CAPITOLO X Angela racconta: Maria Rinaldi

«Sono andata a servizio dalla famiglia Y. che ero una ragazzina. Mia madre era maestra e avrebbe voluto farmi studiare, ma io ero nata prima che lei compisse vent'anni, e quando si era presentato un piccolo possidente molto più vecchio di lei, l'aveva sposato e aveva rinunciato alle sue e alle mie aspirazioni d'istruzione. Il mio patrigno era una brava persona, mi voleva bene e mia madre non mi avrebbe mandato a servizio se non si fosse trattato dei signori Y., persone colte, conoscenti di vecchia data dei miei nonni; mandarmi da loro era quasi un modo per darmi ancora qualche possibilità.

La signorina Maria aveva cinque o sei anni più di me. Era proprio graziosa, molto brava nello studio, suonava il pianoforte, parlava il francese e l'inglese e ricamava; io l'ammiravo moltissimo. Però era un po' troppo seria, stava delle ore in chiesa a suonare l'organo, quando aveva un pianoforte tanto bello e grande a casa sua.

Dopo aver conosciuto il suo futuro marito, l'ingegnere, era diventata un po' più allegra, suonava in casa e l'ingegnere veniva a sentirla. L'ingegnere era un tipo focoso, molto innamorato, le faceva regali, arrivava con grandi mazzi di fiori e lei era raggiante. Poi l'ingegnere se n'è andato per un periodo, un lavoro lontano, non so, in India forse. Quando è tornato si sono sposati, sono andati in viaggio di nozze in Francia. Sono rientrati dopo un mese e la signora Maria si è presentata in casa di sua madre, il giorno seguente il suo arrivo, al mattino presto. Un fiume di lacrime, non voleva più vivere con il marito perché era violento e disgustoso. La prima notte di nozze era stata tragica e cosí tutte le notti seguenti: lei non voleva avere figli se quello era il prezzo da pagare e non voleva nemmeno un marito che le imponeva una vita non fatta per lei. Lui, lui poi! Era tutto diverso da come lo aveva creduto: ma che fiori e belle maniere, era tutta una finzione; invece era un uomo corrotto e lascivo. Lei era infelice e triste, ma lui continuava a tormentarla, pretendeva che tutte le giovani spose non amano queste cose, ma che insistendo poi, trovano il loro piacere. Piacere aveva detto, proprio piacere, come se lei fosse una prostituta. Quando erano fidanzati lui le aveva detto che l'avrebbe sempre rispettata e ora, dopo che lei aveva consentito a sposarlo, ora lui si permetteva non solo di mancarle di ogni riguardo, ma addirittura pretendeva che lei in fondo l'aveva sposato per questo. Perché lei, che se ne stava tanto bene a casa sua, era stata spinta da tutti a sposarsi? Perché il marito era un amico di famiglia, piaceva a loro e cosí tutti a lodarlo, a incensarlo, a dire: "Ecco quello che ci vuole per te." Senza che lei ci potesse pensare, si era trovata in mezzo a incontri tra le famiglie, pranzi di fidanzamento, regali di nozze. E lui?! Lui stava al gioco, sempre compitissimo, educatissimo, rispettosissimo per poter far meglio i suoi comodi poi. Si, si, perché era proprio un individuo volgare.

Mano a mano che parlava, gridava sempre più forte; la signora, la madre, cercava di interromperla, di calmarla, ma lei si arrabbiava ancora di più e gridava fino a farsi gonfiare la gola. Lei voleva tornare a casa, nella casa del marito non ci metteva più piede.

Alla fine si era fermata e mentre singhiozzava esausta, la signora aveva cominciato a dirle che le giovani spose incontrano sempre delle difficoltà. Suo marito le chiedeva quello che tutti i mariti chiedono alle mogli e che hanno il diritto di avere e che lei come tutte si sarebbe adattata, anzi avrebbe poco a poco imparato anche lei a desiderare il marito. Ma soprattutto sarebbero venuti i bambini e tutto sarebbe andato a posto.

Al che la signora Maria si era messa a singhiozzare con assoluta disperazione. La madre aveva preso nell'armadio dei medicinali delle gocce di sonnifero, le aveva sciolte in un bicchiere d'acqua e gliele aveva date: "Tieni, bevi qui ti farà bene, andiamo nella tua camera, mettiti a dormire, vedrai che quando ti svegli ti sentirai meglio e ti sarà passato." La signora Maria si era lasciata svestire e mettere a letto come una bambina sfinita e subito si era addormentata profondamente.

La madre era andata nello studio del signor avvocato e gli aveva telefonato, pregandolo di venire a casa al più presto e gli aveva raccontato l'accaduto.

L'avvocato era tanto una brava persona, voleva molto bene a sua figlia Maria, forse la preferiva anche un po' agli altri figli, ma l'avvocato, qualunque cosa accadesse, lui se la prendeva con i preti. "Ecco le conseguenze di far le scuole delle suore! Chissà cosa le hanno messo in testa, ma se credono di spillarmi un soldo che è un soldo quelle sanguisughe!" Monaca sua figlia, certo faceva gola, avrebbe portato un buon gruzzolo e poi magari anche una buona eredità, ecco che cosa andavano cercando! Era fin troppo chiaro che loro ci avevano provato; se uno una ragazza gliela mette in mano. Non ci sono riuscite, ma la testa, la testa gliel'hanno guastata. Lui non era riuscito a imporsi, perché una ragazza, se ne occupa la madre, ma quante volte aveva detto e ripetuto che avrebbe preferito evitare le monache?

