SCENA III.

Gli stessi, un Servo, poi il Cav. Respighi

Servo — (annunciando) Il cavalier Respighi.

Elena — (meravigliata) Respighi?

Ippolito — E di dove arriva?

Elena — Chi lo sa? (fa un cenno al servo che esce)

Adriana — (a Ippolito, in disparte) Lohengrin?

Ippolito — No: Parsifal, suo padre.

(Il cav. Respighi, uomo d’età, dal portamento ostentatamente giovanile, entra).

Elena — Ben tornato, cavaliere!

Respighi — (baciandole le mani) Grazie! Grazie!...

Ippolito — Tornato quando?

Respighi — A Milano iersera. Qui nel pomeriggio.

Elena — Cinque mesi!

Respighi — Sei, signora. Anzi, più esattamente, sei e dieciotto giorni.

Ippolito — Cinque per guarire dalla malattia, il sesto più i dieciotto giorni per la convalescenza.

Elena — (presentando) Adriana Lauri, mia amica d’infanzia.

Respighi — (baciandole la mano) Lauri?... Adriana Lauri?... (consultando un suo taccuino di note) Io ho avuto l’onore di esserle presentato da suo marito quattro anni fa. Ci siamo rivisti per poche ore a Berlino... il sette aprile del 1919: feci colazione in casa loro.

Adriana — (un poco confusa, come chi non ricorda) Ah! è vero. Ora ricordo benissimo.

Respighi — Lei non è obbligata a ricordare. Ma è mio dovere e mia gioja ricordarla.

Ippolito — Il cavaliere ha una memoria di ferro, ma un cuore di burro.

Respighi — No, scusi, con l’esperienza, se non con l’età, il cuore è diventato di marmo. (fissando Elena) Oramai sono guarito. Guarito!

Elena — Se ne vanta? Badi che potrei esserne offesa!

Respighi — Dal momento che un tempo s’è tanto difesa!

Ippolito — Ben parata! Ritrovo il vecchio soldato, eroico anche con le donne.

Respighi — E della più bella forma di eroismo....

Ippolito — Già: la fuga.

Adriana — È vero! Ora ricordo benissimo: anche a Berlino lei rimpiangeva.

Ippolito — È la sua malattia.

Respighi — Che debbo farci se m’innamoro facilmente.

Adriana — Stare alla larga dalle donne.

Respighi — Sono, pur troppo, le donne che stanno alla larga da me. Sicuro! Appena svelo a qualcuna i miei sentimenti, è fatta. E poichè non mi sento compreso, afferro le mie valigie e parto. Resto assente qualche mese e torno risanato. Non c’è niente di meglio, per dimenticare.

Ippolito — Il cavaliere diventa il commesso viaggiatore delle proprie illusioni. Ad ogni tappa getta dal treno o dalla cabina di bordo un piccolo ricordo. E viaggia e butta, e butta e viaggia...

Respighi — Mi risento libero.

Ippolito — Fino alla prossima occasione.

Adriana — Sicchè, lei, deve aver molto viaggiato.

Respighi — Sì, signora, molto, e ho imparato molte cose.

Elena — Eccetto la principale: non innamorarsi più.

Ippolito — Ma questo gli è indispensabile per tornare in viaggio e impararne delle altre.

Respighi — Perfettamente. Ora, per esempio, sono stato in Olanda.

Elena — Davvero? Racconti.

Respighi — Molta pace, belle donne, ottimo latte, troppo formaggio.

Ippolito — (ad Adriana) Vede come è sobrio ed efficace? In tre parole dipinge tutta l’Olanda.

Adriana — Che angolo di mondo le è ancora ignoto, cavaliere?

Respighi — Non conosco l’Africa, per esempio.

Ippolito — No? Signora Adriana, tocca a lei di colmare questa lacuna. Lo mandi alle caccie grosse, se non preferisce diventare la sua preda.

(Si picchia alla porta di destra).

Elena — Ce li eravamo dimenticati!!

Respighi — Chi sono?

Ippolito — Le nove muse ridotte a tre per economia.

Elena — (correndo ad aprire) Fatto?

Alberto — (entrando) Un capolavoro!

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