CAPITOLO VII Anna Albanese racconta: il matrimonio di Raffaele Albanese

«Proprio la mattina del funerale del questore mio figlio partiva per N.; doveva stare poche ore, invece vi rimase quasi tre settimane. Furono giorni lunghissimi. Immaginavo che la ragazza si stesse di nuovo impadronendo della situazione. Il questore non doveva aver avuto il tempo di intervenire.

Finalmente una domenica verso mezzogiorno Raffaele giunse di ritorno ed era con lui nostro cugino. Erano molti anni che non vedevamo questo cugino e fu da tutti accolto con gioia e gran festa e l'attenzione era tutta concentrata su di lui.

Mio figlio era gelido, sia con me, sia con mio marito, non fece il minimo commento, non accennò a lei in alcun modo, disse che di lí a pochi giorni sarebbe di nuovo partito, sarebbe tornato a M. per portare a termine il lavoro iniziato, ci sarebbe rimasto almeno quindici giorni.

Mi ero convinta che il viaggio a M. era una fuga per sposarsi con lei lontano da noi: l'inizio di una rottura, di cui non riuscivo a valutare la gravità. Mi meravigliava tuttavia che non protestasse almeno con me le virtù della ragazza. Quale versione aveva dato del nostro incontro? Lui doveva aver accettato le sue spiegazioni, ma quali? Forse Tina aveva rinunciato alle spiegazioni e aveva usato argomenti ben più forti. Dopo alcuni giorni dal suo arrivo, spentosi un po' il clamore dei festeggiamenti, nostro cugino ci chiese di parlarci, aveva da dirci alcune cose importanti, a me e a mio marito, in privato. Giunse da noi al mattino verso le dieci, ci chiudemmo tutti e tre in salotto.

"Penso sia opportuno informarvi di una storia occorsa a Raffaele, credo che voi possiate aiutarlo. Mi ha detto che voi siete al corrente della sua relazione con Tina S.

Adesso quando Raffaele è arrivato a N. non si è fatto vivo con noi – cominciò a raccontare il cugino – voleva incontrare Tina prima di noi, voleva vederla e parlarle senza che noi ne fossimo informati.

Andò a cercarla all'atelier, l'aspettò all'uscita; non vedendola salí e chiese di lei: 'Oggi non è venuta e non sappiamo perché' fu la risposta.

Raffaele si rassegnò a cercarla a casa sua: anche questo avrebbe voluto evitare, ma vi fu obbligato.

Trovò la madre di lei sconvolta e reticente: 'Tina se n'è dovuta andare, non so quando tornerà.' Raffaele aveva insistito e alla fine l'anziana donna, scoppiando in pianto, gli aveva detto: 'Questa mattina è venuta la polizia e l'hanno arrestata.'

'Arrestata!? Per qual motivo?'

'Hanno detto che si trattava di una cosa da nulla, formalità, invece l'hanno trattenuta' e lei era disperata e non aveva i soldi per l'avvocato e non sapeva che fare.

Raffaele sconvolto si è precipitato in Questura e ha cercato di saperne di più, ma non era né parente né avvocato, sicché non gli è stato detto nulla. A questo punto non aveva altro scampo che farsi vivo con noi. È arrivato a casa e ci ha detto che c'erano stati dei dissapori con Tina e che lui era arrivato a N. per chiarire le cose con lei. Avrebbe voluto farsi vivo con noi solo dopo aver parlato con lei, ma era accaduto un fatto tremendo, che non riusciva a spiegarsi: Tina era stata arrestata e non si sapeva per quale motivo e lui aveva assolutamente bisogno di un avvocato bravo e introdotto e solo noi potevamo aiutarlo.

Lo accompagnai subito dall'avvocato L., il quale immediatamente si occupò del fatto. Tina era stata arrestata per ricatto ai danni di un ricco signore. Un giorno il ricco signore aveva accompagnato la moglie dalla sarta, aveva voluto vedere diversi modelli per poterglieli regalare: Tina era la mannequin che li indossava.

Invaghitosi della ragazza il ricco signore la cercò e fece ogni possibile pazzia per averla e vi riuscì. La ragazza, avidissima, prese a ricattarlo. Voleva regali sempre più esorbitanti, minacciava altrimenti di dire tutto alla gelosissima e altera moglie di lui. Il ricco signore era anche molto potente, aveva amici a Roma e nel Nord, sicché la sua denuncia era stata presa nella massima considerazione. Non era affatto facile farla uscire disse il commissario – la ragazza era stata davvero troppo audace ad attaccare un personaggio cosí in vista e nemmeno l'avv. L. riuscí a sapere il nome del misterioso signore.

Raffaele era fuori di sé, sembrava ritornato alla cupa tristezza di quando era appena rimpatriato. Era assai difficile anche solo rivolgergli la parola. Fu mia moglie che trovò il coraggio di dirgli che non doveva abbattersi: la ragazza era vittima dell'ambiente, della mancanza di educazione e della miseria, il bisogno fa l'uomo ladro e la donna sgualdrina.