La moglie gli disse che, come al solito, esagerava; non era successo nulla di drammatico, aveva forse dimenticato i primi tempi del loro matrimonio? Piuttosto bisognava avvertire Giulio che Maria era da loro. Bisognava che lui gli parlasse e cercasse di capire se non era per caso un po' rozzo e gli dicesse che Maria era molto sensibile.

"Non ci penso nemmeno, credi forse che io abbia chiesto soltanto informazioni bancarie di lui? Io non sono mica uno dei tuoi reverendi, so benissimo che Giulio ha avuto diverse amanti, signore e no e so che è un uomo normalissimo, di cui nessuna ha trovato 'a ridire.» Altro che parlargli, bisognava cercarlo per dirgli di venire per cena, come se niente fosse e si doveva dire a quell'ochetta di smettere di fare capricci.

"Alle ragazze non bisogna mettere idee storte in testa, ma una volta che le hanno non bisogna certo coltivargliele, andando dietro a lamentele che devono solo finire."

La signora Maria intanto dormiva. Doveva essere davvero fuori si sé per dormire in quel modo: sembrava che non avesse dormito per giorni e giorni.

Dopo pranzo il signor avvocato decide di andare lui stesso a svegliarla e a parlarle senza drammi. Mi dice di preparare una tazza di brodo. Entra nella stanza con la signora Elvira, si dirige alla finestra, la signora Elvira rimane ai piedi del letto, appoggiata alla spalliera, l'avvocato alza la tenda e suona il campanello, io entro con tazza e vassoio, proprio mentre la luce fa aprire gli occhi alla signora Maria.

"Allora, come andiamo?" La signora Maria adorava suo padre: quando lo vede seduto sul letto accanto a lei gli butta le braccia al collo; ma lui, prima che lei potesse dire una sola parola, la allontana bruscamente e le dice: "Tua madre mi ha detto di questa mattina. Sei tornata molto stanca dal viaggio in Francia, adesso ti sei riposata. Ti alzi, ti rinfreschi un po', bevi quello che Angela ti ha preparato e smetti di pensare a sciocchezze."

La signora Maria l'aveva guardato sbigottita, i suoi occhi erano corsi alla madre, che dal fondo del letto le sorrideva, come per dire: "Hai visto? Non è nulla."

"Va bene" aveva risposto al padre, quasi senza voce e abbassando la testa. "Rimani con tua madre oggi pomeriggio, l'aiuti a preparare la cena. Ho telefonato io stesso a tuo marito per dirgli di raggiungerci per cena, poi tornerete a casa vostra." Su queste parole, l'avvocato era uscito dalla stanza.

Circa un mese dopo la signora Maria scopre di essere incinta. La gravidanza si rivela subito difficile, ogni mattina vomitava per ore, non riusciva a mangiare, qualsiasi cosa le rivoltava lo stomaco, qualsiasi odore le faceva venire la nausea. A forza di vomitare e di non mangiare quasi nulla, le veniva mal di testa e doveva chiudersi al buio, perché non sopportava la luce. Verso le quattro o le cinque del pomeriggio si sentiva finalmente un po' meglio e veniva a trovare sua madre. Ogni giorno le preparavo dei biscotti conditi con poco burro; erano praticamente la sola cosa che riusciva a digerire, con una tazza di tè.

I primi tre mesi sono stati disastrosi, era pelle e ossa, con gli occhi sempre pesti. Un giorno arriva da noi e sua madre non era ancora rientrata. «Come va signora Maria?"

"Va malissimo Angela, mi sento sempre peggio."

"Mia madre ha avuto otto figli e quando aveva la nausea, io, che sono la maggiore, avevo imparato a farle un massaggio, che le faceva subito passare il malessere. Vuole che proviamo?" Cosí si stende sul letto e io, piano piano, comincio a massaggiarle la schiena.

Aveva paura, tanta paura, perché lei sarebbe morta, lo sapeva, lei non poteva che morire di parto, perché al parto non poteva nemmeno pensare. L'addolorava morire per il bambino che non avrebbe mai visto e per un marito che piaceva solo ai suoi genitori.

Non sarebbe morta affatto, le dissi, e non era vero che suo marito piaceva soltanto ai suoi genitori: non si ricordava di quando lei si cambiava d'abito, si pettinava, si profumava e si truccava perché l'ingegner Giulio stava per arrivare? Doveva pensare che siamo nati tutti nello stesso modo e se partorire fosse cosí atroce non saremmo al mondo tanti come siamo.

Il massaggio aveva fatto bene alla signora Maria e cosí voleva sempre che glielo facessi, diceva che il massaggio calmava i crampi dello stomaco e riusciva a mangiare un po' di più.

La signora Elvira vedendo la figlia un po' più colorita e un po' più allegra decise che se la mia compagnia le giovava dovevo andare a servizio da lei e la cameriera della signora Maria sarebbe venuta al posto mio.

