uno specchio ad altezza naturale: mi agghindavo di tutto punto, mi truccavo e poi comparivo, presentavo il modello camminando avanti e indietro. Mio marito commentava con grande competenza. Dopo la presentazione del modello, c'era l'interpretazione del modello, come lo avrebbero portato una vera signora, una parvenue, la signora S., famosa ex-cocotte e la signora R., famosa bigotta. Mio marito si divertiva moltissimo e io avevo finalmente l'occasione di esprimere il mio nascosto talento di attrice, cosí tenevamo molto entrambi a questo teatro-defilé semestrale. Mio marito di tanto in tanto chiedeva: "Sono arrivati gli scatoli (cosí diceva) della signora M.?"

Per l'inverno quell'anno c'era, fra l'altro, un vestito da mezza sera nero; avevo detto alla sarta "deve essere di una semplicità monacale, maniche lunghe e strette, secco, però una grande scollatura ampia e profonda decisamente audace" e cosí aveva fatto: sembrava dipinto! Quando lo vide mio marito disse: "Questo ti sta anche troppo bene!" Il giorno dopo arrivò a casa con due grandi peonie di seta rosa della prima modista di T., me le diede e ridendo aggiunse: "Tieni, da mettere nella scollatura del tuo nuovo vestito da sera."

La sera della Butterfly mi misi per l'appunto quell'abito con le peonie, una mantellina di volpe argentata sulle spalle; mia figlia aveva un vestito di seta imprimé mauve con la vita bassa e quattro giri di volants, com'era di moda in quel momento, la lunga treccia nera legata con un nastro.

La signora Ines ci accolse con un grande sorriso, il questore con un cenno del capo. Prendemmo posto nel palco e assistemmo allo spettacolo: un'ottima esecuzione. Quindi andammo a casa del questore, per una breve cena fredda al termine della quale il questore si offri di riaccompagnare a casa me e mia figlia. In tutta la serata non aveva quasi aperto bocca, qualche domanda a mia figlia e basta. Giunti al portone di casa lo salutammo e ci apprestammo a scendere.

"Le accompagno fin sopra, signore!"

"Non è il caso, la prego non s'incomodi."

Scese ugualmente, apri il portone con la chiave che gli porgevo ed entrammo.

"Visto che sale ne approfitto per darle un libro che lei ha dimenticato, mio marito l'ha messo sulla scrivania, ma è ancora sempre là."

Quando fummo entrati mia figlia salutò e se ne andò nella sua stanza, io feci entrare il questore nello studio di mio marito, inaspettatamente chiusi la porta alle nostre spalle e gli dissi: "In realtà io avevo bisogno di parlarle. Ho deciso di informarla di qualche cosa che sta accadendo e di chiedere il suo consiglio e il suo aiuto." Con brevi gesti decisi mi tolsi il cappello e la mantellina, mi sfilai i guanti e li appoggiai sulla scrivania, quasi avessi voluto eliminare ogni frivolezza e dare al mio aspetto la massima sobrietà, mi sfilai anche le peonie dalla scollatura. Mi sedetti su una sedia di fronte a lui, senza invitarlo né a togliersi il cappotto, né ad accomodarsi: lo lasciai in piedi col cappello in mano perché il suo imbarazzo aumentasse.

"Mio marito e io siamo vittime di un ricatto."

"Come mai suo marito non me ne ha parlato?"

"Mio marito non vuole assolutamente parlarle. Pensa di riuscire a liquidare questa persona e non vuole che la vostra amicizia sia turbata da richieste, che potrebbero metterla in difficoltà.

Io le sto parlando a sua insaputa; ho deciso di chiederle un favore a titolo personale e privato, sono sicura che mi capirà." Il questore si avvicinò, si appoggiò alla scrivania, vi depose il cappello, prese una peonia e incominciò a giocherellare e ad annusarla quasi fosse stata vera.

"Mi dica signora di che si tratta."

"Mio figlio a N. si è innamorato di una donna di malaffare e costei ora si fa dare quattrini da mio marito per lasciare in pace mio figlio. E già accaduto varie volte e io credo che continuerà..."

"E suo figlio?"

