CAPITOLO XI Anna Rinaldi racconta: in casa Rinaldi

«Zia Alda era apparsa subito a tutti timida e poco a suo agio fra noi. Quando eravamo da loro era cosí poco desiderosa di fare la padrona di casa, che sembrava grata alla nonna di risparmiarle questo compito. Qualunque cosa dovesse fare, da preparare la tavola a offrire un liquore, chiedeva alla nonna: "Prendo i bicchieri blu?" "Metto i piatti fondi?" come se fosse stata un'ospite rispettosa, che voleva dare una mano.

Credo che uno dei motivi, se non il motivo, per cui lo zio Piero l'ha sposata è stato proprio che non solo non aveva alcuna obiezione a vivere con la nonna anzi, era apparsa contenta e rassicurata dalla sua presenza.

Desiderava lavorare e avere la sua vita, non desiderava occuparsi della casa, né tanto meno cucinare. Zia Alda detesta fare da mangiare e detesta anche mangiare, ha sempre disprezzato molto l'attenzione di mia madre e di mia nonna per il cibo. "Che cosa vuoi per cena?" le chiedeva ogni tanto la nonna e lei rispondeva sempre "Ah! qualunque cosa." Apparentemente non intendeva affatto competere in nulla con sua suocera.

Tuttavia se è vero che l'accettava senza discussione, è anche vero che non sembrava nutrire per la nonna non solo affetto, ma nemmeno simpatia.

C'è voluto poco per capire che l'asprezza che la rendeva francamente ostile a qualunque estraneo, non era l'atteggiamento passeggero della giovane sposa intimidita da nuovi parenti e nuovi amici. La sua attitudine scontrosa si è rivelata profonda, segno di una misantropia incontrollabile, dalle radici ramificate e insospettatamente robuste.

In breve tempo zia Alda ha spinto fuori della sua casa tutti: amici e parenti. Non vi era chi non avesse capito che la riservatezza ruvida di Alda era animata da una violenta insofferenza per chi non facesse parte della casa, cioè per tutti tranne il marito e la suocera. In certo modo peraltro la suocera e il marito erano soltanto due arredi viventi della casa in cui lei viveva sola.

Con noi bambine era stata più che esplicita. Telefonavamo (avevamo sempre fatto cosí), per chiedere se potevamo andare a trovare la nonna, rispondeva sempre lei: "No, oggi no, non può, aspetta la sarta." "No, oggi nemmeno, è stanca", "Posso parlare con lei?" "No, sta dormendo. Chiama più tardi" e più tardi la nonna era uscita. Allora noi andavamo da lei direttamente. Per qualche tempo ha funzionato, poi una volta ci ha aperto la porta e ci ha detto: "Siete voi? Cosa volete dalla nonna? Fareste meglio a telefonare prima di venire, non è cosí che si fa! Non vi hanno insegnato nulla i vostri genitori? Dite un po' alla mamma che si avverte prima!"

Mia madre si era arrabbiata come una furia, le aveva telefonato e subito anche: chi si credeva di essere, come si permetteva di malmenare le nipoti in visita alla nonna, non era a casa sua, avevamo sempre fatto visita alla nonna, che cos'era questa storia che bisognava annunciarsi mesi prima e che non era mai possibile parlare direttamente con la nonna.

Zia Alda, per nulla intimorita dall'ira di mamma, le aveva risposto che quella era anche casa sua e che se le stava tanto a cuore la suocera avrebbe potuto andare a stare nel palazzo oppure nella casa stessa come aveva fatto lei. Visto che invece non aveva voluto prendersi cura della suocera, era meglio non facesse tante storie per le visite che la stancavano soltanto, perché noi, doveva ben saperlo, eravamo piuttosto turbolente e maleducate.

Tutta la storia era stata raccontata a mio padre e mio padre era andato una domenica mattina a trovare la nonna. Erano usciti insieme, erano andati a prendere la cioccolata da B. La nonna prima che papà potesse spiegare che cosa era successo, gli aveva detto: "Lo so, lo so, non dirmi nulla. E stata molto villana con le bambine e con Emma, ma non intendo parlargliene. Verrò io da voi ogni tanto, mi verrete a prendere con la macchina la domenica mattina, come oggi. E una ragazza con tante qualità, è cosí innamorata di suo marito ed è cosí cara con me! Bisogna capire, non si può pretendere troppo dalle persone. E semplicemente chiusa di carattere. E poi ognuno sposa la persona che crede. Tu ti sei sposato di testa tua e nessuno ha detto nulla, che cosa hai da dire ora della moglie di tuo fratello? Non è tuo compito fare commenti, né compito di nessuno."

