II.

Giovanna del Farneto desiderava per marito Raimondo di Santerno come questi desiderava lei per moglie; e se Raimondo si doleva della sua sorte e minacciava di penetrare nel castello, essa, per gran paura che le fosse ucciso (giorno e notte vigilavano le guardie a custodia del ponte: fonda e larga era la fossa, alta la cinta e ferrate le finestre), gli si prometteva ancora e gli raccomandava di fidare in lei. Poi, una notte, lo consigliò così:

— Mio padre non vuol maritarmi a voi perché non siete ricco; vorrebbe, se quel vostro zio di Monveglio vi donasse delle sue terre. Andate dunque dallo zio a pregarlo che finga donarvi delle sue terre, e noi, sposati che saremo, gliele renderemo secondo patto giurato e stipulato.

Piacque il consiglio al cavaliere. Il quale, il dí appresso, cavalcò alla volta di Monveglio.

Vi giunse che era tardi; e trovò lo zio molto lieto, come uno che ha cenato bene e cenando ha bevuto vino vecchio, di quello che rischiara la mente, ravviva lo spirito e intenerisce il core.

— Che volete, mio bel nipote? – domandò. Intesa la richiesta, rispose súbito:

— Sí sí, faremo questo patto; e parlerò io a ser Lapo del Farneto. M’è amico.

Poi, strizzando gli occhi: – Ma di’ – chiese –: è molto bella la figliuola di ser Lapo?

Raimondo rispose: – Innamorai di lei per udita, e quando la vidi non me ne pentii. Voi la vedrete.

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