La casa della signora Maria era molto grande, su un viale, con grandi finestre, luminosa.

Man mano che la gravidanza procedeva, la signora Maria usciva sempre meno. La mattina stava male, a pranzo non si sedeva a tavola, stava in salotto al buio. L'ingegnere pranzava solo nella grande camera da pranzo, poi usciva e non tornava che a cena. Verso le otto o anche più tardi, quando l'ingegnere rientrava, le portava dei dolci comprati nei suoi giri di lavoro. "Come va oggi?" Lei rispondeva scuotendo la testa.

L'ingegnere, lui cenava di buon appetito. Mentre la signora allontanava il piatto con fastidio. "Sono stanca, devo andare a dormire." Lui cercava di trattenerla: "Chiacchieriamo un po', ti farà bene." "Non mi sento." Tentava anche di farle dei complimenti: "Avrai una bambina, perché sei diventata molto bella." E lei alzava le spalle. Scoraggiava ogni tentativo di lui di entrare nella camera da letto, di tanto in tanto la sentivo chiudere la porta a chiave.

Era stato cosí per lunghi nove mesi, e poiché di notte negli ultimi mesi si sentiva soffocare e dormiva seduta, appoggiata a una montagna di cuscini, mi aveva fatto preparare la stanza e il bagno degli ospiti per l'ingegnere.

L'ingegnere era uomo di grandi successi, era veramente affascinante ed era cosí sicuro di sé, che non sembrava troppo preoccupato per la moglie. Semplicemente aspettava che prima o poi lei cambiasse atteggiamento. Del resto, povera donna, la gravidanza la sfiniva e il pensiero del parto la terrorizzava, sicché l'ingegnere continuava a essere affettuoso e comprensivo con lei.

In aprile è nato Emilio. Il parto era andato bene anche se era stato lunghissimo. Il periodo seguente, tutto il tempo dell'allattamento, è stato forse il periodo più felice della vita matrimoniale della signora Maria. Se ne stava nel grande letto tutto pizzi, aveva delle camicie da notte splendide, allattava il bambino, assistita da una balia che lo curava e lo teneva in perfetto ordine. L'ingegnere era fierissimo di suo figlio e di sua moglie. Quando lui arrivava alla sera si abbracciavano e lei gli andava incontro quando Io sentiva aprire la porta. Il medico aveva detto l'aveva detto a tutti e due, che a causa di alcune complicazioni del parto la signora Maria doveva rispettare una quarantena più lunga del solito, non meno di due o tre mesi. Tuttavia il signor Giulio era ritornato a dormire nel letto matrimoniale e la signora Maria non chiudeva più la porta; anzi, se lui si attardava a leggere il giornale, lo chiamava: "Vieni a leggere qui."

Il bambino era bruno come suo padre, bello robusto, sodo e ben pieno. Mangiava e dormiva, tranquillo come un angelo. Anche la signora Maria mangiava, dormiva e allattava.

Il bambino aveva otto mesi, era dicembre, era già nevicato e faceva freddo. Una mattina, l'ingegnere era appena uscito e la signora Maria girava in vestaglia, suona il campanello dalla camera da letto e mi dice: "Cambia le lenzuola, fai bollire tutto."

"Bollire? Il pizzo si rovina."

"Sí, lo so, non importa, voglio che siano pulite e se non le fai bollire restano macchiate; anche gli asciugamani, sia i miei che quelli dell'ingegnere."

Da quella mattina è ritornata silenziosa e triste, chiudeva la porta la sera, aveva mal di testa, le si rovinava il latte.

L'ingegnere questa volta non era più tranquillo, era diventato nervoso, quando arrivava a casa spiava preoccupato sua moglie. "Che cos'hai? Ma possibile che tu sia sempre in questo stato?" Una sera li avevo sentiti litigare in camera da letto, le diceva: "Adesso basta, mi hai stancato, non è possibile andare avanti cosí."

Ogni tanto la signora Maria si alzava al mattino, mi chiamava e mi ordinava di cambiare tutta la biancheria. Queste scene si verificavano a intervalli sempre più lunghi, in compenso ogni volta aumentavano i panni da lavare. Alle lenzuola e agli asciugamani si erano aggiunti la camicia da notte, i tappetini del letto, poi le tendine e poi bi sognava tenere una notte all'aria il copriletto e poi fare delle pulizie a fondo, alzando i mobili, in ultimo, proprio le ultime due volte, pretendeva che passassi il lisoformio.

Le avevo detto: "Ma signora non si passa il lisoformio sul legno, roviniamo il palchetto." Niente da fare, è stata irremovibile; io ho passato il lisoformio e il pavimento è diventato tutto chiazze, un po' umidiccio: entrando nella stanza era rimasto un odore di disinfettante, che sembrava di entrare in ospedale.

Quando stiravo prendeva la biancheria e cominciava ad annusarla; quando arrivava alla camicia da notte dell'ingegnere: "L'hai bollita bene?" "Si." "E allora come mai ha ancora odore di sudore?" "Ma no signora, non è possibile, l'ho bollita e lavata con il sapone di Marsiglia come mi ha detto." "Mio marito ha un pelle forte, è impossibile eliminare il suo odore! Questa camicia l'ha già usata troppo, non viene più pulita, buttala via! Gliene farò fare delle altre."

