SCENA III.

Gli stessi – Ariberto

Ariberto — (entrando) La signora mi ha fatto chiamare?

Elena — Sì. Stasera il cavalier Respighi pranzerà con noi. Si fermerà a pranzo anche domani, credo...

Ariberto — Il suo compleanno domani, signora.

Elena — Oh! Guarda! Ve ne ricordate?

Ariberto — Certe date non si dimenticano, signora.

Elena — (ad Alberto) Tu lo sapevi?

Alberto — Perbacco! Altro che saperlo!

Ariberto — Che festa l’anno scorso! Come oggi ero a Milano per le provviste, che il signor Ippolito ha voluto personalmente dirigere. Si ricordano quel piatto di sua invenzione, sul quale ha conservato l’assoluto segreto?... Non m’è riuscito d’impararlo, e devo riconoscere che era fatto con mano da maestro... (un silenzio) Hanno ordini per domani?

Elena — (con tristezza) No... niente....

Alberto — (c. s.) No... niente...

Ariberto — Che peccato!

Alberto — Perchè?

Ariberto — Che vuole!... Oramai la mia funzione è ridotta a ben poca cosa. Loro s’accontentano di tutto... Non c’è più soddisfazione!

Alberto — (fissandolo) Tu sogneresti un pranzo di venti coperti, non è vero, re dei cuochi?

Ariberto — Vorrei sopra tutto dei commensali che potessero apprezzarne il valore.

Alberto — O darti dei buoni consigli...

Ariberto — Anche.

Alberto — Come... sì.... come....

Ariberto — (completando) Come il signor Ippolito!... Ma d’altra parte, lo capisco anch’io: contro l’impossibile non si può andare.

Alberto — Il cavaliere non ti basta?

Ariberto — Se basta a loro... per me, s’immagini!... Desiderano altro?

Elena — No, grazie.

Ariberto — (s’inchina ed esce).

Alberto — Hai sentito?

Elena — È come ti dicevo io. Inutile! Respighi non lo prendono in considerazione.

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