Mentre ser Lapo del Farneto numerava certe monete lucenti che sembravano esser state battute allora allora, e accarezzandole cogli occhi le ammucchiava su la tavola, uno scudiero avvertí la scolta che il signore di Monveglio veniva a trovare il castellano. All’annuncio, messer Lapo si alzò puntando le mani sui bracciali del seggiolone, e con quanta fretta gli era consentita dalle deboli forze e dai malanni che gli intorpidivano le membra ripose il tesoro nella cassapanca, e diede l’ordine. – Ben venga il nostro amico!
I due, a rivedersi dopo molti anni, dissimularono entrambi la sorpresa di un sentimento maligno d’invidia: il signore di Farneto, perché egli, scarno, smorto e male in gambe, scorse rubesto, rubizzo e grasso quello di Monveglio; di gioia questi, per confronto del suo stato con quello dell’amico. Ma Lapo chiamò la figliola, bramoso che l’altro gli invidiasse almeno un tesoro ch’egli non aveva; e il signore di Monveglio, vedendo la bella giovane, con gli occhi gaudenti ne scoprí le carni gigliate e fresche; sentí di essa una súbita concupiscenza; dimenticò il nipote e quindi lo ricordò, ma per tradirlo.
— Voi avete una fortuna, che non ho io – disse a ser Lapo quando Giovanna fu uscita. – Che mi valgono i quattrini, a me?
Sospirò. Indi chiese:
— La maritate?
Arcigno in viso, con tono aspro, ser Lapo rispose:
— Essa è bella, savia e d’alto lignaggio: a chi volete che la dia? – E si dolse del tempo presente, quando non c’era un cavaliere degno di sua figlia. – Poi io – aggiunse l’avaro –, non voglio dotarla prima di morire.
Allora parlò di lungo il signore di Monveglio; e parlò in guisa che l’altro lo comprese disposto a prendere moglie senza dote. – Ma io, io non sono piú giovane! – lamentava il signore di Monveglio.
— Mia figlia è savia – ribatté ser Lapo.
E alla fine fu conchiuso il parentado.
Durante la cena i vecchi amici discorsero della loro giovinezza; ilare e rubicondo l’uno, l’altro sempre scuro e sempre astioso. Neppure a ripensare la letizia della sua giovinezza ser Lapo poteva ridere, quasi una colpa o sciagura della virilità amareggiandogli la vecchiaia piena d’acciacchi lo rimordesse d’essere stato forte.
Chiedeva però anche lui: – Vi ricordate? –; e narrava bei fatti: i due vecchi narravano fatti di liberalità e di cortesia, e biasimavano il tempo presente. Ma, di quei due, uno era traditore e l’avaro, l’altro, era di tale coscienza che non rideva mai.
Questi, dopo la cena, chiamò la figliola e – Sei sposa – le disse. E accennando all’amico:
— Messere è il tuo sposo.
E quegli stringendo la mano della giovane timida e confusa non sentí com’era fredda.