L'ingegnere aveva una pelle magnifica, quelle pelli un po' scure, lisce, ben asciutte, davvero non aveva cattivo odore e lui si teneva molto bene, si faceva sempre il bagno e usava del sapone fine, che comprava lui stesso, sapone inglese.

Le pulizie occupavano sempre di più la signora Maria, io non riuscivo più a fare tutto quanto e la balia era occupata dal bambino. Un giorno la signora Maria vedendomi in difficoltà si mette ad aiutarmi. Guardandola china mentre fregava per terra le dico: "Signora perché non chiede a suo marito di fare venire anche mia sorella, cosí mi potrà aiutare, non sono lavori per lei, se la vedesse la signora Elvira non sarebbe contenta."

Non mi risponde nemmeno, non dice nulla al marito, anzi comincia ad occuparsi di una quantità di cose lei direttamente: la spesa, il pranzo, io dovevo pulire, pulire sempre di più. Anche del bambino si occupava quasi esclusivamente lei, la balia doveva solo tenere in ordine la camera e i vestiti di Emilio.

Non andava più volentieri dai suoi, usciva pochissimo, giusto intorno a casa, nei soliti negozi.

L'ingegnere usciva presto al mattino e tornava tardissimo alla sera, non litigavano più: la vita in casa scorreva tutti i giorni uguali e tutti i giorni senza nessuna allegria.

La signora Maria si dedicava completamente al bambino, che era magnifico, sorridente, allegro e attaccatissimo a sua madre. Spesso quando l'ingegnere arrivava il bambino dormiva già e quando usciva al mattino era ancora addormentato.

Di tanto in tanto lui faceva dei tentativi di corteggiarla un po', ma lei era diventata dura.

Una sera è arrivato con un mazzo di rose: "Angela le metta in un vaso." Le prendo, le metto al centro della tavola: "Maria ti ho portato delle rose." "Si mi piacciono, ma nella terra, perché nel vaso puzzano, l'aria prende un odore che mi dà la nausea." Si alza, prende il vaso: "Dove vai?" "Le porto in cucina, scusa, ma non le sopporto." Allora l'ingegnere si è alzato dalla poltrona lanciando per aria il giornale, ha afferrato il vaso e l'ha scaraventato contro il muro: acqua, fiori e cocci da tutte le parti, lui bianco come uno straccio.

Quando, quindici giorni dopo, la signora Maria aveva annunciato all'ingegnere che era incinta, la notizia non sembrava aver rallegrato né lei né lui.

Era incominciata la nausea, violentissima, una minaccia di aborto e l'ingegnere di nuovo nella stanza degli ospiti. Non sarebbe mai più tornato a dormire nella camera matrimoniale.

La signora Maria mi aveva fatto preparare stanza e bagno e questa volta mi aveva anche fatto trasferire tutta la roba dell'ingegnere nell'armadio della stanza degli ospiti. Era entrata a vedere che tutto fosse a posto e aveva commentato: "Ci vuole una cassettiera nuova, questo armadio è un po' piccolo. Bisogna mettere una lampadina più forte e portare qui la lampada che ha sul comodino, nella camera di là." Insomma un vero e proprio trasloco definitivo. La sera stessa del trasferimento la signora Maria aveva un aspetto migliore, più calma.

L'ingegnere mi faceva pena, ma mi faceva pena anche lei. Abbiamo ripreso i massaggi, i biscotti poco conditi, le chiacchiere, come per Emilio, anche la gravidanza di Piero. Aveva meno paura del parto, era più tranquilla. Un po' perché sperava che il secondo parto fosse più facile, cosí come aveva detto anche il medico, un po' perché aveva ripreso i contatti con Don A., il padre domenicano, che era stato il suo confessore durante gli studi dalle suore.

Lo aveva cercato – mi aveva detto – subito dopo la nascita di Emilio, per avere aiuto nell'educazione del bambino e perché si sentiva non capita dai suoi genitori e da suo marito. Don A. l'aveva confortata molto. Cosí aveva ripreso a confessarsi una volta alla settimana, come faceva quand'era a casa sua. Anzi don A. aveva preso l'abitudine di passare per casa, una volta al mese, quasi regolarmente: era un grande uomo, maestoso con il mantello nero, tutto vestito di bianco. Non era bello, era troppo pallido, aveva la carne gialla e trasparente e lui si che aveva odor di morto addosso. E poi a me non convinceva niente come si muoveva, trascinava i piedi, faceva troppi gesti con le mani: "Un sant'uomo" diceva la signora Maria e io le rispondevo: "Santo certo! Uomo? Mah...!? Lo sa il Signore."

L'ingegnere non era mangiapreti come suo suocero, certo però aveva detto a sua moglie di evitare per favore di farlo incontrare con don A. Non lo voleva conoscere, non avevano niente da dirsi e infatti non si sono mai visti.

