III.

Tredici anni dopo, avendo il proposito di fidanzarsi a una ereditiera in cui amore e gentilezza non potevan tanto da deprimere l’alterigia della famiglia borghesemente arricchita, il giovane Aurelio Contralbi conte di Làmola ricercava le tracce della sua antica nobiltà, quasi ad aiuto di superiorità maritale. Voleva persuadere a fatti storici la signorina che il suo nome era dei piú illustri d’Italia.

E leggeva le cronache che suo padre aveva acquistate per accrescere l’archivio della famiglia e che forse lui, il dotto conte Genesio, non aveva mai lette da capo a fondo.

Cosí, tra memorie di prepotenze aristocratiche e di violenze commesse per decoro della famiglia e per punto d’onore, incontrò anche questa notizia:

A dí 2 de luglio 1597 in Bologna fu tolto su dai sbirri il conte Prosporo Contralbi per havere con li suoi huomeni de Lamola rapinati de’ mercatanti che di là transivano pretestando quistione de pedagio.

Bravo il conte Prospero! Gli altri Contralbi avevano percosso, sbudellato, accoppato per gelosie e vendette: egli preferiva di giovare a sè stesso e ai lontani nipoti svaligiando i mercanti che scendevano da Savigno e dall’alto Modenese. Rubatore di strada!

Oh no! Non era, a dirla, una gloria! Ma neanche, tacendolo, era un delitto senza venia; perchè, alla fin fine, il conte Prospero comprometteva la pelle negli assalti e nelle zuffe: non derubava con oneste apparenze e tranquilli inganni, come certi altri capostipiti. La ricchezza, del resto, non somiglia a un’acqua limacciosa che si purifica scorrendo col tempo?

Le quali riflessioni esortavano a non arrossire del brutto fatto nemmeno in segreto. Eppure il giovane conte Aurelio rimase male. Ricevè da quella lettura un senso dell’amarezza, della pena, quasi del rimorso che avrebbe forse provato l’avo rapinatore se invece che del cinquecento fosse stato un gentiluomo del secolo ventesimo.

Finchè la remota cagione di quel turbamento al giovane conte si definí in un ricordo suo proprio, d’improvviso ravvivato, d’improvviso riflettuto nella coscienza. Gli sovvenne di quel giorno lassú... E gli risonavano all’orecchio le minacce e le invettive di Cesco, il ragazzo del sarto (– ladro! brutto ladro! –); e gli si riaffacciava a intenerirlo e a impietosirlo, con la tristezza del male commesso e non riparato, l’immagine della piccola Lisa. Ripugnando dal pensiero di quella furfanteria – lui ricco, forte, piú grande, carpire a una bambina povera, alla innocente compagna de’ suoi giuochi la moneta ch’essa aveva trovata, un tesoro! –; e dovendo pensare che in lui quel giorno si fossero vilmente ridestati gli atavici istinti di prepotenza e cupidigia, avrebbe voluto veder ora, lí innanzi a sè, la Lisa per allietarla con un atto munifico; per accertar sè stesso d’aver anche generosità nelle vene e di aver nell’animo la cortesia dei costumi raffinati e dei tempi nuovi.

Ma come?

La Lisa poteva essere, ora, sui diciannove anni; con speranze di nozze; forse già promessa sposa. Mandarle un dono nuziale?... O... portarle quello zecchino?

Ma dove, dove era andato a finire quel maledetto zecchino? Suo padre doveva averlo conservato; senza dubbio. Suo padre era un dotto!

Sperò di trovarlo nel cofano che da secoli custodiva i gioielli e le gemme della famiglia. E riversatole, sí, ecco balzar da una scatoletta una monetina d’oro. Lo zecchino! Lo zecchino della Lisa! Anche c’era una nota, suggerita forse al conte Genesio da qualche numismatico amico. Conio del tempo di Marin Grimani, doge dal 1595 al 1605.

To’! Dal 1595 al 1605? Possibile...? Un sospetto, un lampo, passò per la mente del giovane conte Contralbi.

Ah le misteriose vicende del caso! i riscontri del destino! E rilesse la cronaca all’anno 1597; e vide che la cosa era ammissibile: uno zecchino caduto nella strada durante la zuffa e la rapina del conte Prospero, e portato dall’acqua nelle crete dei «calanchi», era stato rinvenuto da una fanciulletta, tre secoli dopo; e, to’!, alla furfanteria dell’avo si riconnetteva la furfanteria compiuta tre secoli dopo dal nipote; si aggiungeva la colpa dal nipote commessa, purtroppo, senza attenuanti!

... Il giovane conte Contralbi, come per timore che gli cessasse quel sentimento buono di riparazione e gentilezza, si mise subito in tasca lo zecchino e partí subito alla volta di Làmola.

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