CAPITOLO XIII Il dottor W. racconta: Giulio Rinaldi

«Tengo a precisare che questa storia io non l'ho mai raccontata e non voglio che esca da questa stanza. Se ne parlo è perché ho fiducia nella vostra serietà e discrezione e anche perché sono certo, che è in grado di chiarire parecchi malintesi non solo di questa vicenda. Per capire la storia di Piero bisogna conoscere meglio Giulio e la vita sentimentale fra Giulio e Maria, tutti parlano di Maria, ma anche Giulio è stato importante per Piero ed Emilio. Era un uomo più complesso di quel che tutti quanti in famiglia fossero disposti a credere.

Le ragioni della morte di Piero, vanno ricercate nella storia dei suoi, nella distruzione morale, che tutti hanno fatto di Giulio Rinaldi, uomo che era stato messo in condizione di non poter insegnare sentimenti ai figli.

Di Giulio Rinaldi non c'è chi non parli male. Sono il solo ad aver conservato un buon ricordo di lui, l'ho spesso difeso con suo figlio Emilio e con molte altre persone. La sua storia e quella di Maria sono meno rare e meno strane di quanto le persone sono disposte ad ammettere. Almeno per la mia generazione tante coppie hanno avuto gli stessi problemi, per questo è comodo a tutti fingere che invece lui era una specie di bruto con sua moglie.

Correva dietro a tutte le gonnelle? Sí. Sfacciatamente e senza alcun ritegno? Sí, io non lo nego, ma non era sempre stato cosí: le persone finiscono per fare quello che gli altri si aspettano da loro. Non è stato cosí fin dal primo momento del suo matrimonio, Maria ha voluto convincersi di questo, l'ha detto e l'ha ripetuto finché le è parso vero, poi non è stato nulla convincere gli altri. La situazione si è evoluta in modo tale che per Giulio è stato più semplice essere un marito libertino che un marito respinto dalla moglie: questo è il punto.

La vicenda io l'ho seguita tutta, ho conosciuto bene i personaggi. Io ero medico di tutt'e due le famiglie ed eravamo amici da sempre.

Quando sono tornati dal viaggio di nozze. Maria era venuta da me, al mattino prestissimo, prima che andassi in ospedale. Mi aveva detto, con la testa bassa e la voce sconvolta che lei non era una donna normale, che io dovevo aiutarla a spiegare questo a Giulio che il loro matrimonio doveva considerarsi finito. L'avevo fatta sedere, era sul punto di perdere i sensi. Le avevo chiesto se mi spiegava che cosa voleva intendere per "non essere una donna normale", ma lei mi guardava senza rispondere.

Cosí le avevo detto che, a mio modo di vedere, non doveva stare a casa sua, ma andare via qualche giorno, da qualche parte, da un'amica. Io avrei cercato una persona adatta sufficientemente estranea da non metterla in imbarazzo, a cui avrebbe dovuto spiegare i suoi problemi. Le avevo dichiarato che non pensavo fosse nulla di grave, che non doveva prendere nessuna decisione affrettata e che mi sarei volentieri fatto carico io di spiegare a Giulio che aveva bisogno di un momento di riflessione. Conoscevo Giulio e potevo garantire che avrebbe capito, conoscevo anche lei ed ero sicuro che tutte le difficoltà sarebbero state superate. Lei si era un po' ripresa, mi aveva fatto un mezzo sorriso e aveva annuito: "Va bene facciamo come dice lei."

"Mi dia il tempo di parlare questa mattina con un collega, torni verso le cinque con Giulio, gli dica che non sono affatto preoccupato per la sua salute, tuttavia un periodo di cura è necessario. A lei dirò chi è bene che la senta, ci devo pensare un momento, dev'essere ben scelta la persona."

Maria annuiva e aveva, mano a mano che parlavo un aspetto meno drammatico. Come se si fosse tolto un terribile peso dalle spalle, si era appoggiata allo schienale della poltrona e mi aveva chiesto un po' di caffè. Dopo averlo bevuto e aver posato la tazzina sul tavolo, con calma si era alzata: "Allora ci vediamo stasera alle cinque." Ed era uscita.