Poiché la signora Maria mi voleva molto bene, era convinta di aiutarmi e di salvarmi dalle difficoltà che lei aveva incontrato nel matrimonio, raccontandomi per ore che cosa don A. le aveva detto. Le spiegazioni dei suoi guai da dove venivano le sue illusioni. Lei era stata una ragazza romantica, tanti romanzi aveva letto, cosí aveva in mente che l'amore fosse bellissimo e si era aspettata dal marito dei sentimenti che non ci si aspetta da un uomo. Lei come tante ragazze si era illusa che l'amore con un uomo potesse essere un grande sentimento: troppo materiale è il rapporto. Quando aveva capito questo era tornata più serena.

Certo fra don A. e l'ingegnere c'era la differenza che c'è fra il giorno e la notte, nemmeno da paragonare. L'ingegnere? Sicuro, si capiva subito! Gli piacevano le donne, non lo nascondeva. "Non è un difetto per un marito" – le dicevo sempre. Sarebbe stato un difetto per un confessore. L'ingegnere voleva godersi la vita, mentre don A. viveva solo delle disgrazie degli altri, si faceva una festa di sentire le disgrazie di uomini e donne, ma gli piacevano specialmente le disgrazie delle donne. In ogni caso la signora Maria non mi dava retta, anzi non mi stava nemmeno più a sentire, ormai il suo vero confidente era don A.

Piero è nato dopo un parto tranquillo, di poche ore. Lo ha allattato per mesi e mesi, molto più a lungo di Emilio, aveva più di un anno e lo allattava sempre. L'ingegnere questa volta però non era tornato a dormire nella camera matrimoniale, era rimasto in quella degli ospiti.

La signora Maria era molto ingrassata e quel lungo allattamento l'aveva mantenuta molto più pesante che dopo il parto di Emilio. Era tutta presa dai suoi figli, aveva abbandonato quasi del tutto il piano, sembrava sempre più interessata ai lavori di casa e non si fidava nemmeno più di me.

Subito dopo il matrimonio non vedeva mai nessuno, cosí era stato fino alla nascita di Piero. Dopo la nascita di Piero invece, andava spesso dai suoi, riceveva delle amiche e aveva persino deciso di andare in villeggiatura con una sua compagna di collegio. L'ingegnere aveva comprato la casa in montagna e la signora Maria l'amava tantissimo, spesso ci andava a giugno e rientrava a ottobre, diceva che l'aria faceva tanto bene ai bambini. Faceva tanto bene anche a lei, per dire la verità: la conoscevano un po' tutti in paese, l'andavano a trovare sia quelli del posto che i villeggianti. Era molto rispettata e riverita e questo a lei piaceva.

Piero non aveva due anni quando aveva mandato via la balia proprio al momento di andare a R., a fine maggio. Si stancava, era piuttosto sciupata, ma non aveva sentito ragione, non c'era bisogno di aiuto, e poi le balie non guardano bene i bambini, non rispettano gli orari e i bambini prendono cattive abitudini. Ormai erano buoni solo gli zucchini che comprava lei; l'uovo alla coque non lo sapeva cuocere che lei: due minuti e mezzo, mentre sia io che la balia non guardavamo l'ora e cosí era o troppo cotto o troppo crudo, i bambini non digerivano e la popò era brutta. Delle volte arrivava con il vaso in mano e diceva a quella poveretta: "Guardi, lo vede a non cuocere l'uovo come le ho insegnato, lo vede? È molle, è troppo chiara; e sente l'odore di putrido?" Come se a far l'uovo che spaccava i due minuti e mezzo fosse stata alla violetta! Insomma, quando la balia è stata licenziata deve aver portato un cero alla Madonna perché ormai era a un punto che non resisteva più, credo che ormai odiasse i due bambini.

Quell'estate siamo partite con i bambini per la villeggiatura ai primi di giugno. Si stava bene in campagna, anch'io mi trovavo bene.

Ad agosto arrivava l'ingegnere. Portava sempre Emilio al fiume a pescare: Emilio si divertiva un mondo, lo lasciava sporcare, bagnarsi i piedi nell'acqua e cosí, quando tornava a casa, raccontava, tutto rosso e sudato, delle avventure bellissime di rane, di pesci, di una mucca che era andata a bere e di un cane, che aveva morsicato una pecora scappata dal gregge. Emilio andava volentieri in giro con suo padre, era attaccato a lui e lui aveva bel garbo con il bambino: anche a casa giocava molto con lui. Piero invece, la signora Maria diceva che se usciva con suo padre prendeva il raffreddore ed era più delicato di suo fratello; cosí era meglio che stesse a casa con lei, nel giardino ad aiutarla. Era il sette o l'otto agosto, Emilio si preparava per la venuta di suo padre e voleva convincere la madre che poteva andare con loro anche Piero, ormai era grande e avrebbe fatto attenzione che non sudasse.

Appena arrivato l'ingegnere si era mostrato impaziente con i figli e aveva subito dichiarato che aveva poco tempo per andare a pescare, ma soprattutto aveva poca voglia. Piero non ci andò mai ed Emilio ci andò un paio di volte, giusto il tempo di prendere una piccola trota, poi a casa, non più le giornate intere fuori. L'ingegnere usciva per lunghe passeggiate, aveva scoperto la montagna diceva, non adatta al bambino, da grande l'avrebbe portato con sé. Era subito stato chiaro che qualcosa era cambiato nella vita dell'ingegnere. Intanto era tornato a essere elegantissimo, camicie bianche inamidate la sera, il giorno tenute sportive. Stava benissimo, si cambiava spesso, veniva nella stireria e mi diceva: "Angela, per favore, mi metta in ordine questo..." e mi dava la sua roba, senza curarsi di quella della signora e dei bambini; in breve io mi occupavo quasi solo di lui e la signora lavava e stirava la roba sua e dei bambini; al solito non voleva sapere di aiuti e si che in paese era pieno di ragazze che sarebbero venute a servizio di corsa.

