Gli stessi – Ariberto
Ariberto — (entrando) La signora mi ha fatto chiamare?
Elena — Sì. Stasera il cavalier Respighi pranzerà con noi. Si fermerà a pranzo anche domani, credo...
Ariberto — Il suo compleanno domani, signora.
Elena — Oh! Guarda! Ve ne ricordate?
Ariberto — Certe date non si dimenticano, signora.
Elena — (ad Alberto) Tu lo sapevi?
Alberto — Perbacco! Altro che saperlo!
Ariberto — Che festa l’anno scorso! Come oggi ero a Milano per le provviste, che il signor Ippolito ha voluto personalmente dirigere. Si ricordano quel piatto di sua invenzione, sul quale ha conservato l’assoluto segreto?... Non m’è riuscito d’impararlo, e devo riconoscere che era fatto con mano da maestro... (un silenzio) Hanno ordini per domani?
Elena — (con tristezza) No... niente....
Alberto — (c. s.) No... niente...
Ariberto — Che peccato!
Alberto — Perchè?
Ariberto — Che vuole!... Oramai la mia funzione è ridotta a ben poca cosa. Loro s’accontentano di tutto... Non c’è più soddisfazione!
Alberto — (fissandolo) Tu sogneresti un pranzo di venti coperti, non è vero, re dei cuochi?
Ariberto — Vorrei sopra tutto dei commensali che potessero apprezzarne il valore.
Alberto — O darti dei buoni consigli...
Ariberto — Anche.
Alberto — Come... sì.... come....
Ariberto — (completando) Come il signor Ippolito!... Ma d’altra parte, lo capisco anch’io: contro l’impossibile non si può andare.
Alberto — Il cavaliere non ti basta?
Ariberto — Se basta a loro... per me, s’immagini!... Desiderano altro?
Elena — No, grazie.
Ariberto — (s’inchina ed esce).
Alberto — Hai sentito?
Elena — È come ti dicevo io. Inutile! Respighi non lo prendono in considerazione.