Ancora oggi mi mangio le mani per l'errore che ho fatto con Maria, un errore imperdonabile. Non avrei mai dovuto lasciarla uscire senza accertarmi di dove andava, anzi avrei dovuto dirle di rimanere a casa mia, avrei dovuto cercare io Giulio.

Lei è uscita, non è andata da un'amica, come le avevo suggerito, ma dai suoi genitori e alle cinque non è mai venuta, né ha mai parlato con Giulio del colloquio che avevamo avuto.

Maria con me non ha mai più parlato di nulla, le rare volte che ci siamo ancora incontrati lei si mostrava gentilissima, tuttavia, in tanti anni, non ha mai più fatto allusione a nulla. Quando qualche influenza la costringeva a letto e io andavo a vederla mi aspettavo che un giorno o l'altro quella vecchia storia rispuntasse, tanto più che i segnali di disagio, non appena si metteva piede in quella casa, non mancavano certo.

Mi sono spesso detto che se il medico non fosse stato un amico forse Maria avrebbe trovato un aiuto più adatto, ma mi sono ugualmente detto che se non fossi stato un amico di casa Maria non si sarebbe rivolta a me affatto.

Mi sono chiesto cento volte se avrei dovuto comunque parlare a Giulio, beninteso non della visita di Maria, ma cosí, indirettamente portare il discorso sulla sua vita familiare. Eravamo molto amici, avevamo tante letture, tanti interessi in comune, ci vedevamo spesso, eravamo soci dello stesso club alpino..., cosí camminando... Invece non l'ho mai fatto. Vede non usava, non si parlava di mogli, di avventure e di amorazzi anche troppo, ma di mogli neanche una parola. Erano tempi di una riservatezza malata e sebbene fossi medico non godevo di maggior libertà di altri. La sola differenza è che di tanto in tanto me ne rendevo conto e mi chiedevo se avrei potuto fare qualcosa, ma la risposta era scontata quanto il rimorso e quanto un certo senso di inutilità del mio lavoro.

Giulio non mi aveva mai accennato a nulla, lo vedevo triste, si lamentava di mali di testa, di insonnia, ma uno dopo l'altro erano nati i bambini e la vita scorreva in quella come in chissà quante altre famiglie. Non mi aveva mai parlato di nulla fintanto che non era successo l'episodio, di cui ora vi dirò. Solo dopo quella sfortunata storia il mio amico Giulio, uomo sensibile e intelligente, era diventato cosí come adesso tutti lo descrivono. Perché so cosa dicono di lui: Giulio è stato per anni l'argomento preferito di tutte le beghine del paese. I comportamenti di Giulio, i suoi grossolani tradimenti, le sue relazioni volgari e chiassose, datano da un ben preciso momento.

In casa di Giulio e Maria c'era da anni, almeno sette o otto una cameriera. Lei era un'ottima donna e Giulio non certo il tipo da insidiare le domestiche, puritano insieme e altero, sicché i rapporti fra loro erano più che corretti. Del resto era Maria a occuparsi di tutto e la ragazza non aveva praticamente occasione per parlare con Giulio. Io la storia l'ho saputa quand'era ormai sul finire, nessun altro la sa, né Maria, né i figli, né le male lingue, è rimasta davvero segreta. I pettegolezzi sono cominciati dopo, con altre donne.

Una sera di settembre Giulio era venuto da me e aveva vuotato il sacco. Aveva esordito dicendo che mi doveva parlare come medico. Il suo matrimonio non era mai andato bene, sua moglie era frigida e detestava di essere avvicinata da lui. Aveva tentato di tutto con lei, non l'aveva toccata per mesi, sperando che lei si rassicurasse, l'aveva corteggiata in tutti i modi, l'aveva indotta ad accettarlo promettendole che se avesse avuto un figlio le cose per lei e fra loro sarebbero andate meglio. Si era illuso sempre di superare il problema, specialmente dopo la nascita di Emilio. Invece le cose erano inesorabilmente andate sempre peggio, le tensioni erano diventati litigi, sempre più frequenti sempre più violenti, finché una sera la sua rabbia era esplosa. Lei lamentava l'ennesimo malessere, lui le aveva dato due schiaffi, che avevano suggellato la fine assoluta dei loro rapporti.