La signora Maria osservava il cambiamento del marito: "Non mi piacciono quei balletti, che idea ti è venuta?"

"No?! – rispondeva lui – non mi stanno poi cosí male, per cambiare."

Erano anni ormai che non avevo più fatto pulizie in grande di lenzuola e biancheria. Nella casa di campagna la signora Maria aveva una stanza per sé e una per l'ingegnere. Due grandi camere da letto comunicanti, che davano sulla terrazza. Appena arrivava, la signora Maria con un gesto automatico chiudeva il chiavistello della porta di comunicazione e non lo riapriva più; non credo che per anni l'abbia mai riaperto, però lo controllava ogni anno, caso mai qualcuno l'avesse inavvertitamente toccato.

In agosto tutta la famiglia faceva colazione sulla terrazza. L'ingegnere aveva perso le speranze, non credeva più che sua moglie potesse cambiare, non era contento, ma era rimasto un gran bell'uomo. Mi chiedevo spesso come si fosse comportato un bell'uomo cosí, tutti quegli anni tanto respinto dalla moglie. Io credo che la tradisse, ma non subito come poi ha cominciato a dire lei. All'inizio, se la tradiva era per disperazione, non era un vero tradimento. L'amore è una cosa che se ti piace, non ci rinunci una volta che l'hai provato; è quando non sai com'è che puoi anche dire: "A me non importa." Lui sapeva benissimo di che cosa si trattava ed è ben difficile che sia rimasto quasi cinque anni senza mai avere una piccola avventura. Certo, quando ancora pensava di poter essere amato dalla moglie, era molto discreto, posso dire che nulla lasciava intendere che la tradisse, né mai nessuno aveva fatto parola su di lui, mentre poi... la gente non parlava d'altro e cento voci arrivavano alla signora Maria.

Quando l'ho visto tanto preoccupato del suo aspetto e curato in ogni minimo particolare, mi son detta: forse una sera o l'altra, proverà a entrare in camera della signora dalla finestra della terrazza. Due o tre notti dopo sento distintamente la finestra aprirsi, mi affaccio e lo vedo rientrare nella sua stanza, saranno state circa le quattro del mattino. Non era in camicia però, era vestito di tutto punto. Strano, mi sono detta, voglio capire meglio: per diverse sere sono stata li ad ascoltare – la mia stanza era al piano di sopra, nella mansarda in mezzo alle loro due finestre; niente, le notti passavano e tutto taceva. Finalmente, quando già mi ero convinta di essermi sbagliata, sento di nuovo aprirsi la finestra della stanza dell'ingegnere, era poco prima di mezzanotte. Faccio piano, mi affaccio e lo vedo uscire, ma non si dirige verso la stanza della signora, attraversa la terrazza, scende la scala, apre il cancello e se ne va. Sono rimasta sveglia, volevo vedere quando tornava. Una stanchezza! Mi cadeva la testa, ogni tanto mi buttavo giù a dormire: le due, le tre... forse non l'ho sentito, sarà tornato, chissà avrà avuto un po' di insonnia.

Invece alle cinque e mezzo sento un passo, era già chiaro e l'ho visto benissimo, il cancello si è aperto, lui è entrato, è salito su per la scala, ha attraversato la terrazza ed è rientrato in camera sua.

Sono rimasta sorpresa, non so nemmeno io perché: in fondo me lo aspettavo, anzi lo sapevo. Aveva aperto e chiuso il cancello senza fare assolutamente attenzione ed era un cancello che cigolava tantissimo; lo stesso con la finestra della sua camera, come se niente fosse. Cosí, ho pensato, non passerà molto tempo che se ne accorgerà anche la signora.

Infatti, la scena si era ripetuta più di due o tre volte. Un giorno arrivo con il vassoio della colazione. La signora al mattino raccontava sempre delle storie ai bambini. "Racconti ancora di Pierino?"

"No, siediti e mangia senza parlare, questa mattina non ne ho voglia. Stai composto, mettiti il tovagliolo e bevi tutto il latte."

Arriva l'ingegnere, i bambini sono seduti, zitti, zitti, hanno capito che la madre è arrabbiata. "Buon giorno."

"Ciao papà."

Lei non risponde, lo squadra invece dalla testa ai piedi.

"Che cosa hai?" chiede lui nervoso. Lei non risponde e di nuovo lo guarda con quello sguardo, con cui da quel giorno in poi non smetterà mai di guardarlo, uno sguardo che diceva: "Finalmente è chiaro chi sei, io sono l'unica che l'ho sempre saputo, adesso lo capiranno finalmente anche gli altri."