Mio padre aveva tentato di protestare dicendo che suo fratello e sua cognata non avevano diritto di comandare nella casa di famiglia, passando sopra la sua testa, filtrando visite e telefonate. La nonna aveva risposto che ormai lei era vecchia e che pertanto la casa doveva considerarsi di suo figlio Piero e di sua nuora. Quel che conta è che le persone siano contente e Piero è contento cosí. Era sempre stato un ragazzo schivo, non c'era nulla di sorprendente che avesse scelto una donna anche più schiva di lui.

Mio padre come era inevitabile, aveva avuto uno scontro con lo zio Piero. Erano rimasti a parlare in ufficio dopo la chiusura ed era arrivato a casa molto tardi.

Mio padre aveva detto allo zio Piero che faceva molto male a costringere sua moglie a vivere con sua madre, questo rendeva tutti i rapporti familiari troppo complicati. Zio Piero aveva risposto che non costringeva affatto Alda a vivere con sua madre, che avevano deciso cosí di comune accordo. Anche ad Alda era comodo vivere cosí , non era costretta a compiti domestici, che non amava e le consentiva di non abbandonare il lavoro se fossero venuti dei figli. Era una soluzione equa per tutti, perché la nonna non sarebbe stata volentieri sola, almeno in futuro quando fosse stata più vecchia. Alda non era affatto tesa perché abitava con la suocera, era forse una persona più difficile di quel che sembrava, anche di quel che era sembrato a lui. Non era dunque il suo un atteggiamento riservato alla cognata e alle nipoti, non c'era nessuna ostilità personale, semmai c'era una certa eccessiva insofferenza per chiunque violasse la sfera domestica.

Mio padre aveva raccontato la storia in termini molto più crudi e spicciativi: "Mio fratello è un cretino, ha sposato un'acqua cheta villana e prepotente e non sa dirgliene quattro. Per me faccia come vuole, io mia madre non vado più a trovarla a casa."

E infatti finché la nonna si era sentita, veniva da noi la domenica a pranzo. Papà l'andava a prendere e la riaccompagnava senza mai salire.

Se la nonna la vedevamo poco, lo zio Piero lo vedevamo pochissimo. Anche lui veniva a farci visita di tanto in tanto, sempre con la scusa di qualche motivo di lavoro, poi rimaneva con noi e con mamma abbastanza a lungo.

Mamma non ha mai più ricucito i suoi rapporti con zia Alda, si trattavano con grande educazione formale, ma la tensione era pesantissima e anche noi avevamo paura di zia Alda. La sensazione di poter diventare l'oggetto di uno scatto poco mascherato di insofferenza ci preoccupava, tanto più che ogni episodio aveva ripercussioni anche sull'umore di mamma e papà. Diventava argomento di una tesa controversia fra mamma che avrebbe voluto dirle le cose chiare e litigare e papà che l'accusava di voler fare piazzate a ogni costo. Unica occasione di incontro per un certo periodo era rimasto il pranzo di Natale, infatti facevamo il Natale un anno da nonna Anna e un anno da nonna Maria.

Per noi sono diventate indimenticabili sia le feste dei Rinaldi che quelle degli Albanese.

Le feste da nonna Anna volevano dire venti persone o più intorno a un tavolo lunghissimo, con una tovaglia bianca, immensa, ricamata, preziosissima, con bordi di pizzo, di una sontuosità da non dimenticare: fiori in mezzo al tavolo senza risparmio. Il pranzo durava in eterno, una portata dietro l'altra e il chiasso aumentava: c'erano sempre molti bambini, oltre a noi e ai cugini, altri cugini e parenti venuti da fuori. Dopo un po' mentre i grandi continuavano a mangiare, a raccontare e a raccontarsi, la nonna ci lasciava alzare e cosí cominciavamo a sciamare per la casa. C'erano cioccolatini e torrone nascosti e noi, come una specie di caccia al tesoro, dovevamo trovarli. Su e giù per le scale, per le camere da letto, per la cucina e per la dispensa.