Vivevano insieme per i figli, cosí diceva lui. Io ho avuto modo di pensarci: i motivi erano molto più complessi; per dire, c'era fra loro, malgrado tutte le apparenze una certa reciproca stima, rimasta come naufraga, dal tempo del fidanzamento.

È sempre difficile separarsi, allora poi, non usava affatto e tuttavia io sono convinto che nel loro caso non lo avrebbero comunque fatto. Forse non usava proprio perché erano in troppi a trovarsi in una situazione analoga alla loro.

Insomma, quali che siano le ragioni, la storia va avanti cosí.

Giulio mi racconta che la cameriera era al corrente di tutte le loro difficoltà. Se ne era subito resa conto, la cosa lo aveva urtato moltissimo: Maria stava ore chiusa nella camera da letto a parlare con lei. Giulio aveva detto alla moglie che pretendeva che la ragazza fosse licenziata. Maria aveva un attaccamento esagerato per la ragazza, era venuta con lei da casa sua e rappresentava il massimo di ciò che aveva potuto portare con sé, da quel luogo, che non aveva mai smesso di rimpiangere. Cosí la domestica si era aggiunta ai molti motivi di contrasto, che fra loro esistevano.

Giulio non poteva vedersela intorno, gli sembrava che lei stesse lí a sorvegliare se la signora era contenta o scontenta per poi riferirlo ai suoi antichi padroni. La ragazza n verità era molto discreta e non gli aveva mai dato motivo di pensare che i suoi sospetti fossero realmente fondati. Ansioso di eliminare almeno quei dissapori, che sembravano meno gravi, aveva finito di accettarla.

Del resto aveva dovuto ricredersi, non solo non era pettegola, ma aveva su Maria un'ottima influenza, sebbene Maria fosse sempre più triste e senza gioia, lei riusciva a farla ridere. In poco tempo era diventata l'unica speranza che Giulio avesse di riuscire a superare i suoi problemi con la moglie. Durante la difficile gravidanza, che aveva preceduto la nascita di Emilio, la giovane domestica aveva dimostrato grande sensibilità e intelligenza nell'assistere la sua padrona ed era di fatto diventata l'intermediaria nei rapporti fra marito e moglie. Si tratteneva nella stanza quando Maria era particolarmente turbata e difficile, si ritirava in camera sua, quando le sembrava che Maria volesse un momento di piena intimità con suo marito.

Malgrado l'affettuosa sollecitudine con cui aveva vegliato sulla felicità della sposa, i suoi sforzi non avevano avuto successo. Sempre discreta e attenta, aveva cominciato a mostrarsi sfiduciata e un giorno in cui Maria era rimasta chiusa dal mattino alla sera in camera sua con una terribile emicrania, guardando Giulio dritto negli occhi gli aveva detto: "Non so che cosa fare, mi dispiace."

Quasi come se si sentisse responsabile del fallimento dei suoi buoni uffici con Maria, aveva distolto un po' della sua attenzione da lei per occuparsi di Giulio. In quella famiglia mancava l'armonia, ma non certo i soldi e Giulio aveva acquistato l'appartamento confinante con la stanza degli ospiti dove si era trasferito. Sebbene la porta d'ingresso dell'appartamento fosse rimasta una sola Giulio viveva per conto suo, aveva un salotto, un grande studio, un bagno. Maria non credo sia mai entrata in quell'ala della casa dopo che era stata ingrandita, se l'era messa su Giulio, con un certo piacere, perché Giulio aveva sensibilità per gli oggetti. Giulio non poteva rimanere in casa ad aspettare l'imbianchino, il tappezziere, il falegname cosí aveva preso l'abitudine di spiegare alla ragazza quel che voleva fosse fatto, le lasciava tutte le disposizioni e poi usciva. Alla sera lei gli diceva quel che era accaduto e cosí era stato tutto quanto ottimamente sistemato. Era capitato più di una volta che ci fossero dei contrattempi e che gli ordini lasciati, per un motivo o per l'altro, non potessero essere osservati, la ragazza se l'era sempre cavata, trovando delle soluzioni che incontravano l'approvazione di Giulio. Giulio era rimasto colpito dall'intelligenza e dall'interesse che la ragazza manifestava, ma ancor più dal rapporto di confidenza e di profonda conoscenza dei suoi gusti e delle sue idee, che si era stabilito tra loro, senza che né lui, né la ragazza se ne rendessero conto. Aveva ben presto capito che i lunghi anni di consuetudine, la conoscenza di tutti i momenti della sua intimità, che giustamente l'avevano preoccupato a suo tempo, avevano fatto di lei una persona diversa da una domestica.