Credo che a lui non abbia mai detto nulla direttamente, non credo che abbia mai protestato per i suoi tradimenti, ma da quel giorno ha potuto finalmente trattarlo come un traditore, anche davanti ai figli.

Lui, a essere onesti, faceva ben poco mistero delle sue avventure e lei non perdeva occasione per lamentarsi con tutti i suoi parenti e quando le prime pettegole erano venute a raccontare storie a mezza bocca e a lasciar capire che suo marito aveva una tresca in paese, lei si era quasi affrettata a dare la conferma, a dire che lo sapeva.

Del resto i figli li aveva informati del comportamento del padre da piccolissimi. "Non andare nello studio di tuo padre quando c'è la signorina Dolores. Non c'è nessun bisogno che tu vada a salutarla."

"Perché?"

"Per rispetto verso di me: è l'amante di tuo padre." Piero era rimasto senza fiato era diventato pallido pallido. Emilio invece una sera che la "segretaria" dell'ingegnere era rimasta tutto il pomeriggio chiusa nello studio con il padrone, quando lui l'aveva accompagnata alla porta, si era gettato per terra tirando calci e pugni e urlando in lacrime: "Papà non ti voglio più bene, non ti voglio più bene..." La signora Maria era arrivata come una furia, l'aveva afferrato per un braccio e gli aveva dato due schiaffoni: "Vattene nella tua stanza, non ti permettere mai più." E il mattino seguente lo aveva costretto a chiedere scusa al padre: non so quale dei due fosse più sconvolto.

I ragazzi hanno reagito secondo il loro carattere, Emilio se ne stava fuori più che poteva e appena è cresciuto se ne è andato di casa, Piero invece non lasciava mai sola sua madre, era di una dolcezza e di un garbo! Emilio veniva, le portava un regalo, l'abbracciava, la baciava, poi scappava via; Piero invece non credo le abbia mai comprato nulla, ma le stava accanto come la sua ombra.

L'ingegnere aveva preso una strada senza ritorno, aveva una storia dietro l'altra e più passava il tempo e meno si curava di nasconderle. L'atteggiamento della signora Maria non l'ho mai capito del tutto. Lo sorvegliava continuamente, non le sfuggiva nulla, si informava di dove andava dall'autista della ditta, dagli amici, voleva sapere sempre tutto di lui e lui, mi pare se ne rendesse conto, era come se non volesse darle la soddisfazione di fare le cose con un po' più di discrezione.

Da quando aveva tutte queste storie era diventato di nuovo vivace, simpatico, era dimagrito, era bello. Spendeva sempre di più per sé e per queste sue donne ed era diventato avaro; più che avaro, non gl'importava di che cosa avessero bisogno moglie e figli. La signora Maria poco per volta era arrivata a dividere la giornata in due parti: la mattina era tesa, cercava le tracce dei movimenti del marito nei vestiti lasciati in bagno, nelle agendine, nelle lettere sulla scrivania. Quando aveva le informazioni volute si lamentava, piena di rabbia e di rancore, con don A. Lo convocava a casa non appena l'ingegnere era uscito, per mostrargli le prove fresche di come veniva trattata dal marito. "Offra le sue pene al Signore – diceva lui –, lo faccia per i suoi figli. Cerchi di mandarmi suo marito, gli parlerò, gli dica che lo aspetto."

"Mai verrà da lei, mai accetterà di parlare con lei."

Poi si rassegnava, verso l'ora di pranzo. La gran rabbia si calmava e diventava silenziosa. Si buttava nei lavori di casa, poi come se non gliene importasse più niente di nessuno, se ne stava a leggere e a cucire, mal messa, spettinata, trasandata. Si riprendeva la sera quando rientravano i figli e quando ascoltava ogni minimo particolare della loro giornata. Sapeva e ricordava sempre tutto, come avesse lavorato anche lei: consigliava i figli e sempre li spingeva ad accettare le decisioni dal padre, bravissimo nel lavoro. Interveniva specialmente con Emilio, lui e l'ingegnere non andavano d'accordo. La signora Maria esigeva dai figli che sul lavoro rispettassero e obbedissero il padre, era severa su questo punto.

Però, mentre s'informava del lavoro registrava nella sua testa ogni mossa del marito, non dimenticava mai niente.

Appena i figli sono stati adulti, veramente prima che fossero adulti, don A. era scomparso. La signora Maria aveva cominciato a fare le lamentele del mattino un po' con l'uno e un po' con l'altro dei suoi figli. Emilio reagiva, diceva: "Vado a rompergli il muso. Devi buttarlo fuori, non deve più entrare qui dentro." Piero invece accarezzava sua madre e ripeteva: "Non te la prendere, non ti capisce. Non sa come tu sei." Spesso Emilio e la signora Maria litigavano, perché Emilio voleva affrontare il padre, ma la signora Maria non glielo consentiva mai e lui sembrava non avere il coraggio di disobbedire a sua madre. Piero giustificava il padre: "E infelice, fa cosí perché è infelice." Quando Piero faceva questi discorsi, Emilio si irritava e litigavano anche i due fratelli. Cosí la signora Maria aveva smesso di parlare a tutti e due insieme, badava bene di parlare con loro separatamente. I rapporti fra Emilio e Piero erano cambiati. Sempre insieme da bambini, crescendo invece erano diventati sempre più diversi, sempre più lontani; uno insofferente dell'altro, insomma non si capivano più come una volta.