Il Natale dei Rinaldi era ristretto alla cerchia familiare: noi quattro, zio Piero e zia Alda e i nonni. Si distingueva da un normale pranzo, perché nei normali pranzi noi bambine dovevamo stare zitte, mentre nel pranzo di Natale tutti parlavano con noi. La nonna Maria infatti non ammetteva che i bambini parlassero a tavola, papà e zio Piero avevano mangiato prima dei genitori fino a quando non avevano imparato a mangiare "perfettamente composti" e una volta ammessi a tavola non avevano avuto il diritto di parlare se non "quando venivano interrogati".

Con noi la nonna era molto più di manica larga, quando andavamo da lei ci faceva sempre qualche domanda all'inizio del pasto e poi diceva: "Bene adesso mangiate in silenzio." Come dicevo il pranzo di Natale era visibilmente dedicato a noi. La nonna ci chiedeva della scuola, dei compagni, degli insegnanti, quali materie preferivamo e perché. Marta sapeva fare l'imitazione della direttrice della scuola e del maestro di musica e la nonna, dopo il caffè, la esortava sempre a farle sentire le sue imitazioni.

Marta, dopo qualche esitazione, di buon grado faceva il suo piccolo teatro, quindi la nonna andava a riposare e noi, in silenzio, leggendo, aspettavamo che si svegliasse per salutarla e tornare a casa.

Dopo il matrimonio di zio Piero a Natale c'era anche zia Alda, anche lei faceva le sue domande sulla scuola e commentava le nostre risposte. Marta era una scolara estrosa e qualche volta aveva delle disavventure: errori di ortografia, cattiva punteggiatura, non sempre gli insegnanti glieli perdonavano in cambio delle sue qualità creative. La nonna si divertiva tanto quando Marta raccontava gli strafalcioni che facevano arrabbiare la maestra.

Un Natale Marta raccontava di un tema molto riuscito, dove aveva scritto famiglia senza g e magnolia con due g, zia Alda aveva detto a mamma: "Oh! Ma senti, non è normale, dovresti farla vedere da una logopedista!"

"Chi è una logopedista?" aveva chiesto Marta.

"È una che parla mentre corre", aveva risposto mia madre, cercando di scherzare, ma zia Alda si era messa a ridere e a ridere tanto, che alla fine Marta era scoppiata in pianto.

Il successivo Natale dei Rinaldi, mentre andavamo dalla nonna. Marta diceva: "Mamma ti prego sull'argomento scuola, rispondi tu, di' che va tutto bene, ti prego!"

C'erano, come sempre, gli agnolotti, erano squisiti, li mangiavamo volentieri. Dopo invece, lo sapevamo benissimo, c'erano l'arrosto con gli spinaci al burro, quindi lo zabaglione. Tutte e due odiavamo lo zabaglione, la nonna lo faceva con tantissimo marsala, non ci piaceva molto l'arrosto e Marta aveva una vera ripugnanza per gli spinaci al burro. Dalla nonna Maria non si facevano eccezioni, bisognava mangiare tutto quello che arrivava in tavola e per altro non era ammesso avanzarlo. Cosí il solo modo di sfuggire al menù previsto era prenderne poco. La regola di nonna Anna "mangia solo se ti senti" da nonna Maria diventava "prendi solo quello che sei in grado di mangiare". Marta ed io avevamo il nostro piano difensivo ben collaudato: "molti ravioli e il meno possibile del resto". Quel Natale avevamo preso come sempre una bella porzione di ravioli.

"Alda avevi ragione, forse quest'anno di ravioli ne ho fatti troppo pochi."

"Certo queste graziose, eteree signorine si ingozzano più delle oche di Strasburgo."

Marta mi aveva confessato di aver per giorni e giorni avuto il presentimento che zia Alda l'avrebbe servita lei di spinaci al burro, come catastroficamente era accaduto: "Una quantità da incubo!" ripeteva Marta ancora verde al pensiero dello sforzo sostenuto. Quello era stato l'ultimo Natale dei Rinaldi.

