Come il riversarsi dei liquidi, in occasione di terremoti, ispirò la costruzione dei sismoscopî a mercurio, così l’oscillazione d’oggetti appesi condusse a quella dei sismoscopî a pendolo, ben più importanti dei precedenti.
Il primo pendolo per ricerche sismiche, di cui si abbia conoscenza, pare sia quello costruito nel 1751 dal Bina in occasione dei terremoti che afflissero in quell’anno l’Umbria. Consisteva in una grossa sfera di piombo, appesa ad un flessibilissimo filo e terminante in basso con una punta, la quale sfiorava uno strato sottostante di finissima arena o di sostanza molle. Dai solchi che la punta vi lasciava, si deduceva la direzione e l’ampiezza d’oscillazione del pendolo; e se la scossa fosse stata anche di sussulto, lo si riconosceva dalla maggior profondità a cui la punta penetrava.
Senza parlare d’altri apparati consimili, certamente adoperati dopo il Bina, e de’ quali però non si ha neppure una breve descrizione, vengo a parlare di quello del Salsano, orologiaro e meccanico di Napoli, il quale lo costruì precisamente in occasione dei terribili scuotimenti della Calabria del 1783 e la chiamò geo-sismometro. Consisteva in un’asta lunga quasi 3 metri che oscillava liberamente attorno alla sua estremità superiore, ed in basso era gravata da una lente di piombo, al di sotto della quale era fissato un pennellino, tinto d’una qualità d’inchiostro non soggetto a seccarsi. Le oscillazioni del pendolo venivano segnate con questo pennello al di sopra d’una laminetta d’avorio. Infine, poco al di sopra della lente si trovava una campanina la quale, durante i movimenti dell’asta, andando ad urtare contro 4 battocchi, disposti all’intorno a piccolissima distanza dalla stessa, avvertiva dell’arrivo d’una scossa.
Quasi contemporaneamente, il medico cosentino Zupo costruì il suo pendolo sismico consistente in una palla di piombo appesa, come si vede nella fig. 4 (che è il fac-simile del disegno originale dello autore), alla curvatura d’una spranga di ferro conficcata nel terreno. Questo ultima era acuminata alle due estremità, perchè lo Zupo, che era uno dei propugnatori della teoria elettro-sismica, in voga a quei tempi, si proponeva appunto di eseguire ricerche speciali in appoggio della stessa. Al di sotto della palla era fissa una punta che segnava sopra uno strato di sottilissima cenere.
Dobbiamo anche ricordare il sismografo costruito dal Duca della Torre verso il 1794, composto pure d’un pesante pendolo il quale, a differenza di quelli precedenti, scriveva i suoi movimenti sopra un sottostante foglio di carta mediante un lapis verticale, spinto in giù da una molla. Di più, quando il pendolo cominciava ad oscillare, arrestava un orologio all’ora precisa della scossa mediante un crine che comunicava al bilanciere del medesimo. Infine, per dare l’allarme, servivano tre campanelli attaccati a molle, disposte intorno al peso del pendolo.
Andiamo ora a dare un cenno del sismometro inventato nel 1834 dal meccanico bolognese Pagani e che presenta qualche novità su quelli precedenti. La fig. 5 lo rappresenta nella sua ultima forma, proposta nel 1842. Sopra un basamento B riposa un castelloAA in metallo, dalla cui sommità E pende il filo C, gravato in basso da una palla. Concentrica a quest’ultima sta un anello H con 16 buchi all’ingiro, entro i quali possono scorrere altrettanti cilindretti orizzontali I, destinati a rimanere a contatto con la palla. Quando la medesima comincia ad oscillare per effetto d’una scossa, spinge i cilindretti fuori dell’anello H; e dalla maggiore sortita di alcuni di essi si può giudicare della direzione del terremoto. Più difficile a comprendere è il modo di funzionare d’una stelletta D, disposta orizzontalmente e pendente da sotto il pendolo C. Sulla stelletta si pongono 9 palline da caccia G le quali, in seguito all’oscillazione del pendolo C, cadono nel recipiente sottostante K diviso in 4 scompartimenti interni, ciascuno in corrispondenza dei 4 punti cardinali; e dal maggior numero di palline cadute entro uno dei scompartimenti si può confermare la direzione predominante del pendolo. Da notare che la stelletta D non è libera, ma porta nel suo centro un forellino, entro cui penetra una punta L, fissa nel mezzo del recipiente K: e la giuntura F serve a regolare di quanto la punta L entri nella stelletta. Infine al di sotto del recipiente K pende un 2º pendolo, costituito d’un filo di seta e d’una palla M che si fa leggermente poggiare sopra una punta sottostante, ed a ciò serve la vite di rettificaN. Quando per una scossa la palla M sortisse fuori dalla punta, ciò proverebbe che il movimento è stato anche di sussulto.
