SCENA VIII.

Ippolito, Remigio, Tomaso, Vladimiro, Antonietta poi Respighi

(Vladimiro e Antonietta, da destra, si collocano da una parte e dall’altra della porta, mentre Ippolito, Tomaso e Remigio entrano l’uno dopo l’altro in quest’ordine).

Vladimiro — ...Allora, non dobbiamo annunciarli?

Ippolito — Silenzio assoluto.

Antonietta — Nemmeno alla signora?

Ippolito — A nessuno... Cioè, ad Ariberto sì.

Tomaso — Per non correre il pericolo di restar senza pranzo.

Ippolito — Non per altro.

Vladimiro — Benissimo (esce con Antonietta).

Ippolito — (guardando intorno gravemente e curiosamente) Che effetto vi fa?

Remigio — Orribile!.... Non si poteva ridurla peggio questa sala!

Tomaso — E chi sa cosa hanno speso!

Ippolito — Queste sono inezie! Io penso a ben altro. Amici miei, devo confessarvelo?... Sono turbato... perplesso. Ho paura.

Remigio — D’aver fatto male a venire?

Ippolito — Sì. D’aver commesso un atto di debolezza. Il primo della mia vita... Ma d’altra parte loro se ne infischiavano... E allora, a che serviva fare i forti?

Tomaso — Appunto per questo che noi due si insisteva tanto!

Ippolito — Ah! Meno male. Ammettete che la colpa è vostra. Ogni giorno dovevo consolare i vostri rimpianti! Per mesi e mesi ho resistito, eroicamente... Poi s’è messo a piovere... e addio!... Pare impossibile come il cattivo tempo influisca sui temperamenti sensibili!.... (a Tomaso) Dove hai lasciato i pacchi?

Tomaso — Che pacchi?

Ippolito — Quelli dei regali.

Tomaso — Ah! Son di là.

Ippolito — Bene!... Sarà una buona scusa... Diremo: «Siamo qua a portarvi dopo sei mesi i nostri doni di nozze pur conservandovi tutto il nostro disprezzo».

Remigio — (con terrore) E andremo via?

Ippolito — Non lo so.... Staremo a vedere.

Respighi — (entrando affannosamente) Ma è vero?.... È vero?... Arrivati! Arrivati!... (stringendo loro le mani quasi commosso) Volete che ve la dica?.... Mi pare impossibile... Non osavo di crederlo.

Ippolito — Che vuole, cavaliere: questa povera gente sola, sperduta, abbandonata, ci faceva troppo pena. Al cuore non si comanda, e io, purtroppo, ho sempre avuto troppo cuore!

Respighi — E loro?... non ne sanno niente?

Ippolito — Niente. Vogliamo preparare un gran colpo di scena.

Respighi — Ma ne saranno folli! Non aspettavano che questo, non sospiravano che questo.

Ippolito — Scusi.... Chi gliel’ha detto?

Respighi — Vuol proprio saperlo? Legga, (gli porge le due lettere) legga!

Ippolito — (stupito) Per me?

Respighi — Per lei, per lei. Ero corso alla stazione per spedirle, ma ho saputo del vostro arrivo, e mi sono precipitato qua. Più rapidamente di così non potevano arrivare a destinazione.

Ippolito — (aprendo una lettera) «Caro Ippolito... Domani è il compleanno di Elena... non fate più sciocchezze... tornate.... Alberto». (la passa a Tomaso e Remigio; apre l’altra) «Che cosa penserete di me che vi scrivo, per pregarvi... Elena»... (passa la lettera, poi con gioja improvvisa) Ah!... Mi par di rinascere; mi sento liberato da un incubo!... Sono loro che ci pregano! Sono loro! Lo sapevo! Non potevano più vivere senza di noi! Amici! La nostra superiorità è indiscutibile!

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