Da allora abbiamo ridotto i rapporti con gli zii e la nonna. Brevi visite, fino a qualche anno fa, quando la nonna, a causa dell'età, ha cominciato ad avere problemi di salute. Problemi di vecchiaia, non propriamente malattie. Mio padre avrebbe voluto occuparsene e a più riprese aveva proposto infermiere, cameriere, dame di compagnia. Aveva anche comprato un appartamento accanto a noi e aveva tentato di trasferirvi la nonna. Tutti i suoi sforzi sfociavano sempre in un litigio con zio Piero e in un successivo diniego della nonna. Alla fine, grazie alla mia laurea in medicina, io sono diventata lo strumento di un compromesso. Visto che la nonna non si voleva muovere, visto che non accettavano aiuti, io di tanto in tanto passavo qualche giorno da loro, per vedere e capire di che cosa avesse bisogno la nonna.

Zia Alda mi aveva accolto con freddezza, ma anche come il minore dei mali. Cosí io la situazione l'ho vista dal di dentro e la conosco, ci sono stata in quella storia. Adesso non ci torno, per nulla al mondo, non ci andrò mai più, ma prima di gettare la spugna ci ho provato e tanto.

Il mio primo incarico di pseudomedico presso i Rinaldi, l'ho avuto quattro anni fa, ero appena laureata. Ero arrivata dopo cena, zia Alda mi aveva aperto con le lenzuola in mano, senza salutarmi me le aveva date, aveva aperto la porta di fronte alla camera della nonna e con la testa mi aveva fatto cenno che dormivo lí. "A che ora mi devo svegliare?" Si era stretta nelle spalle e se ne era andata in bagno.

Verso le cinque, fuori è ancora notte, l'appartamento di via N. è affondato nel silenzio. Alda si alza con movimenti sicuri, si muove nel buio: si infila le pantofole, si mette la vestaglia, cammina nel corridoio fino alla porta della camera da letto di nonna Maria. Entra nella camera raggiunge la finestra, apre lentamente gli scuri, la luce dei lampioni del viale rischiara la stanza, le ombre si proiettano dal basso.

Alda con un colpo secco accende l'interruttore di una stufa elettrica con la ventola, che scalda rapidamente l'ambiente. L'ha fatta mettere quando si è resa conto che talvolta la nonna non digeriva bene la colazione, proprio perché la prendeva al mattino quando la casa è ancora fredda.

L'interruttore e la luce svegliano la nonna, che dorme semidistesa su una grande pila di cuscini. La respirazione è aiutata da quella posizione, c'erano nell'armadio a muro del corridoio varie coppie di cuscini e due rulli alla francese da mettere contro la spalliera, in modo da poter cardare di frequente la lana e cambiare spesso i cuscini conservando sempre esattamente la stessa posizione della schiena.

"Chi è?"

"Sono io, sono Alda, mamma. Le porto il caffè fra un momento lo vado a prendere." La chiamava prima di portarglielo, perché se non era ben sveglia le andava per traverso e allora cominciava a tossire e rischiava di soffocare. Era accaduto un paio di volte, zio Piero era corso e si era molto spaventato. La nonna Maria non riusciva a controllare le contrazioni che la sopraffacevano. Quando si era ripresa tuttavia, aveva detto a zio Piero di non entrare più nella sua camera da letto finché lei non era in ordine.

"Ecco il caffè tiepido."

"Dammi un po' di latte."

"No, il latte no, non faccia storie, lo sa che poi non digerisce."

"Un biscotto."

"No, non ora, più tardi."

Mentre abbassava il termostato della stufa Alda pensava come era incredibile che dopo anni ancora insistesse a chiedere il latte e il biscotto; aveva avuto mal di stomaco, aveva avuto la diarrea, era stato cosí difficile trovare un equilibrio e del resto quest'equilibrio era cosí instabile.

Alda andava in cucina a far colazione. In cucina c'era zio Piero: "Che cosa fai già alzato?"

"Ti ho sentito alzarti."

"Perché non hai continuato a dormire?"

"Dormirò nel pomeriggio."

Alda si vestiva e si ritirava nel suo studio, un paio d'ore, quindi preparava il latte e i biscotti per la nonna. I biscotti come Angela le aveva insegnato, con poco burro e ora Alda metteva anche poco zucchero, perché lo zucchero fermenta e favorisce i disturbi intestinali. Questa variante consentiva alla nonna Maria di dire ogni mattina "Niente sono in confronto a quelli di Angela. Alda tu sei un tesoro, ma non imparerai mai a fare da mangiare."