"Mio figlio è molto preso da questa ragazza, è sordo e cieco e lei è astutissima. Aspetta che lui non ci sia e viene a chiederci quattrini, quando lui torna lo incanta di parole e di moine. Mio marito le ha appena dato una grossa somma e sembra che sia tornata a N. dove viveva. Sono sicura invece che mio figlio la raggiungerà e poi lei si farà di nuovo viva con noi e non so come né quando questa storia finirà. Mio marito non ne parla nemmeno a lei perché teme che mio figlio possa finire di sposarla e cerca di evitare prese di posizione che ci rendano i rapporti impossibili in futuro."

"Lei non è della stessa opinione."

"Infatti, penso che si debba giocare il tutto per il tutto e che mio figlio debba trovarsi di fronte la realtà in tutta la sua durezza, adesso, subito, per evitargli sofferenze maggiori. Deve avere la certezza che questa ragazza è una poco di buono."

"E qui dovrei essere io a fornire le prove a suo figlio."

"No. Non esattamente. Fra breve, quando andrà a N., mio figlio deve vedere con i suoi occhi come stanno le cose. Ma alle prove, agli indizi mio figlio non crederà e lei non troverà nulla di sicuro. Le ho detto, è una donna astuta, intelligente e bella, non si lascia certo sorprendere. Non crederà per esempio che abbia mai apertamente chiesto quattrini; viene qui, parla di una sorella malata, delle difficoltà di curarla, finché mio marito 'offre' spontaneamente. Mio figlio deve trovarsi di fronte a un fatto preciso, un fatto provocato."

"Lei mi sta chiedendo..."

"Le sto chiedendo un grande favore. Non dovrei osare, proprio perché so benissimo che è di più di quello che si può chiedere anche a un amico. Le assicuro tuttavia che la mia riconoscenza non avrebbe limiti."

Il questore esitava, continuava a giocare con la peonia e a osservarmi, il viso seminascosto dai petali. Era lusingato ma nello stesso tempo timoroso di fronte a un tono umile che non si aspettava. Decisi di forzare la situazione e stringere i tempi: mi alzai, feci tre passi concitati, mi voltai, facendo ruotare la gonna, tornai verso di lui e quando gli fui di fronte, guardandolo diritto negli occhi, con tono calmo e sferzante scandii: "So benissimo che mi giudicate male, ma vi posso assicurare che non m'importa nulla della vostra opinione né di quella di chiunque altro di fronte all'infelicità di mio figlio."

L'integerrimo questore posò la peonia, mi prese una mano e baciandola mi chiese: "Ha l'indirizzo e tutti i dati della persona in questione?"

"Certo."

"Me li dia e si ricordi bene: non mi ha mai parlato di questa persona. Io sono salito, ho preso il libro e sono sceso, non c'è mai stata questa conversazione fra me e lei, né per suo marito, né per mia moglie, né per nessuno.

Qualunque cosa lei senta dire della persona in questione deve assolutamente astenersi da commenti di sorta, tutto sarà nuovo per lei. Deve solo farmi sapere con la massima sollecitudine la data esatta in cui suo figlio andrà a N. Non mandi nessuno, non telefoni, non venga lei, mi farò vivo io, lei lo dirà a me direttamente e di persona."

Il mattino seguente giunse mio figlio di ritorno da M. Allegro e festoso aveva portato regali a tutti e aveva ottenuto alcuni lavori importanti di cui sembrava entusiasta.

Mio marito gli diede poche ore poi lo convocò nel suo studio. I padri non hanno pazienza con i figli e nelle storie sentimentali non sanno non essere brutali, si dimenticano di quando erano giovani loro. Fra padre e figlio vi fu una scena tremenda, dapprima udii la voce alterata di mio figlio che gridava: "Non è vero, non è possibile. Non puoi dirlo!" poi la voce severa e posata di mio marito: "Comportati da uomo e stammi ad ascoltare."

Dopo una interminabile mezz'ora, durante la quale toni accesi si mescolavano a toni gravi, uscirono dallo studio, mio marito afferrò il cappello e se ne andò. Mio figlio bianco come uno straccio, gli occhi scavati fino a metà faccia, livido d'ira e di sconforto entrò in salotto dove io ero seduta a lavorare all'uncinetto.

"È inutile che tu te ne stia lí come se non c'entrassi, anche tu mi devi dire cos'è questa storia schifosa; anche tu mi devi spiegare perché vi siete buttati a devastare i miei rapporti con Tina. Chi vi ha autorizzato a farlo, perché vi sono figlio voi pensate di poter abusare della mia vita."

