SCENA V.

Tomaso, i precedenti

Tomaso — (entrando rapidamente, ancora mezzo assonnato). Unisco al vostro il mio plauso sincero, anche se i primi versi sono miei.

Ippolito — Ritira l’applauso: l’inno non è ancora approvato. Qui si applaude al disinteressato proposito del cavalier Respighi il quale domanda di passare nelle nostre file, visto che nelle sue non si vince, ma si muore.

Tomaso — (stupito) Come dice? (a Respighi) Lei?... E di dove viene??

Respighi — (stringendogli la mano) Buona sera. Dall’Olanda.

Tomaso — Non mi so orizzontare.

Ippolito — Non importa. (a Respighi) Circa la sua domanda, penseremo, cavaliere. Non si può deliberare così su due piedi, ma forse stasera stessa prenderemo una decisione.

Respighi — Posso almeno sperare?

Ippolito — (dopo un istante di esitazione, con comica generosità) Speri!... Ora ben altre cure mi attendono. Devo giudicare un poeta (ad Alberto) Dammi.

Alberto — (consegnandogli i fogli) Invocando clemenza!

Ippolito — Vedremo se sarà il caso.

(siede presso la veranda. Tutti si raggruppano intorno a lui, che verrà leggendo di mano in mano i versi. Alberto siede in primo piano della scena. Adriana, al suo insistente richiamo, lentamente, gli si avvicina).

Alberto — Aspetto la sentenza stoicamente.

Ippolito — (agli altri) Statemi attenti. Qui, tutti intorno.

(leggendo).

«La tristezza non alberga

nella casa di Susanna...»

Bella scoperta! E Susanna chi sarebbe?

Elena — Io, naturalmente.

Alberto — (voltandosi) È un’immagine biblica.

Ippolito — Perbacco! Che profondità!... Andiamo avanti. (ad Alberto) Ti prego di non interrompere se non quando sarai interrogato, (leggendo):

«Ma il suo cuor, la sua capanna

non vi devono tentar»:

Questa non c’è male, (leggendo):

«Dei suoi pranzi, dei suoi vini,

di sue grazie, dei suoi vezzi

prelibati, rari e fini

siamo i soli proprietar....!!»

Ah! questa è un disastro! I vezzi prelibati?... E poi questa affermazione di proprietà... sdrucciola...

Respighi — (subito, correggendo) Tronca, tronca!

Ippolito — Tronca... Ma è volgarissima lo stesso. Bisogna accomodare... (si dispone al lavoro seguito attentamente dagli altri che di tanto in tanto ridono e commentano)

Adriana — (sedendo vicino ad Alberto) Amico mio, temo che tartasseranno il suo parto!

Alberto — Vuol essere lei la levatrice delle mie pene?

Adriana — Me ne indichi il modo.

Alberto — Subito: a patto che mi segua fino in fondo.

Adriana — E la via sarebbe?

Alberto — Un precipizio.

Adriana — (ridendo) Non ci mancherebbe altro.

Alberto — Cos’è? Ha paura dei precipizi? Ma se sono l’unica cosa interessante della vita! I precipizi morali, intendiamoci. Ossia i precipizi nei quali la morale, naturalmente, precipita.

Adriana — Alberto, non cominciamo, o raggiungo gli altri (fa per alzarsi).

Alberto — (afferrandole la veste) Sieda, o strappo.

Adriana — È pazzo?

Alberto — Sì. Voglio farle sentire tutta la mia pazzia. Mi ha esasperato con la sua freddezza, stasera.

Adriana — Non freddezza, tristezza.

Alberto — Per me, sopratutto. Domattina lei parte... e io ho tanto bisogno di parlarle.

Adriana — Parli.

Alberto — Qui? È impossibile.

Adriana — E dove?

Alberto — Più tardi, in camera sua.

Adriana — Ma sa che la sua audacia è incredibile?

Alberto — Lo so. Ne sono stupefatto io stesso. Eppure lei deve, deve aspettarmi.

Adriana — (alzandosi c. s.) Questo mai! questo mai!!

Alberto — (trattenendola c. s.) Sono cinque anni... che devo parlarle, e non ho mai avuto il coraggio. Trovo, non so come, il coraggio, e lei mi vorrebbe respingere?

Adriana — Cinque anni?

Alberto — Sissignora, cinque anni. Non ricorda?

Ippolito — Così mi pare che andiamo meglio. Vediamo in seguito:

«Perchè soli, nell’inverno,

saria cosa da morir».

Questa è la Bohème, (accennando) «Soli d’inverno è cosa da morire!» Tale e quale...