Finiti i lavori di muratura e imbiancatura, era iniziato l'arredamento. Maria si teneva lontana da quelle camere, quasi temesse di ridurre le distanze e mandava in giro la domestica a cercare stoffe, mobili, tende. La ragazza felice dell'incarico, andava veniva, portava a casa i campioni, con la certezza quasi assoluta che Maria le avrebbe detto: "Scegli un po' tu, andrà benissimo."

Le stanze erano diventate davvero splendide, profuse di un gusto chiaro, si erano riempiti di colori, di fiori stampati, di piante, che Giulio non avrebbe mai scelto per sé: proprio per questo le stanze avevano cominciato a sembrargli accoglienti e ogni sera tornava a casa curioso di vedere quale nuova idea era venuta alla ragazza. Lei per parte sua chiedeva sempre meno a Maria. Ben prima che tutto l'arredo fosse stato completato, sia Giulio che la ragazza si erano resi conto del legame affettivo che si era stabilito fra loro. Lui desiderava sempre più tornare in quella casa e lei aspettava ansiosamente che tornasse. Giulio non aveva negato a se stesso come stavano le cose e aveva pensato che sarebbe stato molto più prudente interrompere quei rapporti, ma il piacere di essere accettato aveva finito di prevalere e non aveva saputo rinunciare. Per lungo tempo tuttavia le cose erano rimaste in quei termini. Tornava a casa e cercava i messaggi dell'attenzione di lei: i fiori freschi nel vaso, la fodera nuova del sofà, la posta sul tavolo dello studio con qualche dolce accanto. Non era passato molto tempo e al desiderio di avvertire la sua presenza e i segni del suo interessamento, si era aggiunto il desiderio di vederla e la consapevolezza che la ragazza era anche piuttosto bella. Se il suo gusto si era affinato nello sforzo di ornare la casa, non si era meno accresciuta la sua capacità di vestirsi e di muoversi con eleganza. Il suo severo abito nero da lavoro, il suo grembiule a righe sembravano diversi, si era attorcigliata la lunga treccia intorno alla testa, scoprendo il collo sottile lungo e bianco. Lui aveva finito di comprare due orecchini di corallo rosso e di lasciare la scatoletta aperta sulla scrivania dove lei li aveva trovati portando la posta.

Spesse volte alla sera arrivava tardi, Maria si coricava senza cenare: "Quando arriva mio marito gli porti la cena di là." Giulio arrivava: "La signora riposa, ha detto di scusarla, ma non si sentiva bene."

"Mi prepari qualcosa da mangiare e me lo porti nello studio."

Lei rimaneva a tenergli compagnia e lui avrebbe potuto far l'amore con lei – sono convinto.

Troppi erano i coinvolgimenti affettivi che aveva con lei per poterla considerare un'avventura ancillare come non ne mancavano certo al tempo e sebbene l'attrazione verso di lei fosse sempre più forte, Giulio per un verso non osava andarci a letto, ma non osava nemmeno allontanarsene.

Le cose andavano avanti in questa sorta di ovattata tensione sensuale da diversi mesi, quando una sera in cui era rientrato tardi Giulio aveva trovato la cena nel suo studio e un biglietto di Maria: era stanca, si scusava ed era andata a letto, la domestica non c'era, le aveva chiesto di andare qualche settimana al paese, sarebbe tornata per la villeggiatura, nella casa di campagna.

È inutile dire che Giulio era rimasto male a quella notizia, ma nello stesso tempo avvertiva in quella fuga improvvisa un'intenzione precisa, un disegno della ragazza. In tutta la storia quello che lo attraeva inesorabilmente era proprio il fatto che fosse lei a decidere, lei a predisporre le tappe dei loro rapporti, lei a prendere l'iniziativa. Certo avrebbe potuto sottrarsi al gioco una volta per tutte non andando in campagna e tutto sarebbe finito li. Lui in campagna invece c'è andato.