Non alzai gli occhi dal ricamo, non risposi nulla, lui si lasciò cadere sulla poltrona di fronte alla mia, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani.

"Mi dispiace vederti soffrire."

"Finiscila, tu sei felicissima di quel che è successo!"

"Bada che io sono qui per darti tutte le spiegazioni che desideri, ma non sono qui per essere trattata male da te. Nessuna sventura, nessun dolore ti autorizza a mancarmi di rispetto, non ti azzardare né adesso né mai a usare questo tono con me, non te lo consento!

Non sono venuta di là perché tuo padre me l'ha espressamente vietato, mi ha detto che intendeva parlarti da solo. E non sono venuta anche perché non ho la stessa opinione di tuo padre in merito a tutta questa storia e in merito alla giovane."

"Perché l'avete fatta venire qui, senza conoscerla, mentre non c'ero?"

"Nessuno 'l'ha fatta venire': è arrivato il telegramma – noi lo abbiamo aperto ovviamente perché tu non c'eri, ho mandato tuo cugino ad avvertirla, per cortesia, per educazione, io non avevo la minima idea di chi fosse e mi sarei comportata ugualmente con chiunque altro. Le abbiamo detto che se si trovava sola eravamo a sua disposizione, per mandarti quel telegramma doveva pur conoscerti! Lei è venuta quasi subito e mi ha detto che tu eri avvertito del suo arrivo, te lo aveva già scritto e il telegramma era solo una conferma. Le ho risposto che ero desolata e che non sapevo spiegarmi, perché tu te ne fossi andato. Lei allora mi ha detto quel che avevo già intuito, che avevate avuto una relazione e che tu le avevi promesso di sposarla. Il suo racconto è stato breve, schietto e dignitoso. Di fronte alla sua accorata tristezza le ho mentito, le ho detto che tu ci avevi parlato di lei, perché era sconvolta e io non mi sono sentita di dirle che non sapevo della sua esistenza. Aveva l'aspetto di una persona gravemente delusa. Concluse spiegandomi che lei si trovava in una difficile situazione familiare e che purtroppo si era impegnata con i suoi a provvedere alle cure per una sua sorella ammalata, tu avresti dovuto aiutarla e invece...

A questo punto io le ho detto che non doveva preoccuparsi per questo, che era l'unico aspetto in cui potevo almeno in parte riparare i guai combinati dalla irresponsabilità di mio figlio. Perché è questo il punto in cui il mio parere è diverso da quello di tuo padre! Io penso che il maggiore responsabile in questa storia sia tu non lei."

"Ma che cosa dici? Che ne sai? Come puoi giudicare!"

"Sei tu che sei venuto qui a sentire la mia opinione...

Ti sto spiegando come io ho interpretato quel colloquio. Tu e tuo padre capite tutto, sapete tutto, litigate, ma non eravate presenti né l'uno né l'altro."

"Appunto per questo non puoi che essere tu ad aver suggerito a mio padre che lei è venuta qui per 'farsi liquidare', che bisognava portarle i soldi in albergo 'come a una professionista'. Sei tu che glieli hai offerti e poi hai detto che te li ha chiesti. Non te li ha chiesti."

"Infatti non me li ha assolutamente chiesti, mi ha soltanto fatto capire che ne aveva bisogno. Sono convinta che era in buona fede ed è proprio questo, figlio mio, che devi capire. Lei non è della tua condizione, a lei la richiesta pare giusta. Chi è sempre vissuto senza conoscere il bisogno può avere atteggiamenti molto grandiosi. Chi vive nelle difficoltà, in quelle vere, materiali, non può concedersi di perdere nulla, nemmeno la virtù senza cercare di cavarne qualcosa. Lo sdegno e l'orgoglio sono oggetti di lusso.

Non ha torto tuo padre di dire che è venuta a chiederci dei soldi. Anche se non li ha chiesti a tutte lettere li ha certamente sollecitati, ma questo non ne fa ancora una donna da strada come tuo padre pensa.

Lei ha capito che fra voi ci sono troppe differenze: educazione, vita, abitudini troppo diverse. Se ne è resa conto con tristezza certo, ma con il realismo di chi è pressato dal bisogno, non può tradire i suoi familiari, che la immaginavano ormai inserita qui a T. e in grado di aiutarli."