Raffaele voleva assolutamente far uscire la ragazza, quali che fossero le sue responsabilità e voleva a ogni prezzo sapere chi fosse il misterioso signore. La caparbietà e la tristezza di Raffaele testimoniavano della sua profonda sofferenza. Esortai l'avvocato L., che peraltro sapevo essere persona abilissima, a fare il possibile per venire in chiaro della storia. Dopo insistenze lecite e illecite l'avvocato L. si convinse che il commissario non conosceva il nome del ricco signore, era semplicemente giunto l'ordine 'da persona in alto' di arrestare la ragazza. Quanto alle prove, il ricco signore le aveva mostrate alla 'persona in alto'. Se la ragazza avesse dichiarato di sapere chi l'aveva fatta arrestare con ciò stesso avrebbe in qualche modo ammesso la sua colpevolezza. Il ricco signore era riuscito a capovolgere la situazione: ora conveniva alla ragazza che non si facesse il suo nome.

L'avvocato L. comprese per altro che al ricco signore non conveniva infierire; riuscì quindi a modificare il capo di accusa e con il pagamento di una cauzione e di una multa la ragazza uscì.

Da questo punto in poi non abbiamo più saputo nulla di lei. Per dieci giorni non vedemmo Raffaele, sapevamo ch'era in città perché aveva telefonato a mia moglie per dirle che prima di partire si sarebbe fatto vivo con noi.

L'avvocato ci disse che la ragazza ovviamente negava, diceva di non sapere chi potesse essere quest'uomo che l'aveva denunciata e che nell'atelier c'erano un sacco di signore, spesso accompagnate dai mariti e lei non poteva immaginare chi avesse costruito tutta questa messa in scena e a quale scopo. Quanto al fatto che nella sua borsa ci fosse una grossa somma, con delle banconote contrassegnate del ricattato, la ragazza addirittura negava che questo particolare fosse vero. Non aveva una lira, se fosse stata piena di soldi non si sarebbe trovata in galera.

Nei dieci giorni che seguirono la scarcerazione, come vi dicevo, non avemmo più notizie né di Tina né di Raffaele.

Finalmente una sera verso le sei è arrivato Raffaele: è entrato, ha salutato tutti con la consueta affettuosità, ma era chiaro che non intendeva dare spiegazioni di sorta, aveva il cuore pesante.

Era tempo che volevo venire al Nord e cosí ho avuto la sensazione che fosse un buon momento. Raffaele aveva bisogno di un aiuto per tornare indietro, cosí dissi: 'Domani io vado a T.' 'Allora partiamo insieme' rispose. E cosí eccoci qua."

Mio figlio – concluse la signora Albanese – passò un gran brutto periodo, quella donna gli era entrata nel sangue. Stentava a riprendersi.

Incominciammo a invitare un amico di mio marito, vedovo con due figlie; alla fine mio figlio ne sposò una, Antonella, che lei ha conosciuto. Un'ottima ragazza, tuttavia come si sarà resa conto – senza grande verve. Insomma, per un uomo tanto dolorosamente provato, fu una soluzione equilibrata.»

Alla fine di questo racconto mi sentivo travolta dalla situazione, mi sentivo sopraffatta dalla signora Albanese. Che cosa mai ne avrei cavato?

Tremenda la storia del figlio! Il suo modo di raccontare, quel che diceva, come trattava gli altri, corrispondevano a una persona che avrei dovuto profondamente detestare. Tutto il suo modo d'essere avrebbe dovuto offendermi e urtarmi. Invece ero come tormentata da una crescente simpatia nei suoi confronti. Mi piaceva la sua sfrontatezza, mi piaceva la sfrontatezza che aveva comunicato a Marta. Mi piaceva il suo modo di raccontare, ma devo proprio dire anche di peggio: sentivo il fascino della sua ferrea volontà di arrivare dove voleva. Quel che voleva non era convincente, ma il modo di volerlo mi aveva conquistato; me ne vergognassi o no era cosí.

Mi aveva anche colpito la diversità abissale di importanza fra il racconto delle vicende del figlio e la brevissima narrazione della nascita e del matrimonio della figlia. Glielo avevo detto e lei mi aveva risposto che il matrimonio del figlio era stato un gran problema per lei, uno dei momenti più difficili della sua vita, mentre con la figlia... era tutto più semplice. Io invece avevo l'impressione che quella madre non fosse semplice affatto.

La simpatia imbarazzata che io avevo per lei era del resto ricambiata dalla signora Albanese e questo aumentava ancora la mia confusione sentimentale. Mi faceva molte domande intelligenti e acute sul mio lavoro e lo trattava con grande rispetto; dopo il primo momento non aveva più fatto allusioni ai contrasti che lei vedeva fra famiglia e lavoro.

Quando aveva concluso il suo racconto, io avevo ancora da fare all'archivio e alla biblioteca e poi lei aveva insistito perché mi trattenessi, ero rimasta. Senza che io l'avessi previsto, in quei pomeriggi estivi si era creata fra me e lei e anche fra me e la signora Emma e gli altri ospiti, una consuetudine di conversazione, che senza più alcun disegno preciso andava avanti da sé.

Un giorno, inaspettatamente per me, la signora Albanese aveva cominciato a parlare della signora Rinaldi, sua consuocera e proprietaria della villa accanto.

Non l'avevo chiesto io, avevo imparato infatti a non fare domande alla signora Anna se non con estrema cautela. Un paio di volte avevo tentato di farmi raccontare qualcosa in più di suo padre. Il suo viso si era immobilizzato, lo sguardo era diventato inespressivo ed era scivolato lontano, sopra la mia spalla, in attesa che io distogliessi l'attenzione da argomenti che non mi riguardavano; quel che mi aveva detto poi era del tutto insignificante. Anche i Rinaldi mi erano parsi un soggetto di conversazione impraticabile. Mi sbagliavo, almeno in parte.

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