Erano arrivati dalla città tutti insieme, nella casa accanto a quella degli Albanese, dove lei signora è stata. Dopo aver messo ordine, con l'aiuto di una vicina, Maria con i figli se n'era andata, come ogni anno, qualche giorno da un'amica, a 40 km. nella valle di fronte.

Giulio, due giorni prima del ritorno di Maria era seduto in giardino a leggere e l'aveva vista apparire in fondo al viale, con una valigia a fiori che Maria le aveva regalato. Aveva un vestito nuovo, di quella stoffa nera a piccoli disegni, come portano tutte le donne in campagna, curata malgrado il viaggio, bellissima. Era salita nella sua stanza e vi era rimasta fintantoché Giulio era rientrato dal giardino e si era messo a lavorare nel salotto a pian terreno. Quindi era scesa e aveva cominciato a girare per le camere controllando che tutto fosse in ordine. Subito Giulio aveva ritrovato il senso di piacere e di quiete che gli procurava il suo modo di muoversi, il suo modo di conoscere e animare la casa. Non era certo la serva-padrona, era una persona che si era affacciata dentro di lui, gli aveva visto l'anima e sapeva cosa fare per dargli un insospettabile senso di sicurezza. Ben poche parole erano corse fra loro, era un amore, non so come dirle, di presenza.

L'aveva sentita passare di stanza in stanza finché era arrivata al salotto, aveva spinto la porta, era apparsa in controluce, era entrata senza chiedere permesso, come a un certo punto aveva cominciato a fare, senza arroganza, ma con sicurezza. Silenziosa nelle sue pantofole di feltro aveva rassettato intorno, chiuso le persiane e le tende ed era andata in cucina a preparare la cena

Aveva preparato nella veranda: "È tutto già in tavola, se lei me lo consente vorrei usare la stanza da bagno e poi ritirarmi." Giulio aveva alzato gli occhi per risponderle e solo allora si era accorto che la ragazza aveva i suoi orecchini di corallo. Quando li aveva lasciati sulla scrivania semplicemente non li aveva trovati più, lei non gliene aveva mai fatto parola. Le stavano molto bene e guardandola, aveva colto sul suo viso un'espressione di ironia.

"Va bene – aveva risposto – vada pure."

Il bagno era al piano di sopra, bisognava riempire di legna il fornello di una piccola caldaia di rame, accendere il fuoco scaldare l'acqua. Giulio aveva fatto in tempo a cenare, mentre lei saliva e scendeva e quando lui se n'era tornato in salotto a leggere lei era entrata nel bagno. Il salotto era proprio sotto la stanza da bagno e Giulio sentiva chiaramente l'acqua sciacquettare nella vasca, tanto bene la sentiva che si era convinto che lei avesse lasciato la porta del bagno aperta. Giulio dopo un'ultima esitazione e un ultimo rimorso, aveva appoggiato il libro sul tavolino e aveva cominciato a salire la scala; la scala era di legno e scricchiolava, non aveva fatto che qualche gradino, quando aveva sentito lei balzare dalla vasca e precipitarsi a chiudere con due giri di chiave la porta. Era rimasto di stucco, incredulo e aveva avuto la sensazione spiacevole di aver frainteso tutto fino a quel momento. Era tornato sui suoi passi e affondato nella poltrona al buio si domandava se non avrebbe dovuto parlare con la ragazza e che cosa avrebbe dovuto dirle. La porta del bagno si era riaperta, passi rapidi avevano salito la scala, un'altra porta si era aperta e due mandate secche l'avevano inequivocabilmente richiusa.

Giulio era rimasto due ore seduto in salotto, confuso, turbato, nel vano tentativo di calmarsi, deciso a partire l'indomani. Alla fine era salito nella sua stanza, aveva spalancato la finestra perché l'aria fresca della notte lo aiutasse a prendere sonno e si stava spogliando quando al vago chiarore notturno aveva visto brillare qualcosa sul letto: era il fermaglio d'argento che, quale unico indumento tratteneva qualche ciocca dei lunghi capelli sciolti della ragazza. Lei era lí, morbidamente distesa, la testa appoggiata sulla mano che lo osservava e lo aspettava, come fossero stati amanti da sempre. E per due giorni davvero non erano stati niente altro che amanti.