"Sei tu, sei tu che hai insistito per darglieli."

"Non sono comunque io che li ho accettati. Faresti meglio a cercar di capire quello che è avvenuto.

Fra le infinite brutture della guerra c'è stata anche questa: il desiderio di vivere dopo tanta distruzione ha creato l'illusione che finalmente non si dovesse più tener conto delle barriere fra le persone. Si è nutrita l'illusione che le differenze si potessero annullare con un atto di volontà; le differenze invece rimangono e si fanno sentire, dimostrando che la guerra non è servita proprio a nulla, è stata un'orribile beffa. La ragazza, rispetto a te, appartiene a un altro mondo, parla un linguaggio diverso, tu questo non l'hai capito e le hai dato delle speranze che non avresti dovuto davvero darle. Lei ora se ne è resa conto, tu no. L'amore non è soltanto affetto: è già difficile intendersi quando si hanno gli stessi punti di riferimento."

Mentre parlavo mio figlio si era calmato ed era diventato tristissimo: la testa bassa tra le spalle, non mi guardava, era proprio disperato. Con i figli ci si trova talvolta di fronte a dilemmi davvero dolorosi: il loro futuro, la loro felicità o il proprio desiderio materno di non negare loro mai nulla. Fortunatamente avevo ormai da tempo deciso che era una storia troppo pericolosa e che avrei fatto il possibile per stroncarla, non cedetti cosí alla tentazione di consolarlo.

"In ogni modo, sistemerò il lavoro allo studio e poi a andrò a N." concluse alzandosi.

"Affronta questa situazione, non aspettare!"

"Solo il tempo di consegnare i risultati del lavoro, fra quarantott'ore parto."

Il questore era diventato un assiduo della nostra famiglia. Ogni giorno veniva a casa nostra, per lavoro o in visita oppure ci invitava a casa sua. Il primo giorno che si era presentato gli avevo detto che mio figlio sarebbe ritornato non prima di una settimana, ma lui inesorabile arrivava lo stesso; non solo, mi cercava, sicché ero costretta per qualche giorno a uscire: il suo interesse per me rischiava di apparire strano. La signora Ines accogliendoci una sera aveva detto: "Mio marito non può più vivere senza di voi."

Il giorno in cui parlai con mio figlio il questore non era comparso, sapeva che ci saremmo visti all'Opera. Infatti, durante l'intervallo, c'incontrammo.

La signora Ines disse: "Una Traviata memorabile. Il maestro B. è forse il più grande interprete di Verdi attualmente. Domani sera verrà a cena da noi, perché non venite anche voi?"

Mio marito, rivolgendosi a me rispose: "Penso che possiamo accettare, non è vero Anna?"

"Sarebbe certo molto interessante, ma esito un po' di fronte al fatto che Raffaele è appena arrivato e partirà di nuovo fra due giorni, vorrei che stessimo un po' con lui, è piuttosto stanco e molto nervoso."

"Grazie, signora, mia moglie ha ragione... avevo dimenticato, un'altra volta."

"Dove va suo figlio?"

"A N. Parte giovedí mattina."

Mio marito aveva un tono poco aperto e la signora Ines, sebbene lo desiderasse, non ebbe la forza di chiedere che cosa mio figlio ci andasse a fare. Io feci un piccolo gesto di rassegnazione con le braccia, che gettava ulteriori dubbi quanto al fatto che ci volesse o ci dovesse andare.

Il questore taceva, com'era sua abitudine, ma mi osservava di sottecchi e per un attimo incrociò lo sguardo con me, giusto il tempo di segnalarmi che aveva ricevuto il messaggio. Stando a quel che mi aveva detto ritenevo che le comunicazioni fra noi fossero cosí concluse.

Invece, alla fine dello spettacolo, mentre stavamo uscendo – mio marito e la signora Ines si erano avviati al guardaroba, il questore e io li seguivamo di pochi passi – tutto a un tratto mi sentii afferrare per un braccio. Il questore, sfiorandomi l'orecchio, mi sussurrò con voce emozionata: "L'aspetto domani alle cinque da Barissa venga La prego, devo parlarle." Mi voltai, lo guardai dritto negli occhi e gli risposi: "Ma tutte le informazioni che avevo gliel'ho già date!" Lui alzò la testa e si mise a salutare qualcuno nella folla, sicché mi rese impossibile fargli delle domande. Ero sconcertata, il tono della richiesta era senza dubbio galante. D'altro canto Barissa era una grande drogheria del centro, una rivendita di coloniali dove si trovavano spezie, cacao, liquori, insomma uno strano posto per un appuntamento segreto con una signora.