Quando Emilio ha conosciuto lei nel '39, era ormai lontano dai suoi e da Piero da alcuni anni. Io me ne sono tornata al paese nel '26.

Poi lei sa, dopo la guerra e dopo la morte dell'ingegnere la signora Maria mi aveva cercato. Io ero rimasta vedova, i miei figli avevano tredici e undici anni, avevo bisogno e cosí li ho messi da una parente e sono tornata a casa sua. Piero non aveva troppo patito per la guerra, non stava male quando è tornato, anzi era molto desideroso di vivere, come se volesse recuperare il tempo perduto. In casa c'era un allegro via vai di amici. Piero invitava i clienti, i dipendenti, gli amici, sicché la casa era diventata molto allegra. La signora Maria aveva ereditato e anche se ormai era molto sciupata aveva comprato qualche nuova camicetta e qualche nuova gonna.

La signora Maria si era accorta che Piero frequentava delle ragazze. Qualche telefonata, qualche rientro tardi la sera, qualche notte passata fuori, l'avevano convinta che era cosí. Per Emilio questo era accaduto già molti anni prima, ma su Emilio la signora Maria aveva un'influenza più limitata. Quanto a Piero invece, lo controllava a vista.

Sicché un bel giorno, decide che Piero si deve sposare. Qualche invito, diretto da lei, qualche festa e Piero, che captava quel che sua madre voleva e non sapeva negarle nulla, si innamora e si sposa. La signora Alda, mi deve credere, l'ha scelta la signora Maria, poi Piero si è innamorato di lei, ma scegliere non ha scelto lui.

Tornando dal viaggio di nozze erano venuti ad abitare in casa della signora Maria. Avevano trovato la casa rinfrescata e con parecchie innovazioni. Il salone enorme, era stata diviso in due salotti, erano stati aggiunti mobili, cambiate le tende, e quelle che erano state le stanze dell'ingegnere erano diventate le stanze degli sposi.

Alda era molto carina, sottile, bei lineamenti.

Aveva un aspetto mite, ma io dubitavo che lo fosse. Mi aspettavo francamente che scoppiassero litigi fra la signora Maria e la sposa, come in tutte le famiglie: suocera e nuora, si sa. Invece Alda non ha nemmeno provato a dirigere la casa, in nulla. "Come facciamo?" – chiedeva alla suocera – e voleva dire "dimmi che cosa devo fare". "Ci penso io" rispondeva la signora Maria. "Se c'è bisogno ti dirò" e naturalmente non le ha mai detto niente.

Alda si alzava la mattina, si lavava e si vestiva, poi facevano colazione tutti insieme, e lei e Piero via a lavorare. Rientravano per pranzo: tutto era pronto. Al pomeriggio lavorava di nuovo, chiusa nello studio e anche alla sera la cena era pronta.

Alda si comportava come Piero verso la signora Maria. Se era pastasciutta o minestra, se era carne o pesce, se le tende erano a fiori o a righe, tutte decisioni piovute dal cielo. Alda e Piero erano cosí presi uno dall'altra che cercavano solo di starsene loro due tranquilli.

Piero di tanto in tanto diceva "Potremmo vedere il tale" e Alda, arrotolandosi addosso a lui, rispondeva: "Ma no, oggi no, stiamocene in pace. Più tardi ci facciamo una cioccolata, ho comprato della panna."

Alda teneva per sé il suo stipendio e quel che desiderava se lo comprava e lo metteva in frigo da una parte, in una scatola di vetro. La signora Maria apriva il frigo e diceva: "Che cos'è questa roba Angela?"

"È roba della signora Alda." "Ah! Chissà perché compra queste porcherie. E Piero che le mangia!"

Alda faceva finta di non sentire o forse non sentiva proprio, in ogni caso non contrariava mai sua suocera.

A cena però non diceva una parola, ma proprio nemmeno una, se la signora Maria invitava qualcuno. Quando l'ospite la guardava, imbarazzato, Alda diceva: "Mi deve scusare, mi è rimasto del lavoro arretrato" e dopo un po' aggiungeva "Sono proprio mortificata ma devo andare a finire." Si alzava e spariva.

Io a questo punto mi sono licenziata, non ero più giovanissima, volevo una mia vita, i miei figli e del resto non mi fidavo di tutta quella buona armonia fra suocera e nuora. Mi son detta: "Meglio andarsene finché c'è bonaccia." Mi sbagliavo, non solo non hanno mai bisticciato, ma la signora Alda si prende cura di sua suocera con grande amore.

Non ha avuto fortuna nel matrimonio, ma devo dire invece che il figlio e la nuora sono straordinari.»

«Questo racconto di Angela è stata una rivelazione per me – aveva commentato la signora Emma – è stato decisivo per capire molte contraddizioni del comportamento di mio marito e di mio cognato. Mai infatti, né mio marito, né mio cognato quando parlavano tanto male del loro padre avevano accennato al dettaglio, non certo trascurabile, che mia suocera respingeva il marito.

Mio suocero veniva descritto come un essere perverso e basta, senza giudizi di appello.»

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