SCENA IV.

Alberto, Remigio,i precedenti

Elena — E Tommaso?

Alberto — È di là. Alla seconda quartina russava, esaurito dallo sforzo di aver collaborato alla prima. (vedendo Respighi, con comico terrore) O Dio! Il cavaliere?... Qual buon vento?

Respighi — (serrandogli la mano) Vento di calma, naturalmente.

Remigio — È possibile? Il cuore sarebbe tornato alle sue pulsazioni regolari?

Ippolito — Un orologio!

Remigio — Congratulazioni o condoglianze?

Respighi — Scelga lei. Per me è indifferente. Certo che la lezione che mi avete dato è stata così salutare che io non avrei che una sola aspirazione ormai. Posso esporla?

Ippolito — Le sue aspirazioni mi fanno paura. Tuttavia sentiamo.

Respighi — Ecco qua: un giorno il mio vecchio cuore ha creduto di rifiorire al raggio di tanta bellezza e di tanta bontà (indica Elena che fa un inchino esagerato).

Ippolito — (ad Alberto) Questo è un poeta!

Respighi — (continuando) Ma non sapevo che la conquista, intendo la pura, la legittima conquista con tanto di altare e di sindaco, non solo era per sè stessa difficile ma resa impossibile da una piccola schiera che mi sbarrava il passo in nome di una ferrea alleanza, e mi combatteva con la più velenosa delle armi: il ridicolo. Ebbene, sì. Vi siete molto divertiti alle mie spalle, e avete avuto ragione. Ho resistito fin che ho potuto, e ho avuto torto.

Ippolito — È un «confiteor» addirittura!

Respighi — Non altro che un «confiteor». Tanto che ora, fatta pubblica ammenda delle mie colpe, domando d’unirmi a voi nell’ideale comune della demolizione di ogni pretendente che osi stendere la mano rapace per ghermire una manina così sottile, così morbida e così bianca (prende religiosamente la mano di Elena e la bacia mentre tutti prorompono in un applauso).

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