"È finito il tempo di mangiare per lei già da un pezzo, adesso lei deve nutrirsi. Se non la smette di cercare sempre cose gustose le verrà di nuovo mal di pancia. E poi me lo godo io. Lo so che lei si fa dare degli altri biscotti da Diana mentre io vado a fare la spesa. Non siete furbe né l'una né l'altra. Del resto Diana è anche sporca e uno di questi giorni la spedisco. È inutile farsi derubare, per quello che fa chiede troppo. Eccola che arriva, in ritardo naturalmente. Vado a fare le pulizie, intanto lei legga il giornale e stia tranquilla. Poi veniamo a farle la toilette."

La nonna Maria era diventata molto golosa, proprio lei che non aveva mai dato importanza al cibo. Alda sapeva appunto che si faceva dare cibo continuamente dalla cameriera e sebbene glielo rinfacciasse, non le aveva mai fatto l'affronto di sorprenderla, in compenso licenziava la cameriera. Quante cameriere erano passate per quella casa! Le ragazze giovani non sapevano lavorare, le donne di una certa età non accettavano di essere dirette e l'estrema fragilità della nonna Maria richiedeva di seguire meticolosamente tutte le prescrizioni del medico e tutte quelle piccole attenzioni nella vita quotidiana, che si erano rivelate più efficaci delle medicine. Ci voleva cosí molto tempo prima che una cameriera imparasse e poi bastava trascurare una sola delle numerosissime disposizioni perché si innescassero una serie di disturbi a catena, difficili da superare.

"Eccoci mamma, ora ci occupiamo di lei.

Vada dall'altra parte del letto e prenda bene la signora sotto l'ascella, poi la sollevi, non la trascini, la sollevi contemporaneamente a me. E diverso, se non la solleva poi le trovo dei lividi e delle escoriazioni. Per trascinarla ci riuscirei da sola, lei mi serve appunto per sollevarla. Cosí!"

"Ahi!"

"Si lamenta per abitudine, non le abbiamo fatto alcun male. Adesso che è seduta la chini in avanti, le braccia tese e appoggiate alle gambe, sollevi la camicia sulla schiena e massaggi con l'alcool." Un grande odore di canfora si sprigiona per la stanza. "Qui deve insistere, è qui che si formano piaghe più facilmente, con più garbo, in quel modo le fa scoppiare i capillari. Adesso si fermi, non vede che è rossa, non deve diventare viola.

Mamma adesso la mettiamo in piedi. Giù le gambe da una parte, adesso la dobbiamo vestire.

Qualche settimana prima era ancora possibile che contribuisse a vestirsi, ma ora l'equilibrio le fa difetto, vede si regge in piedi, ma è impossibile che riesca a muoversi da sola, deve appoggiarsi da tutt'e due le parti. Lei naturalmente insiste a vestirla in piedi, mentre chiunque avrebbe capito che bisogna vestirla quando è ancora sul letto."

Verso le dieci era pronta, vestita e pettinata e la sedevano sulla poltrona a fiori. Era lisa e rotta in più punti, ma nulla doveva essere cambiato per non turbare le sue abitudini e perché non era più lei a occuparsi della casa e Alda non voleva cambiare nulla: tutto era identico e tutto doveva rimanere identico per il bene di sua suocera, aveva deciso.

Zio Piero amava molto uscire presto al mattino, gli piaceva camminare nelle ore più fredde, piene dei suoni della città che comincia a funzionare. Andava a prendersi brioches e cappuccino al bar, tornava a casa con i giornali, poi andava a lavorare. Le ore del mattino erano proprio quelle in cui la nonna Maria era presente a se stessa, nel corso della giornata perdeva un po' il contatto con la realtà.