Dopo i precedenti strumenti non ne mancarono altri, più o meno variati, che funzionarono nella Iª metà del secolo XIX; ma tra essi merita una special menzione il sismometro del Cavalleri (1858) il quale ha importanza per i criterî scientifici ai quali fu ispirato. Si compone d’un fil di ferro di metri 1¼ di lunghezza e gravato in basso d’una palla di 3 kg., la quale scrive con una punta sopra uno strato di cenere. La novità sta in questo che la direzione iniziale del movimento viene indicata dalla caduta d’un cilindretto verticale, ritto in mezzo allo strato di cenere e che cade per esser spinto dal suolo contro la punta della palla. Quest’ultima infatti, per la sua inerzia, si considera restare ferma, almeno da principio, mentre è il suolo (e per conseguenza anche lo strato di cenere con il cilindretto) che con una certa rapidità si muove sotto di essa. Questo concetto costituisce il principio della massa stazionaria dei pendoli, o punto fermo, che è stato così fecondo nella costruzione dei moderni sismografi. Infine, poco al di sopra della massa pendolare si trova, quasi a contatto del filo di sospensione, una levetta che, appena urtata, mette in moto un orologio (detto sismoscopico) fermo sulle ore XII, il quale confrontato poi con altro ben regolato fa conoscere subito l’ora precisa della scossa. Basta infatti sottrarre dall’ora di quest’ultimo quella indicata dall’orologio sismoscopico al momento del confronto.
Per avere un’idea anche della rapidità con la quale si effettua il movimento del suolo, il Cavalleri ideò il suo celebre sismometro composto di 10 pendolini di graduale lunghezza, e muniti tutti di una punta immersa nella cenere. Al sopraggiunger d’una scossa, quello che la-sciava una più lunga traccia si presumeva possedere un ritmo, o periodo d’oscillazione, più vicino a quello da cui era animato il suolo stesso.
Il Palmieri volendo rendere facilmente portatile il suo sismografo Vesuviano (pag. 26), pensò nel 1874 di sostituire ai 4 tubi ricurvi, pieni di mercurio per le scosse ondulatorie (pag. 26-27), un pendolino come quello dello Zupo (fig. 4), ma terminante in una punta di platino che veniva a trovarsi nel centro di una specie di un piccolo anello di mercurio, ottenuto mediante una protuberanza nel fondo del recipiente che lo conteneva. Al verificarsi d’una scossa, il contatto tra il pendolino ed il liquido chiudeva, al solito, il circuito elettrico ed animava così un’elettro-calamita, da utilizzarsi per l’arresto di un orologio, o per segnare l’ora sopra un tamburo girevole.
Quasi identico è il sismoscopio, costruito assai più tardi del Forster a Berna, nel quale il mercurio fu rimpiazzato da un anellino metallico.
Nel sismoscopio Malvasia (1874), per l’oscillazione d’un pendolo sovrastante, una pallina in bilico cadeva sulla superficie esterna d’una calotta sferica, lasciando traccia della direzione di caduta e poi rotolando entro un canaletto, in fondo al quale acquistava tanta forza da far arrestare un orologio e scattare un’arma da fuoco, allo scopo d’avvisare anche a distanza.
Poi vennero pendoli, di cui si cercò d’amplificare i movimenti con opportuni artifizî.
Così Bouquet de la Grye (1874) costruì un pendolo, le cui oscillazioni erano amplificate con una leva verticale sottostante, a forte ingrandimento; e circa un anno prima il De Rossi inventò il suo autosismografo, in cui il movimento d’un pendolo era amplificato mediante 4 fili orizzontali i quali partendo dalla punta del pendolo andavano ad attaccarsi a 4 punti fissi, corrispondenti ai 4 punti cardinali. E siccome dal punto di mezzo di ogni filo orizzontale pendeva un pesetto, si capisce come le piccole oscillazioni del pendolo in una data direzione venissero a produrre alzamenti ed abbassamenti sensibili alternativi nei pesetti corrispondenti, movimenti che poi si utilizzavano per indicare l’ora, mediante leve delicate, sopra un tamburo girevole.
