CAPITOLO VIII Anna Albanese racconta: Maria Rinaldi

«La signora Rinaldi si era sposata a venticinque anni con l'ingegner Rinaldi, di dodici anni più vecchio di lei. Era stata scelta dalla madre di lui, si dice, e il padre di lei aveva accondisceso visto che quella dell'ingegner Rinaldi era una famiglia più che per bene, gente a mezzi e molto educati.

Non bisogna mai fidarsi delle apparenze: l'ingegner Rinaldi guadagnava moltissimo ed era stimato come professionista, ma come marito era un vero disastro. Cominciò a tradirla subito, in viaggio di nozze, con una cameriera dell'albergo in cui erano scesi.

Lei era una donna timida, riservata, lui un consumato libertino; lei non poteva certo capire il marito, è stata profondamente infelice per tutta la vita. Lui non aveva ritegno, portava le amanti in villeggiatura e tutto il paese lo sapeva, faceva ben poco per nasconderle, chiunque poteva incontrarlo, elegante e curato, sempre con il panama e il bastone da montagna, faceva passeggiate lungo il fiume o nelle vicinanze del paese in compagnia di ragazze vistose e carine. Anch'io più di una volta l'ho incontrato. Cambiava spesso, una però era durata parecchi anni e lui fingeva che fosse una segretaria del suo ufficio, cosí la riceveva anche a casa: facendo le viste di dover lavorare, si chiudevano nello studio e non uscivano mai. Una volta io ero in visita alla signora quando è arrivato lui con la "segretaria": lo studio confinava con il salotto, si sentivano gridolini e risate. La signora Rinaldi non batteva ciglio, fui io a dire "Usciamo in giardino." Lei mi rispose stizzita: "Se non mi preoccupo io, perché si preoccupa lei. Fuori fa freddo e del resto non c'è più nulla che io non sappia."

Lui era invecchiato, si era ammalato, ma non aveva mai smesso di avere segretarie-amanti; più invecchiava e meno usciva e più le portava in casa con delle scuse sempre più lievi. Gli ultimi anni si era fermato questo squallido pellegrinaggio: era costretto a letto, pieno di esigenze e collerico. La moglie, nonostante tutto, lo aveva curato con grande serenità d'animo.

Certo la signora Maria era diventata piuttosto difficile, per un verso taciturna, ombrosa e facile alle lacrime, a tratti invece improvvisamente aspra e sferzante. Sebbene l'ingegnere guadagnasse tantissimo, non era certo generoso in famiglia: le amanti dovevano costargli parecchio e lei era orgogliosissima, non gli chiedeva mai nulla. Quando si era sposata aveva un corredo magnifico, era andata avanti con quei vestiti fino all'ultimo lembo di stoffa. Dopo la nascita dei figli le erano diventati stretti, li aveva aggiustati lei stessa e poi li aveva adattati e modificati sicché con l'andare del tempo avevano assunto un aspetto sempre più approssimativo e alla fine era approdata a una dignitosa sciatteria. Finiti gli abiti del corredo, si comprava un vestito alla volta e lo portava finché era lucido, liso e deformato.

Nemmeno dopo la morte del marito, sopravvenuta quando lei aveva sessant'anni, quando le possibilità economiche della signora Maria erano improvvisamente diventate enormi, il suo abbigliamento era migliorato. Una volta che cercavo di farle comprare un cappello nuovo perché ne aveva uno brutto, mi aveva detto: "I cappelli sono tutti uguali, l'importante è che ti coprano la testa e il mio la copre ancora benissimo."

Adora i suoi figli, stravede per loro, specie per il più giovane. Se aveva sopportato il marito era stato per loro, dopo tutto era un padre che godeva di un'ottima posizione e che, sul piano del lavoro, poteva dare molto ai suoi figli. Devo dire che è riuscita nel suo intento: oggi il primogenito ha una posizione invidiabile, il secondo anche ha un'ottima posizione; sia le loro famiglie che la loro madre sono in condizioni di largo benessere.

Fino a due anni fa la signora Maria usciva ogni mattina per andare a messa, poi, si è chiusa ancora di più e ora non esce mai, riceve pochissimo, quasi esclusivamente il medico che la segue.

La morte del marito, malgrado tutto, è stata un duro colpo per lei, ma i dolori, anche grandissimi, dopo una certa età, a una fase ormai declinante della coscienza, non sono più in grado di scuotere l'animo, subentra un fatalismo molto vicino all'indifferenza. »

«Mi meraviglia che sia lei a dir questo. Nemmeno lei è giovane, se mi permette, eppure, da come racconta, mi sembra che la sua sensibilità non sia affatto scemata.»

«In primo luogo sono più giovane della signora Maria e non credo che diventerò mai tanto vecchia, non bisogna esagerare nemmeno in questo. Poi dipende dal punto di partenza. La sensibilità della signora Maria non doveva essere molta nemmeno quando era giovane se tollerava il comportamento del marito. Io non sono mai stata cosí remissiva né cosí disposta alla rinuncia. Nemmeno per i miei figli io avrei saputo sopportare quello che ha sopportato la signora Maria. La signora Maria per quei due figli ha rinunciato a tutto, sono poche le madri che arrivano a tanto. La rinuncia educa il corpo a non esistere e viene un momento in cui l'anima si trova senza mezzo per comunicare con l'esterno.

Io ho rinunciato soltanto a ciò che non sono riuscita a ottenere. Non ho mai perso nulla senza rabbia né senza essermi accanitamente battuta, io non sono generosa.

Ho avuto tanto dalla vita che sarebbe irragionevole volere di più. Adesso per me è venuto il momento, se cosí posso dire e se ho capito quel che lei mi ha spiegato, di imitare un po' il suo mestiere, è venuto il tempo di guardare con affetto la vita degli altri, dei miei figli e dei miei nipoti, dei miei amici più giovani. Che cosa può vedere e che cosa può capire la signora Maria? Quando io morirò, perderò molte cose, la signora Maria le ha già perse tutte in vita, è per questo che vivrà ancora molto: non ha più nulla a cui rinunciare, praticamente non può morire.

Mia figlia non la ama, è difficile che una nuora ami la suocera. Mia figlia però ha torto nel giudicarla, non la capisce. La signora Maria è più degna di ammirazione e di rispetto che di amore e mia figlia, malgrado le sue prevenzioni, la rispetta.»

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