Cosí zio Piero e io eravamo ammessi alla sua presenza verso le dieci, prima aspettavamo davanti alla porta: "Caso mai ce ne fosse bisogno vi chiamo." Era sicurissimo che Alda non avrebbe chiamato né l'uno né l'altra, ma nessuno dei due osava allontanarsi. Io avevo tentato a più riprese di proporre un piano di assistenza, avevo cercato e trovato una fisioterapista e alcune infermiere. Le mie fisioterapiste e le mie infermiere si differenziavano dalle altre, perché loro erano sgradite non solo ad Alda, ma alla nonna stessa, era proprio la nonna, davanti a me, a dire: "Quella Elena! E insopportabile, non la voglio più vedere."

"Hai sentito? – commentava Alda – non le va. Non possiamo mica imporle una persona che non sopporta. Piero ti convincerai una volta per tutte che non è possibile trovare qualcuno che vada bene per tua madre. E cosí, è sempre stata cosí. Non fare quella faccia, vai a fare un giro con tua nipote, ci sto io."

Ci stava lei, ci stava sempre lei e lui non aveva che da fare quello che voleva, per lei andava bene cosí. Il fatto è che zio Piero non sapeva che cosa voleva fare e cosí la sua ora d'aria si era progressivamente ridotta, fino ad arrivare a zero o quasi. Non c'era nulla, nessuna occasione che sollevasse mai per più di mezz'ora dalla custodia della nonna, bisognava tornare oppure lasciarla alle cure di Alda, sola ed eroica, unica accettata.

A me era bastato ben poco per capire la situazione, era di un'evidenza solare nella sua perversità. Era vero certo che era la nonna a dire "quella li non la voglio più vedere" ed era sempre lei a lamentarsi quando Alda mandava via le cameriere. Ma il fatto è che alla nonna piacevano solo più le cameriere che stavano per essere licenziate da Alda. L'aria di vago timore incombente nella penombra della camera da letto, questo era il clima a cui la nonna era legata e Alda lo sapeva mantenere lei sola. Una cameriera non rimproverabile, disprezzabile, insultabile non avrebbe dato un senso di protezione e sicurezza alla nonna, anzi si sarebbe sentita sovrastata da una persona che non fosse stata un semplice zimbello imperfetto. Paradossalmente la nonna aveva paura delle mie fisioterapiste e in un certo modo di me e di mio padre, che non appariva mai, ma che era dietro le mie spalle. L'altra cosa che avevo capito, ma questa già la sapevano tutti, è che Alda non voleva nel modo più assoluto essere aiutata. Per mettere fuori combattimento le mie emissarie aveva seguito una tecnica semplice ed efficace (quella che usava sempre), era sparita del tutto, uscita da qualsiasi presenza accanto alla nonna, non aveva detto una parola su quali erano le sue abitudini e su come sarebbe stato meglio fare. La nonna si era sentita sola in mani efficienti, ma estranee, abili, ma all'oscuro dei suoi bisogni e questo aveva finito di renderla ansiosa, si sentiva minacciata. Alda la preveniva e lei non sapeva più di che cosa aveva bisogno. Avevo cercato di spiegare questo ad Alda e lei mi aveva guardato come se fossi matta e mi aveva detto: «Di' a tuo padre che se vuol guardare sua madre venga lui e non mandi qui né te, né quelle mezze cretine che ti porti dietro che venga, a lui insegnerò quello che serve a sua madre. Digli che gli farebbe bene e anche a tua madre occuparsi un po' di lei." Io avevo pensato una risposta chiarissima, avevo desiderato di dirle: "Ipocrita ricattatrice, ma se sei tu che non vuoi mollarla." Non l'avevo detto per viltà e anche perché ero convinta che ci fosse una via d'uscita. Avevo tristi presentimenti, ma ritenevo mio dovere dire la mia opinione anche a zio Piero. Era tutto troppo assurdo perché una chiara spiegazione non potesse risolvere il problema. Cosí avevo detto a zio Piero: "Zia Alda si occupa troppo della nonna e la nonna finisce di dipendere troppo da lei, questo nuoce a lei, a zia Alda, a te e a noi, rende le cose più difficili di quello che sono: provoca sofferenze superflue a tutti." Con mio stupore zio Piero aveva tutta l'aria di sapere queste cose già benissimo, infatti mi aveva risposto serenamente: "Hai ragione, è proprio cosí, ma spero che tutto cambierà tra meno di un mese." Ero molto contenta di aver avuto il coraggio di dirgli quello che pensavo ed ero molto contenta di sentire che zio Piero non solo considerava il mio punto di vista, ma aveva in animo di reagire e di superare quell'impasse. Il buon senso, mi sembrava, ancora una volta, aveva avuto la meglio. Zio Piero non mancava, come credevo inizialmente, di capire come stavano le cose e avrebbe voluto uscirne, ma quel che io non vedevo è che non ci sarebbe riuscito. Quel giorno stesso, quando io mi apprestavo a sciorinare tutte le possibilità, a fare tutti i calcoli sul contributo che i miei genitori avrebbero dato, le spese, il parere medico ecc. ecc., tutta presa dalla convinzione che agire è già la soluzione dei problemi, lui aveva aggiunto:

"La prossima settimana si deve presentare qui una persona che mi hanno raccomandato come particolarmente capace e penso che sarà proprio quella giusta. Alda le ha parlato ieri e le ha detto di presentarsi al più presto."

"Perché non le hai parlato tu?"

"Perché è Alda che se ne è sempre occupata ed è lei che deve trovare la persona giusta. Ma questa mi sembra proprio che andrà bene..."

La notte non avevo dormito e avevo deciso di andare a parlare a uno psichiatra, al professor A.R., era stato mio insegnante all'Università, ero stata per un periodo allieva interna e avevo avuto ottimi risultati con lui, avevo buone probabilità che mi ricevesse in fretta. Cosí era stato. Gli avevo spiegato che i miei genitori mi avevano affidato un compito superiore alle mie forze. "Dovrei occuparmi di mia nonna, in realtà la nonna non ha alcun problema, la situazione in cui si trova, invece, è patologica. La nonna è un ostaggio nelle mani di mia zia, mio zio è oggetto di un insostenibile ricatto morale e sta cadendo in depressione."

"Da che cosa l'ha dedotto?"

"Dall'aria rassegnata che mette nel dire: la situazione cambierà. Lo dice con gli occhi spenti di chi non ci crede più, lo dice per non dover reagire, è già abulico, assente. Si lascia trasportare da quel che capita e mente a se stesso."

"Ma è lui o sua zia la persona malata?"

"Diciamo che clinicamente è lei la malata, ma lui è drogato della sua malattia, ho la sensazione che non ne possa più fare a meno, ma che contemporaneamente stia arrivando alla saturazione."

"Lei è una nipote, non può intervenire, deve essere una persona estranea. Ne parli con il medico di famiglia, gli dica di indurre suo zio a venire da me. Anzi visto che io conosco il vostro medico, gli spieghi tutto per bene e poi gli dica di telefonarmi. A lui sarà relativamente semplice trovare un modo per prescrivere a suo zio una visita specialistica, una buona scusa può essere l'insonnia o la pressione alta e cosí via. Da parte mia le garantisco che sono pronto a ricevere suo zio non appena chiederà di vedermi."

Ero corsa dal medico curante. Avevo avuto la netta impressione che mi considerasse la solita giovane invasata di ottimismo e nuove teorie sull'origine psicosomatica delle malattie. Mi aveva ascoltata distrattamente, dicendo di tanto in tanto "lo so, lo so", scuotendo la testa. In realtà non gliene importava, pensava che erano faccende private che non lo riguardavano, non di competenza di un medico. Infatti, avevo poi saputo, che malgrado le assicurazioni che mi aveva dato, non aveva mai chiamato lo psichiatra. Aveva invece chiamato mio padre e mio padre aveva confermato che "Piero è fatto cosí, ha una testa." Insomma tutti avevano concluso che non c'era niente da fare dopo che io, io che ero stata mandata a vedere come stavano le cose, avevo detto, ripetuto e confermato che invece si poteva, anzi si doveva far qualcosa e subito. Del resto avevo la sensazione che se solo si fosse dato mano al problema era tutto noto alla scienza e poi non cosí difficile. L'intera famiglia ne avrebbe guadagnato, persino Alda che io non amavo di certo.