Questo strumento, ridotto più tardi ad azione elettrica, fu chiamato protosismografo e figurò con onore, insieme al microsismografo (pag. 43) all’Esposizione di elettricità di Parigi del 1882.
Una conveniente amplificazione fu pure adottata dal Grablovitz nel suo sismoscopio a massa stazionaria il quale ha la particolarità che i movimenti del pendolo sono decomposti in due componenti ad angolo retto, cioè in due direzioni tra loro perpendicolari, mediante due leve orizzontali i cui bracci corti sono collegati al centro della massa pendolare in forma d’un massiccio anello orizzontale di piombo di 10 kg. Le estremità dei bracci lunghi di dette leve determinano un contatto elettrico con del mercurio sottostante, non appena il pendolo entri in sensibili oscillazioni. Questo sismoscopio è denominatoa massa stazionaria, perchè in presenza di movimenti rapidi del terreno si può supporre, secondo le idee già esposte dal Cavalleri (pag. 35), che la massa pendolare resti ferma, cioè stazionaria, e serva quindi di reazione alle leve le quali amplificano il moto effettivo del suolo. Come si vedrà nella parte 2ª è precisamente su questo principio che sono fondati la maggior parte dei moderni sismografi.
Nel 1879 il Galli costruì un pendolo con una specie di campana metallica che poggia sopra un ago e porta in alto un prolungamento verticale, terminante in una lastrina orizzontale di vetro affumicata. È su quest’ultima che scrive una punta bilicata, fissa al sostegno stesso dello strumento. D’un pendolo consimile si servì lo Scateni (1883) nella costruzione del suo sismografo, chiamato così perchè ad ogni contatto tra il bordo inferiore della campana e 4 fili laterali, quasi a contatto, è segnata l’ora mediante 3 elettro calamite sopra altrettanti quadranti concentrici, mossi da un orologio: l’uno per le ore, l’altro per i minuti, il 3º per i secondi.
A questa categoria di sismoscopî si possono pure riportare i così detti tromometri (tromos = tremolio) costruiti dapprima (1870) dal Bertelli e poi anche dal De Rossi, consistenti in pendoli di varia lunghezza, da pochi centimetri fino a metri 3½, i cui movimenti erano osservati direttamente mediante un microscopio puntato ad un sottile ago verticale, sporgente dal di sotto dei pesi pendolari. La delicatezza di questi pendoli era tale che, quantunque protetti assai bene dall’agitazione dell’aria, erano quasi sempre in movimento. Si osservavano regolarmente più volte al giorno e si annetteva una grande importanza alla loro maggiore o minore ampiezza d’oscillazione (quasi sempre di pochi decimi, se non pure di centesimi di millimetro) e si pretendeva perfino tirarne delle conseguenze sulle variazioni delle forze interne del nostro globo! Si è finito poi per riconoscere che i moti spontanei di questi tromometri, oltre naturalmente all’essere causati da veri terremoti, vicini o lontani, possono essere con grandissima facilità prodotti da perturbazioni atmosferiche, le quali pare che mettano in movimento la superficie terrestre a mo’ delle onde marine, con la differenza che le onde terrestri sono al paragone assai più lunghe e meno alte. In seguito a ciò, le osservazioni tromometriche sono state oggidì quasi del tutto abbandonate, non potendosi appunto sceverare quanta parte abbiano nella produzione del loro movimento le cause perturbatrici esterne alla terra e quanta quelle interne.
Ci resta a dire anche una parola sull’ascoltatore endogeno omicrofono a pendolo, del Mug
na (fig. 6). La massa pendolare O, sospesa al filo f, termina in una punta conica la quale penetra alquanto nella svasatura, praticata in un blocco di carbone C; e l’immersione è regolata dalla vite a. Il tutto è attraversato da una corrente elettrica, in modo che ad ogni spostamento del pendolo varia la pressione di esso col carbone, e da ciò deriva un’alterazione di conducibilità nel circuito elettrico, resa palese da un telefono in esso intercalato. L’apparecchio fu premiato all’Esposizione di elettricità internazionale di Parigi del 1881; in seguito fu reso registratore dal Mugna e denominato sismomicrotelefono. Funziona all’Osservatorio di Forlì fin dal 1889, ma finora pare con risultati di gran lunga inferiori a quelli di tanti altri strumenti fondati su principî diversi.