Non sapevo come interpretare la cosa. Certo fosse stato un luogo meno pubblico gli avrei detto di no; forse proprio perché non potessi dirgli di no aveva scelto quel negozio. L'integerrimo questore – pensai – si era affezionato all'atmosfera di complicità fra me e lui che s'era stabilita negli incontri quasi quotidiani dei giorni passati Ormai aveva avuto la notizia che giustificava tanta assiduità e cercava di protrarre una situazione che stava per concludersi e della quale si compiaceva. Temevo, francamente, che fosse un appuntamento interlocutorio che prevedesse un nuovo e meno innocente appuntamento.

Fare favori a una signora è di per sé un piacere – mi dicevo – si esaurisce tutto nell'esagerazione: deferenza sproporzionata, inchini o baciamani, qualche sguardo allusivo! Basta!

Già ma come poteva l'integerrimo questore, cavarsela cosí? Impalato, nella sua perfetta educazione, come poteva chinare la schiena in un'ampia riverenza o atteggiare i muscoli del volto, paralizzati ormai da anni di severità in un ammirante sorriso? Ahimè, non poteva che procedere con avances affrettate, necessariamente grossolane destinate a naufragare nel rifiuto per cui il questore sembrava invece adattissimo, incapace com'era di godersi la vita.

Non potevo e non volevo escludere che avesse qualcosa da dirmi; ero un po' seccata, ma dovevo andare all'appuntamento. Rientrammo dal teatro e quella sera mi coricai un po' impensierita e molto curiosa di vedere che cosa sarebbe successo il giorno dopo.

Il mattino seguente, erano le otto e stavamo prendendo il caffè in camera da letto. Mio figlio era già uscito, ci salutava frettolosamente: "Non rientro né per pranzo, né per cena, arrivederci!" e lo sentivo tornare a notte inoltrata. Mia figlia era in salotto, preparava un esame per il Conservatorio. Suonano alla porta, dopo qualche minuto la cameriera bussa: "C'è il dottor Gallo, vuole parlare con lei, avvocato!"

Mio marito raggiunge il dottor Gallo in anticamera, io mi affaccio per sentire cosa dicono: il dottor Gallo parla sottovoce, non riesco a capire, mio marito invece esclama atterrito: "Mio Dio, com'è possibile? È sicuro? Ma voi l'avete visto?"

"Sí, certo, c'era anche il medico, non ci sono purtroppo dubbi. Io ritorno là."

"Vengo con voi, un attimo, accomodatevi, lo dico a mia moglie."

Mio marito mi raggiunse, entrò nella stanza e mi disse:

"È successa una cosa terribile, quasi non riesco a crederci: questa mattina all'alba il questore è morto."

"Morto!? morto?"

"Sí si è alzato alle cinque, doveva andare fuori T., si è vestito e verso le sei stava per uscire, a un tratto si è portato le mani alla testa ed è stramazzato a terra. Era già..., il medico è accorso, ma era ormai inutile."

"Cos'è stato?"

"Non sanno, un'emorragia cerebrale forse, vado da loro. Tu non venire, la signora Ines si è sentita male e l'hanno portata da sua sorella, non deve vedere nessuno ha detto il medico. Vado."

Rimasi impietrita, senza fiato, colpita: era una di quelle morti che danno il senso di tutta la nostra pochezza. Mi resi conto che la notizia mi aveva attanagliata con la sua violenza, ma non mi aveva affatto sorpresa: il questore era nato con sul volto impressa l'intenzione di morire. Tutto a un tratto quest'uomo mi risultò più comprensibile e forse più significativo di quello che avevo pensato: era segnato in ogni sua scelta da una sorta di consapevolezza senza dolore della morte, non più temuta o attesa con ansia, ma compagna costante di ogni giorno della vita. Appresi che aveva appena cinquantacinque anni. Certo anche per me era una morte nefasta. Vi furono solenni esequie, con la signora Ines in gramaglie, tutte le autorità e le persone che contavano.»

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