Ero tornata alla carica con mio padre, lo avevo rimproverato di aver sminuito la gravità della situazione con il medico; ero tornata dal medico a nome di mio padre e gli avevo dato altri elementi e più chiari, osservati nei giorni successivi. Infine ero tornata da mio padre e gli avevo raccomandato di sollecitare il medico. Tutto era chiarito, le cose di li a poco si sarebbero mosse. Invece nessuno ne ha fatto nulla. Quando qualche episodio rendeva più clamorosamente evidente la malattia di zio Piero, mio padre con tono preoccupato mi diceva: "Hai ragione, bisogna proprio far qualcosa." Io allora con ogni sforzo gli spiegavo come e perché e quel che si poteva fare. Mio padre annuiva compiaciuto della mia professionalità, ma non chiamava lui il medico per chiedergli di intervenire e non appena l'episodio acuto era finito, commentava: "Che cosa vuoi, Piero è sempre stato cosí, niente di nuovo."

"Non significa nulla che sia sempre stato cosí. È un accumulo che si sta verificando, non ho mai detto che ci sia qualcosa di nuovo."

Tutti mi davano ragione, per farmi contenta, oppure di tanto in tanto condividevano anche il mio punto di vista, ma le cose andavano avanti indisturbate ed è finita, come è finita. L'ultima volta che ho tentato di far intervenire il medico erano poco meno di otto giorni prima che... capitasse.

Intorno alla morte di zio Piero ci sono varie menzogne di famiglia. Tutti dicono che zio Piero è morto di leucemia, mentre in realtà si è avvelenato. È stato trovato esanime nel suo letto dal medico, chiamato da lui stesso. Era solo in città (la nonna e Alda erano nella casa di campagna) e lui gli aveva telefonato al mattino dicendo che non stava bene, se poteva andarlo a vedere verso sera. Alle sei il medico era giunto a casa, era salito, aveva suonato, nessuno era venuto ad aprire. Aveva bussato e allora si era accorto che la porta era aperta, accostata soltanto, era entrato lo aveva chiamato, lo aveva cercato e lo aveva infine trovato, morto da non più di cinque o sei ore. Erano state trovate tracce inequivocabili di veleno nel sangue e il veleno era la causa certa della morte. Tuttavia era anche stata rilevata una grave forma di anemia, forse una leucemia e questa era diventata la versione ufficiale della morte per la nonna e poi un po' per volta lo era diventata per tutti.

La verità è che lo zio Piero fisicamente stava benissimo, mentre soffriva di depressione nervosa, era già stato male alcuni anni addietro e al momento in cui mori era terribilmente depresso: tutti sapevano quanto ma nessuno voleva più parlare di questo. Troppi nodi avrebbero dovuto essere sciolti per poter davvero dare una mano a zio Piero. Del resto anche la prima volta che era stato male, la spiegazione era stata l'anemia; era cosí anemico e cosí indebolito dall'anemia che era sopravvenuta una depressione.

Il fatto è che nemmeno il suicidio è la vera causa della sua morte. Tutti avevano assistito al delitto, lo avevano presentito e previsto giorno dopo giorno, ma nessuno era riuscito a sventarlo, non c'era dunque da sorprendersi se ora nessuno riusciva a denunciarlo come tale.

Zio Piero era molto forte e questo lo rendeva un uomo dolce e sensibile. Era forte perché amava molte cose, erano tanti i motivi per cui stava al mondo, che non è proprio credibile che si sia ucciso.

Amava il suo lavoro intensamente, il suo lavoro era per lui una compagnia ricca di incognite e di sempre nuove attrattive. Le sue sperimentazioni nascevano dal desiderio di rispondere a tutte le sollecitazioni del lavoro e d'altro canto i risultati lo inducevano a nuove curiosità: una continua avventura.

Amava la letteratura e la musica; amava il cinema, conosceva tutti i vecchi film e tutti i nuovi.

Senza prevenzioni rivolgeva la sua attenzione alle vicende e alle persone più disparate: era amico di un petroliere americano, che aveva una villa in ogni grande capitale ma anche del posteggiatore del parcheggio accanto all'ufficio, che si era sposato con una ragazza madre che lo picchiava.

Prima di sposarsi aveva molti amici, più di mio padre e voleva molto bene a mio padre, malgrado lui fosse tollerante e gentile, mentre mio padre con lui (e non solo con lui) era insofferente e villano.

La fiducia e il coraggio di riuscire a godere la vita senza allontanarsi dalla generosità accattivante ma distruttiva di sua madre prima e di sua moglie poi, hanno perduto zio Piero.»

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