Alberto — (continuando) Non ricorda?... Il coraggio m’era venuto improvvisamente quella sera... quando non c’era più tempo. Lei sposava, partiva, se ne andava lontano! Chissà quando ci si sarebbe incontrati!... Ora la ritrovo, più bella, più affascinante, più donna... Mi sconvolge il cuore, il cervello, i sensi, tutto mi sconvolge! Non deve dirmi di no! Non si rifiuta l’acqua a chi ha sete. Compia quest’opera di misericordia! Ho tanta sete!

Adriana — Lei è pazzo! È pazzo!

Alberto — Perchè? Che le costa?

Adriana — Può costarmi la pace.

Alberto — E non crede preferibili i tormenti dell’amore alla serenità del focolare domestico?

Adriana — Per voi uomini, forse. Ma in noi resta una macchia che non si lava!

Alberto — Non è vero. Si lava benissimo! Si lava al punto che nessuno se ne accorgerà!

Ippolito — (le mani nei capelli) È un colmo... Sentite!... Sentite che roba: (leggendo)

«Chi per caso lo tentasse

ne uscirebbe sì mal concio

che l’Agente delle tasse

sarien rose in suo confronto!».

Tutti — Ah!... Non si va più in là.

Ippolito — E poi, a parte il barocchismo dell’immagine, vi invito a fermarvi su quel tentativo di rima! È di un’audacia incredibile!... Malconcio e confronio!... Una delle due: bisogna decidersi o per malconto o per confroncio. Non ci si scappa!... (risate e commenti)

Alberto — (incalzante) Badi! Sono alla fine, mi risponda, mi dica che mi aspetterà.

Adriana — (sconvolta, vacillante) Come lo potrei?

Alberto — Lasciando l’uscio socchiuso...

Adriana — (c. s.) No!... No!...

Ippolito — (leggendo)

«Ma nessuno può negare

che Susanna è idolatrata

dalla piccola brigata,

per le doti sue preclare».

Elena — Aggiungo due versi e mi ritiro!

«L’eccessiva mia modestia

m’impedisce di ascoltare!»

(si stacca dal gruppo. Vede Alberto e Adriana che parlano sommessi e s’avvicina tendendo l’orecchio e ascoltando).

Alberto — Non dite niente. Non voglio una risposta. Ma aspettatemi nella vostra camera. Appena gli altri saranno a letto, verrò... Sarà la gioja, sarà la vita!... Ed ora alzatevi... No, non smarrita così... con energia, con forza... (Adriana s’alza macchinalmente come se ubbidisse a una suggestione) Sorridete!... Ma no!... Non quella smorfia! Il vostro bello, chiaro sorriso!... Su! Camminate! Brava! così!... (Adriana s’avvicina al gruppo che risale la scena; Alberto cava di tasca un fazzoletto e si terge il sudore) Ce n’è voluto! Ma è mia!... È mia!... (s’alza, si volta, si trova faccia faccia con Elena che lo fissa, e cambiando tono) Soddisfatta, signora?

Elena — (a doppio senso) Moltissimo!

Alberto — Meno male! Non ho lavorato per niente!

Ippolito — (tendendogli la mano) Non ti credevo capace di tanto.

Alberto — Sono capacissimo anche di peggio...

Elena — (c. s.) Credo anch’io.

Alberto — (continuando) Ma vi confesso che i vostri elogi, così largo consentimento, tanta spontanea ammirazione, mi hanno, mi hanno, mi hanno... come dire?

Ippolito — Non dir niente. Calmati.

Elena — Uno sforzo di fantasia come questo, per lei è senza dubbio un grande sforzo. Vuole una tazza di tè?

Alberto — Grazie no, altrimenti non dormo. Sono stanco, molto stanco. Questo sì.

Elena — Me l’immagino, poveretto! (agli altri) Amici miei, ora che abbiamo consacrato un poeta, non dobbiamo dimenticare che la nostra cara ospite, domattina, deve partire con il primo treno.

Respighi — (timidamente) Io desideravo solamente sapere, prima di andarmene, se la mia proposta è o non è accettata.

Ippolito — (ad Elena) Una guardia di più non le fa paura?

Elena — Sarà la più debole.

Respighi — È ingiusta. Io le ho dimostrato tutta la mia forza.

Ippolito — (completando) D’animo, non fosse altro. In tal caso, la cerimonia si compia. (Va a destra, chiamando) Uomini della cucina! A me un altare!

Adriana — (ad Elena, ridendo) Chi chiama? Che fanno?

Elena — Ora vedrai...

Ippolito — La messa nera!

Elena — (indicando il vecchio cuoco Ariberto che entra) Eccolo qua.

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