IV.

Corse la fama che la bella Giovanna del Farneto andava in moglie al vecchio di Monveglio, e la gente compiangendo la donzella ne ignorava tutta la sventura; ignorava che il suo dolore era quale il segreto dolore di Raimondo di Santerno.

Le nozze s’annunciavano magnifiche. A un’abbazia a mezza strada tra Monveglio e il Farneto, alla quale d’ogni parte dovevano convenire i parenti degli sposi, si sarebbe celebrato il matrimonio una mattina presto; e messer Lapo, che non poteva girare e cavalcare, avrebbe attesi gli sposi nel castello.

Magnifiche le nozze. Se non che neppure la solenne circostanza fece liberale messer Lapo, e per non spendere nei cavalli che recassero le parenti e i servi di scorta alla figliola, egli mandò attorno, qua e là, a domandarne in prestito. Di ciò ebbe notizia Raimondo di Santerno; il quale desiderò che il buon leardo, già ignaro testimone del suo amore lungo e sfortunato, fosse testimone a Giovanna del dolore e della fede sua richiamandole il ricordo di lui per ogni passo del cammino doloroso; e spedí un valletto a chiedere di grazia a messer Lapo che disponesse per palafreno della sposa il suo cavallo.

— È quieto – il valletto disse –, e la porterà dolcemente.

L’avaro acconsentí. E la mattina delle nozze, quando avanti giorno le fantesche vestivano la povera Giovanna e gli scudieri allestivano gli altri cavalli per la compagnia, e in tutto il castello era un affaccendarsi rumoroso e gaio, il leardo fu condotto da Santerno. Al lume dei torchi, per la finestra della sua stanza, messer Lapo vide partire la compagnia, e guardò a lungo la figliola, che gli parve piú bella e bene adorna. Ma non porse attenzione a come fosse bello e bene adorno anche il leardo che la portava ambiante, dolcemente.

La cavalcata procedeva triste. I primi raggi del sole si spegnevano in una nuvolaglia biancastra e nell’aria greve non si moveva una foglia di tutto quel bosco, entro cui la strada penetrava perdendosi nel fondo fitto. Non un uccello cantava allegro; e la sposa sentiva così enorme il peso della sua sventura che non aveva forza di piangere; e le mancava il respiro. La cavalcata procedeva triste. Nel cielo, sopra, la nuvolaglia si addensava a poco a poco, e dinanzi l’aria si rabbuiava sempre piú, quasi annottasse. Però qualcuno della scorta, interrogato il tempo, proponeva di tornare indietro.

— Siamo a mezzo viaggio: avanti! – dissero gli altri.

E la sposa, smarrita nel suo dolore enorme la considerazione delle cose, non vedeva e non udiva; non udiva se non ripercuotersi nel cuore il passo uguale del leardo: Raimondo! Raimondo! Raimondo!

Già un rombo sordo passava per le nuvole imminenti. Cavalieri e dame incitavano destrieri e palafreni e, con paura, tentavano di ridere. Povera sposa! L’acquazzone la coglieva per la strada!

Infatti l’intemperie cominciò a risolversi in gocce grosse e rade; e poi in un’acqua dirotta, scrosciante, fragorosa. Nel fondo livido i lampi guizzavano e s’inseguivano tra gli alberi, che al bagliore parevano mostri sbigottiti, e il tuono, dentro quel cielo e dentro quel bosco, era il rotolare d’un traino infernale.

Finalmente con strepito di schianto repentino un fulmine stridette, scoppiò da presso; e il leardo spaventato prese la corsa d’una furia. Via! Corse, non piú veduto, per un lungo tratto; non piú veduto, balzò dalla radura oltre un rivo e dietro un sentieruolo obliquo. Via! E la sposa, avvinghiata alla criniera, cieca di terrore, sembrava tendesse lo sguardo a un abisso nel quale s’aspettasse di precipitare.

Via! via! via!

Quanto camminò il leardo traverso la boscaglia? D’improvviso Giovanna, riacquistando la vista delle cose, si scorse fuori del bosco, sotto il cielo terso e luminoso e davanti a un piccolo castello bianco e solatio. Il leardo nitrí. Dal castello uno scudiero guardò e riconobbe il leardo; guardò il signore del luogo, Raimondo di Santerno, e riconobbe Giovanna.

E poiché fu abbassato il ponte lestamente, Giovanna cadde dal cavallo nella braccia di Raimondo.

Ma lo scudiero aveva a pena dato da mangiare al bravo animale madido di pioggia e di sudore, che il padrone venne nella stalla e comandò:

— Salta in groppa e corri dal proposto di Sestale: che per nessuna cosa al mondo manchi di essere qua avanti mezzodí!

Né era ancora mezzogiorno quando, mentre le genti del Farneto e di Monveglio ricercavano tuttavia per il bosco la donzella, il signore del Farneto e il signore di Monveglio appresero che madonna Giovanna, in cospetto di Dio e del prete di Sestale, era divenuta moglie a Raimondo di Santerno.

Share on Twitter Share on Facebook