Allo scadere del secondo giorno, quando l'arrivo di Maria era imminente, lei aveva detto a Giulio che sarebbe ancora rimasta per due settimane, Maria le aveva chiesto di tornare, non voleva che Maria sospettasse di loro, poi se ne sarebbe tornata al paese definitivamente. Non poteva rimanere in quella situazione.

Nemmeno Giulio pensava che potesse più vivere in casa, tuttavia le aveva proposto una sistemazione in città, un lavoro e una possibilità in un futuro, che non poteva essere immediato, di vivere insieme. La ragazza aveva risposto che doveva riflettere e tornare dai suoi poi avrebbero deciso sul da farsi, insomma non aveva detto né si né no, ma lui era convinto che accettasse. Se ne era partito prima che Maria arrivasse, come ad entrambi era parso bene.

Alla fine delle vacanze lei aveva fatto i bagagli e se ne era andata al paese, come previsto.

L'accordo con Giulio era che di li a quindici giorni si sarebbero incontrati a M. e avrebbero deciso la sistemazione di lei.

Una settimana circa era passata dacché Maria e i figli erano tornati in città, quando a tavola una sera lei aveva detto: "Mi dispiace che se ne sia andata, speriamo che abbia fortuna, oggi credo si doveva sposare." Giulio lí per lí aveva pensato che forse questa era la scusa addotta con Maria per spiegare il suo allontanamento, tuttavia man mano che il tempo passava, diventava più inquieto e dubbioso. Sebbene tutto sconsigliasse una simile mossa, il giorno seguente decise di andare a vedere che cosa ne era di lei, al suo paese. Era andato diritto in parrocchia e aveva chiesto dove abitava la famiglia G. "Abitano in quella casa lí di fronte, ma non ci sono, sono andati a P. per il matrimonio della figlia e sono rimasti dai loro parenti, torneranno domani. Era una mia parrocchiana la figlia, ma si son voluti sposare nella parrocchia dello sposo."

"Parla della figlia maggiore?"

"Sí, lei. La conosce?"

"Conosco tutta la famiglia."

"Sono andati in Veneto, lui non è di qui."

Una settimana dopo lei si era presentata all'appuntamento, credo che abbia rischiato la vita, Giulio era fuori di sé, hanno avuto una lite di cui a distanza di anni Giulio parlava ancora con visibile alterazione. Dopo che lui l'aveva insultata e picchiata, lei era riuscita a dirgli che era venuta non certo con l'intenzione d'ingannarlo, ma proprio per metterlo al corrente di come stavano le cose. Per i rapporti fra loro non c'erano speranze. Lei non sarebbe stata una persona libera se accettava di diventare la sua mantenuta. Forse sarebbe stata meglio, ma non avrebbe mai avuto la piena certezza della sua stima. Lo amava molto, proprio per questo non accettava, le cose potevano andar bene fra loro solo da clandestini, cosí era stato ed era stato bello, ma non era possibile null'altro, qualsiasi sistemazione avrebbe alterato i loro rapporti senza rimedio. E poi lui non sarebbe mai riuscito a lasciare sua moglie, né lei voleva che ciò accadesse.

Le sue parole erano state persuasive, la sua presenza aveva fatto il resto e la scena si era chiusa con un addio di rara passione.

A quel punto Giulio è venuto da me veramente in cattivissimo stato. Per molte sere consecutive si era presentato alla mia porta dopo il lavoro, cenavamo insieme e poi uscivamo a spasso e lui mi raccontava e mi raccontava, senza mai ascoltare le mie risposte. Era stato di nuovo al paese a cercarla, lei terrorizzata, gli aveva detto se voleva rovinarla con suo marito e con la sua famiglia e l'aveva supplicato di andarsene e di lasciarla in pace. Le aveva scritto un biglietto pregandola di venire in città e lei non aveva risposto e cosí via, nell'affanno e nell'angoscia.

