SCENA V.

Ippolito, poi Alberto

(Ippolito, rimasto solo, siede, accende una sigaretta e, seguendo un pensiero intimo, s’abbandona a cantarellare l’aria dell’«Attila»

«Tardo per gli anni e tremulo

È il regnator d’Oriente...

Siede un imbelle giovane

Sul trono d’Occidente...»

(Vladimiro rimette a posto le tazze, lasciando sul tavolino quella pulita per Alberto. Di tratto in tratto s’arresta meravigliato ad ascoltare il canto sconclusionato di Ippolito. Quando questi è giunto alle ultime parole: «Resti l’Italia a me...» Vladimiro esce, mentre Alberto appare sulla terrazza).

Alberto — (muove lentamente verso il tavolino. Ha l’aspetto raggiante ma preoccupato).

Ippolito — Oh! Sei sveglio?

Alberto — E gli altri?

Ippolito — Se ne sono andati in questo momento.

Alberto — (sedendosi e versandosi il caffè) E tu?

Ippolito — Mi vedi: sono qui. T’aspettavo. Devo parlarti.

Alberto — A me?

Ippolito — Precisamente.

Alberto — Perchè?

Ippolito — (gravemente) Siedi.

Alberto — (ridendo) Più seduto di così!

Ippolito — Ecco qua: sai che mi sono sempre piaciute le situazioni nette. (un silenzio) Non ho mai mentito nella vita, io.

Alberto — Hai ragione: è brutto mentire.

Ippolito — È orribile.

Alberto — (senza convinzione) Orribile.

Ippolito — E allora perchè mentisci?

Alberto — (stupefatto) Io?...

Ippolito — Tu... (scrutandolo) Guardami bene in faccia: che hai fatto questa notte?

Alberto — (turbato) Questa notte?

Ippolito — Non prendere tempo per inventarmi delle storie. Che hai fatto questa notte?

Alberto — Vuoi proprio saperlo? (allargando le braccia) Niente.

Ippolito — (levando di tasca un libretto e scorrendolo di tratto in tratto) All’una e trentacinque la tua camera era vuota.

Alberto — Come lo sai?

Ippolito — Lo so. Sei rientrato dopo un’ora e hai passeggiato a lungo parlando a voce alta.

Alberto — Come lo sai?

Ippolito — Lo so... Qui ho scritto: pazzo o imbecille.

Alberto — Come lo sai?

Ippolito — L’ho sempre saputo. Più tardi hai scritto. Ora vorrei sapere il significato di queste parole che hai pronunciate più volte, concitatamente: «Non me la sarei mai aspettata!» Che cos’è che non ti saresti mai aspettato?

Alberto — (con foga improvvisa) Ebbene, sì!... Lascia che mi sfoghi! Non ne potevo più!... Se non avessi avuto paura sarei corso stanotte stessa in camera tua! Era tale la voglia di gridare a qualcuno la mia gioia, che la gridavo da solo, come un pazzo!... T’assicuro che mi pareva di morire!... Ho provato l’emozione più forte della mia vita! Nessuno, sai, se la sarebbe aspettata. Non parliamo di te e degli altri, ma persino io, io stesso ne sono ancora intontito. Era il nuovo, l’imprevisto, l’incredibile che mi trovavo davanti. La felicità, quale non sarebbe concepibile sognare, era lì, a due passi, creata, voluta dal caso. Un gesto solo: tendere la mano e ghermirla. L’ho tesa. Sono felice.

Ippolito — (con comico rimpianto) Come ti invidio!

Alberto — Hai ragione. Fai bene a invidiarmi. Arrivo al punto, se ci penso, da invidiare me stesso! È così. Che vuoi che ti dica? Mi sento trasformato, mi sento un altro uomo! L’Alberto che conoscevo... che anche tu conoscevi è morto. Dalle sue ceneri è nato un altro Alberto vibrante di passione come quella creatura che mi stava davanti per dirmi che la vita è ancora piena di gioje inattese e incredibili.

Ippolito — Elena?

Alberto — (con crescente convinzione) Lei!... Elena!... Elena! Elena!... Ma ti pare possibile?... Elena!... Ah! se tu sapessi come mi esalta il pensiero di rinnovarmi, di riprendermi tutto, di non essere più lo schiavo di me stesso e delle vostre abitudini!... Vivere con lei! lontano dal mondo, senza seccatori, senza amici, senza voi, sopra tutto!.... Che bellezza!... Che bellezza!...

Ippolito — Dunque, quello che abbiamo fatto insieme per conquistarci questa invidiata tranquillità l’hai già dimenticato?

Alberto — (come assorto) Non vedo che una cosa: l’avvenire!

Ippolito — (continuando) Hai dimenticato la nostra vita divertente, gaja, spensierata; le nostre burle contro i seccatori sentimentali; l’allegra difesa di una virtù troppo solida per crollare... tutto, tutto hai dimenticato?

Alberto — (c. s.) Tutto!... Che bellezza!...

Ippolito — Eppure, avevamo sempre pensato, avevamo sempre detto, che chi fosse arrivato alla conquista, avrebbe distrutto la nostra vita comune....

Alberto — Distruggere per riedificare: ecco la vera forza!

Ippolito — (continuando) E insieme si era giurato che non uno avrebbe raggiunto la mèta! Elena era troppo ben guardata, e il principe della favola incatenato da noi nel suo regno fantastico. Oggi mi dici: io sono quello. Ma mentre presento le armi, ho il diritto di pensare che tu abbia finita un’amicizia e una fede che non sentivi, sventando con noi gli attentati al nostro benessere, per preparare, di nascosto, la via facile e sicura al benessere tuo.