Un po' alla volta qualche frase ero pur riuscito a dirla e il soliloquio si era gradatamente mutato in discussione. Ero riuscito infine a dirgli che malgrado una certa crudeltà di modi, la ragazza non aveva avuto torto, era molto realistica.

Il suo umore andava ad alti e bassi, ma non riusciva a rimettersi, era fieramente innamorato di quella donna e devo dire, non senza motivo.

Una sera Giulio era arrivato da me improvvisamente allegrissimo, era lí mi aveva spiegato, per supplicarmi di fargli un favore, un favore che solo io potevo fargli; mi sarebbe stato grato per la vita se glielo avessi fatto. Voleva fare un ultimo tentativo con la ragazza, se anche questo fosse fallito avrebbe rinunciato a lei.

Da giovane io andavo a caccia e conoscevo tutti nei paesi intorno a T, avevo curato contadini, proprietari, guardiacaccia e bracconieri e conoscevo anche i familiari della domestica dei Rinaldi e quando stava per nascere Emilio, Maria mi aveva chiesto di visitare la ragazza perché voleva essere sicura che non avesse la tubercolosi, prima di affidarle il neonato, cosí conoscevo anche lei. Avrei potuto – mi spiegava Giulio – avvicinarla senza destare alcun sospetto e avrei potuto parlarle a nome suo. Avrei dovuto ripeterle tutte le sue offerte e garantirle l'onestà dei suoi sentimenti verso di lei. La ragazza si sarebbe resa conto, se ero io a parlarle, che lui, Giulio non esitava a impegnarsi verso di lei di fronte a una persona estranea e di tutto rispetto com'era un medico amico anche dei genitori di lei. Potevo raccontare tutto quello che sapevo di lui, anche la sua disperazione.

Dapprima mi sono rifiutato, non volevo fare il ruffiano, santo Cielo, e poi mi sembrava tempo perso, una bambinata da parte di Giulio, infine ero amico di Maria. "Ma in che razza di storia mi vuoi trascinare!" gli avevo detto. In un secondo tempo, di fronte allo sfascio affettivo che la vicenda aveva prodotto in Giulio, ai suoi pianti infantili senza pudore, avevo accettato di parlare con lei a condizione di dirle di mia testa quello che giudicavo più opportuno e non come semplice latore di un messaggio.

Non era stato difficile trovarla e, poiché ricevevo pazienti una volta alla settimana nel paese accanto al suo, non mi era stato difficile dirle di venire nel mio studio, che avevo bisogno di parlarle privatamente di un argomento che la riguardava. Lei mi aveva guardato con occhi molto inquieti e io l'avevo subito rassicurata: al mio studio non avrebbe trovato nessun altri che me e la cameriera che apriva la porta.

Era venuta. Colorita e fresca come le ragazze di campagna, elegante e sofisticata per il lungo soggiorno in città; un viso aperto, mi guardava diritto negli occhi, con un'espressione indagatrice e battagliera: una donna di grandissimo fascino.

Non avevo fatto preamboli, subito le avevo detto che ero al corrente, in forma ovviamente segreta nella mia qualità di medico, della sua relazione con Giulio e dei problemi familiari di Giulio. Non era mio compito né approvare, né disapprovare, troppo personali erano tutte le storie, io non intendevo darle suggerimenti, la volevo solo informare di un fatto di cui forse lei non aveva modo di rendersi pienamente conto. Il comportamento e le proposte di Giulio non potevano essere considerate dei propositi corruttori perché erano accompagnati da sentimenti profondi e non da intenti volgari. Certo, la situazione era quella che era, lui non poteva proporle niente di meglio di quel che le aveva proposto, ma era onesto. Sa il Cielo se non credevo a quello che dicevo.

Lei era visibilmente emozionata nel rispondermi, le tremava la voce, era pallida, ma il tono era deciso e i suoi pensieri scorrevano chiari. Non aveva mai dubitato che lui fosse onestissimo, né mai aveva pensato che volesse approfittare di lei, ma la situazione era assai più complicata di quello che lui fosse disposto a capire. Non c'era frode da parte sua, ma questo non le avrebbe impedito di trovarsi in una situazione insostenibile, una situazione, che aveva imparato a conoscere in tutti quegli anni e di cui lei si rendeva conto molto meglio di lui.

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