Alberto — Mi puoi credere capace di un simile calcolo? È il destino che ha voluto così.

Ippolito — Non tirarmi fuori il destino! Ti credo capace di tutto se a tutto passi sopra per il tuo inqualificabile egoismo.

Alberto — (scattando) Egoismo! E mi parli di egoismo? Ma è appunto all’egoismo vostro che mi ribello! Siete vojaltri che avete – senza alcun diritto – vincolata la libertà di una donna per i vostri comodi e per i vostri spassi.

Ippolito — E tu, non eri con noi?

Alberto — Appunto: me ne pento, e riparo.

Ippolito — In che modo, di grazia?

Alberto — Sposandola.

Ippolito — Nobile vittima! Portandoti via, cioè, tu solo quello che nessuno doveva toccare.

Alberto — Non pretenderai che la sposiamo in quattro.

Ippolito — Che nessuno la sposi, pretendo!

Alberto — Illusioni, caro mio! Ma credi tu veramente che si possa morire a ventisei anni?

Ippolito — Non fare il tragico!

Alberto — Parole sue! Parole che sgorgavano da un’anima oppressa! Ridere, distrarsi, non basta! Arriva il momento in cui quello che pareva morto risorge dentro di noi con una violenza improvvisa.

Ippolito — Tu eri lì, in quel momento....

Alberto — Si capisce....

Ippolito — Lei ti ha visto....

Alberto — E ne è stata presa.

Ippolito — (scoppiando in una risata) No, ecco!.. Sei fenomenale!... Pazzo, esaltato, presuntuoso, idiota!... Sì, idiota sopra tutto! Ho voluto vedere fino a che punto arrivavano il tuo orgoglio e la tua cecità!... Ma non capisci che sei stato burlato?

Alberto — (scattando in piedi, livido, sconvolto) No!

Ippolito — Sì... sì... burlato... e in un modo indegno di te. Ecco che cosa ci hai guadagnato con la tua vanitosa incoscienza! Bella figura!

Alberto — (c. s.) Bada!.. Non scherziamo!...

Ippolito — No. Anzi è questo il primo momento in cui ti parlo sul serio.

Alberto — Non è vero! Non è possibile!

Ippolito — Ma che credevi? Che Elena sentisse l’improvviso bisogno di amarti e di essere amata?.... Capace anche di credere questo! Capace di esserti sentito da un momento per l’altro disputato, conteso, voluto da due donne!... Come sei giovane! Come sei giovane!... In un attimo di esaltazione hai chiusi gli occhi e gorgheggiato il più bel chiricchichì!... Se li tenevi aperti, potevi almeno vedere le nostre risa e rimangiarti il tuo canto.

Alberto — (intontito, affranto, s’è abbandonato sulla seggiola).

Ippolito — È inutile! Tu hai sempre avuto il torto di crederti un uomo fatale!

Alberto — Non è vero!... Non è vero!....

Ippolito — E allora hai avuto l’altro di pensare che una donna come Elena potesse prendere fuoco. Ma non hai avuto mai cinque minuti disponibili per considerarti, disgraziato?... Hai mai fatto un vero e proprio esame di coscienza?... Ti sei mai domandato quali sono le tue qualità?.... Sei bello? Rispondimi.

Alberto — (tace).

Ippolito — Sei intelligente?

Alberto — (tace).

Ippolito — Di’ pure di no. Non aver paura! Sei ricco, questo è vero, ma non ne hai colpa. Malgrado le tue ricchezze resti un uomo qualunque, che ha vissuto poco e che ha pochissimo spirito....

Alberto — (con desolazione e con ira) Taci! Taci!... Non parlarmi più... Sono affranto!... (un silenzio).

Ippolito — Mi dispiace, sai, sinceramente mi dispiace di vedere il tuo eroismo, la tua sicurezza, il tuo orgoglio di poco fa crollare di un tratto... Mi dispiace... Eri così bello circonfuso di vittoria! Parevi un altro!...

Alberto — Ah! Non credere che finisca così!

Ippolito — E come dovrebbe finire? Ringrazia il cielo e me, e non avvilirti, e non abbatterti. Credi pure che ti ho reso un grande servigio: ho voluto che tu ti considerassi come in uno specchio. E siccome sei incapace di sprofondarti da solo in una analisi, t’ho aiutato a rivelare te a te stesso in tutta la tua miseria. Che diamine! Sono un amico.

Alberto — (quasi parlando a se stesso) E adesso?... E adesso?...

Ippolito — E adesso, caro mio, t’ho offerto senza saperlo il modo di levarti d’impaccio. Non lo meriteresti, ma voglio essere generoso fino in fondo. Quando Elena ritorna, ti lascerò solo con lei.

Alberto — No!

Ippolito — Sicuro! Con lei. Le farai credere che avevi capito benissimo, che l’avevi seguita iersera per rimediare con una certa eleganza all’avventura perduta per causa sua, e le avevi scritto per continuare la burla, provocare una risposta, e riderne a tua volta con noi, più tardi. Molta eloquenza, molta calma, molta disinvoltura: te la caverai benissimo...

Alberto — Tu non puoi capire....

Ippolito — Perchè? Cos’è che non posso capire?

Alberto — Niente, niente... Ti ringrazio... Sei molto buono, Ippolito.

Ippolito — Già: è stupido essere buoni ma qualche volta mi succede. Non ne avevo nessuna intenzione. È stato più forte di me. Non mi devi niente.

Alberto — (vagamente) Chissà!...

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